Gabriele Beccaria, TuttoScienze, la Stampa 31/10/2012, 31 ottobre 2012
ECCO LE STELLE ALLA DERIVA NEGLI ALONI DI MATERIA OSCURA
La materia oscura è uno dei grandi misteri della scienza: è - con l’energia oscura - la causa più accreditata per spiegare l’aumento della velocità di espansione dell’Universo. Un altro mistero, invece, nasce dalla scoperta che ci sia più luce nel cosmo di quanta ce ne dovrebbe essere, se si somma quella emessa da tutte le sorgenti conosciute. Luce e oscurità, insomma, tormentano astrofisici e cosmologi.
Ora un articolo su «Nature» propone una soluzione al secondo enigma, tirando dentro nella soluzione anche il primo, e così legando l’uno e l’altro in un abbraccio svelato dall’occhio a infrarossi del telescopio spaziale «Spitzer», lo strumento della Nasa in orbita intorno al Sole.
Il punto di partenza sono gli «aloni» di materia oscura, vale a dire gli enormi bozzoli di massa che avvolgono le galassie e che rappresentano la maggior parte della materia presente nel cosmo. Invisibili - si ripete - anche se non è del tutto vero: un team di scienziati statunitensi - guidati da Edward Wright della University of California at Los Angeles - sostiene che quelle «sacche» siano tutt’altro che vuote e contengano in realtà gruppi di stelle orfane, in un disordine che finora ha confuso le idee ai ricercatori.
Strappati alle galassie d’origine - ipotizza il team californiano - questi corpi sono costretti a una seconda esistenza, in tono minore, prigionieri della morsa della materia oscura. Ma la loro umbratile presenza si fa comunque sentire attraverso le cosiddette «fluttuazioni». Invece di generare sorgenti luminose identificabili, creano un «effetto sabbia»: è qualcosa che assomiglia alla perdita di segnale delle tv. Ed ecco perché l’Universo ha «più luce» del previsto.
Le spiegazioni che finora andavano per la maggiore non hanno convinto Wright. Che, anzi, le ha demolite. La prima sosteneva che le colpevoli fossero galassie lontanissime, troppo remote per farsi identificare con certezza. La seconda ipotizzava che non fossero così lontane - «solo» 4 o 5 miliardi di anni luce da noi - ma che fossero troppo deboli per manifestarsi come corpi di serie A. Secondo Wright e Asantha Cooray, astronomo all’università di Irvine, i dati raccolti dalle osservazioni di «Spitzer» evocano un altro scenario. Invece della contrapposizione tra punti luminosi e sfondi bui, una luminescenza all’infrarosso diffusa, che trasforma un’altra volta la concezione che abbiamo dell’Universo. Ecco perché si annunciano subito nuove ed emozionanti ricerche.