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 2012  ottobre 31 Mercoledì calendario

ITALIA STROZZATA DALL’USURA

Cinquantacinque clan coin­volti (l’ultimo, la cosca Bifo­ne ’scovato’ due giorni fa dai carabinieri a Santa Maria Capua Ve­tere) e interessi ’mortali’ fino al 1.500 per cento annui. È l’affare usura, sempre più gestito dalle mafie. E che di vero affare si tratti lo dimostra il fatto che circa il 46 per cento delle se­gnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio sono poi sfociate in in­chieste di usura e mafia. Dati im­pressionanti e preoccupanti, conte­nuti nel dossier ’Usura, il Bot delle mafie, fotografia di un Paese strozza­to’, illustrato ieri da Libera e che fa ri­ferimento solo agli ultimi due anni. Un documento che, spiega don Mar­cello Cozzi, vicepresidente dell’asso­ciazione, «vuole a­prire una finestra su un fenomeno che vi­ve nel sommerso, dove è difficile de­nunciare, ma che è davvero il tesoro del­la mafie». Non solo denuncia. L’occasio­ne è stata, infatti, la presentazione a Roma, presso la Federazione della Stampa, della Fondazione nazionale Antiusura ’Interesse Uomo’, che da dieci anni opera in provincia di Po­tenza e che ora agirà a livello nazio­nale, sempre col sostegno del comu­ne e della provincia lucane e di Ban­ca etica.

«La crisi economica, il forte aumen­to delle sofferenze bancarie sono lo scenario del fenomeno usura – sot­tolinea don Luigi Ciotti, presidente di Libera –. E su questo le mafie si in­seriscono come un cuneo, rispon­dendo subito coi contanti. Sapendo che i rischi sono pochi, grazie al si­lenzio delle vittime che, addirittura, vengono coinvolte per trovare nuovi ’clienti’. Ma anche grazie a una rete di professionisti, una nebulosa di af­faristi senza scrupoli». Scorrendo le pagine si comprende bene la gravità del fenomeno a partire dai nomi del clan coinvolti, dai Casalesi (i ’big’ della camorra imprenditrice) ai D’A­lessandro (specializzati anche nel pa­rallelo gioco d’azzardo) dai Cordì ai De Stefano e ai Mancuso sia in Cala­bria che al Nord, fino ai Casamonica (da sempre usurai a Roma).

Anche i tassi usurai la dicono lunga sul livello dell’affare. Il record appar­tiene a Roma dove ci sono state ri­chieste fino al 1.500 per cento annuo, poco meno in provincia, ad Aprilia col 1.075. A Firenze siamo al 400, in Puglia i clan chiedono il 240, in Cala­bria nel Vibonese si arriva al 257 men­tre nella Locride il tariffario scende al 200. Un po’ meno nel Nord col 180 nel Padovano e il 120-150 del Mode­nese. C’è poco da stupirsi, quindi, dei numeri dei sequestri ai clan dediti al­lo ’strozzo’: 41 milioni di euro al clan Terracciano emigrati in Toscana, 70 milioni di euro al clan Moccia nel Na­poletano, 15 milioni al clan Parisi in Puglia, 5 milioni alla cosca Facchi­neri che operava in Lombardia, 50 milioni alla famiglia di origine zinga­ra dei Casamonica a Roma. Al Sud come al Nord, dunque. E ovunque il metodo è violento. «Non ti permet­tere più di riattaccarmi il telefono in faccia perché dove ti trovo ti spacco la testa con la mazza, hai capito?», minaccia un esponente del clan Bi­dognetti (uno dei gruppi ’storici’ dei Casalesi), ’fuori casa’ in Toscana. Ma non è solo violenza. Soprattutto a fronte della crisi e della difficoltà di accedere al credito. Mentre le ’ban­che delle mafie’ sono sempre dispo­nibili. «Ritornerei a restituirgli quel­lo che ho pagato. Se non fosse stato per loro il mio negozio ora sarebbe sparito», si sfogava al telefono un commerciante dopo aver rimborsa­to al clan D’Alessandro un prestito col 120 per cento di interessi.

Un fenomeno gravissimo, che viene spesso aggravato per gli imprendito­ri dai ritardati pagamenti della pub­blica amministrazione. Così tra il martello dei ritardi degli enti locali e l’incudine della stratta creditizia fi­niscono nella mani della mafie, col rischio di perdere soldi e azienda. Per questo, ha sottolineato il Commissa­rio straordinario antiracket e antiu­sura, Elisabetta Belgiorno, «sono ne­cessarie iniziative per far sentire que­ste persone meno sole, per accom­pagnarle nella denuncia e nel cerca­re una soluzione. Ma – aggiunge – bi­sogna sburocratizzare le procedure di sostegno». Si dice d’accordo il sot­tosegretario all’Interno, Carlo De Ste­fano. «Dobbiamo mettere il campo tutto il possibile almeno per argina­re il fenomeno. Ma il Fondo di soli­darietà deve operare con maggiore velocità e vicinanza alle persone col­pite ». E questo, denuncia, «perché u­sura e racket, che sono le due facce della stessa medaglia, sempre in ma­no alle mafie, annullano la libertà del­le persone. Per questo oltre al con­trasto è necessaria più prevenzione». Usura, dunque, come «vera e propria schiavitù, che distrugge economia e persona», aggiunge don Ciotti ricor­dando le parole di Giovanni Paolo II: «Una vergognosa e tremenda piaga sociale». Proprio per questo, si ap­pella, «serve un’assunzione di re­sponsabilità maggiore da parte di tut­ti ».