Franco Bechis, Libero 30/10/2012, 30 ottobre 2012
NIENTE GALERA PER SALLUSTI MA VOGLIONO CHE LAVI I CESSI
[L’ultima dei senatori sulla diffamazione: basta cella, lavori di pubblica utilità] –
In Senato ieri i politici hanno avuto un momento di tenerezza per i giornalisti. Così è passato un pacchetto di emendamenti identico che dimezza le pene pecuniarie previste per la diffamazione: la nuova legge prevedeva in caso di condanna una pena pecuniaria fra 5 mila e 100 mila euro, con il voto il tetto massimo è stato dimezzato e portato a 50 mila euro. Visto che si era in buona, soppresse anche due altre norme pesantine che facevano parte del testo della cosiddetta salva- Sallusti approvato in commissione giustizia.
VIA LE NORME
La prima era quella che raddoppiava le pene in caso di recidiva nei due anni successivi: la norma è saltata. La seconda era quella che stabiliva una aggravante in una sorta di associazione a delinquere commessa ai fini della diffamazione fra direttore o vicedirettore del giornale insieme a due giornalisti che scrivevano l’inchiesta. Anche questa norma è saltata. Il cuore buono dei senatori si è fermato lì. Conoscendo gli umori un po’ ballerini in ogni gruppo- visto che a molti di loro hanno avuto bracci di ferro con giornali e siti Internet, il capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro, ha proposto di rimandare il testo in commissione. Lì fra addetti ai lavori sarebbe stato più facile trovare accordi su norme giuridicamente corrette e perfino di buon senso. Il rischio era però di allungare fortemente i tempi. E visto che la legge è stata pensata per evitare il carcere all’attuale direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti (che è in parte vittima di un palese errore giudiziario), il motivo principale di tanto dibattere di libertà di stampa e dignità della persona offesa, sarebbe andato a farsi benedire. Buona legge, e Sallusti in carcere? Norme un po’ abborracciate e Sallusti libero?
DUE STRADE
Il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri ha preferito la seconda strada. Si è messo ai voti, e ha vinto lui per un solo voto. Il clima dell’aula però è diventato esplosivo. Quasi tutti i senatori intervenuti hanno preso la parola sostenendo che i giornalisti in questi giorni stanno diffamando il loro lavoro raccontando panzane proprio su questo dibattito.
La Finocchiaro se l’è presa - senza citarla per nome - con Repubblica: «In occasione», ha spiegato, «della nostra ultima seduta il commento che se ne è avuto il giorno dopo su un quotidiano, uno dei più grandi ed autorevoli quotidiani italiani, era tale da tradire non soltanto lo spirito della seduta, ma addirittura la stessa realtà dei fatti».
L’EMENDAMENTO
A dare fuoco alle polveri poi ha pensato il senatore del terzo Polo (quota Rutelli), Franco Bruno. Che ha presentato un emendamento per aggiungere un carico da novanta a fianco della pena pecuniaria per qualsiasi condanna per diffamazione: «La pena del lavoro di pubblica utilità da tre mesi a un anno». L’emendamento non è passato di un soffio, ma ha scatenato un dibattito lunghissimo, utile per capire in che clima avvenga questo voto. Contrario per buon senso il senatore Luigi Li Gotti, celebre avvocato ora eletto nell’Italia dei valori: «Ciò significa che il condannato non può lavorare per un anno perché in quel periodo deve svolgere il lavoro di pubblica utilità che non sarebbe ovviamente quello di giornalista ma quello che il giudice decide. Potrebbe essere qualunque cosa». Favorevolissimo il leghista Roberto Castelli: «Nel sistema anglosassone la condanna ai lavori di pubblica utilità è considerata una valida alternativa al carcere e, fra l’altro, altamente educativa perché ha in sé anche un forte connotato democratico». L’ex ministro del Carroccio di fronte a chi obiettava su questo sistema di rieducazione dei giornalisti, ha replicato: «Credo che tutti ricorderanno la vicenda che ha riguardato delle famosissime modelle (si riferiva forse a Naomi Campbell e a Lindsay Lohan, ndr) condannate a pulire dei bagni di scuola. In questo modo hanno fatto un grande bagno di umiltà che sarebbe utile a tutti quelli che si sentono per questioni divine superiori alla legge. Pensiamo a quanti giornalisti nel nostro Paese potrebbero meritare una pena del genere che sarebbe del tutto civile perché evitando il carcere eviterebbe le situazioni prima ricordate».
IL CASO-WIKIPEDIA
D’accordo con lui il Pdl Filippo Saltamartini: «Si tratta di una sanzione che risponde perfettamente ai requisiti della rieducazione sulla base del nostro ordinamento civilistico e anche di quello europeo». Poi è iniziata la battaglia contro Wikipedia che non fa le rettifiche biografiche chieste da alcuni senatori. I lavori si sono interrotti, tutti a cena. Si torna a discuterne da questa mattina per tutta la giornata.