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 2012  ottobre 30 Martedì calendario

«Caro Prezzolini, per il “Giornale” tu meriti il Nobel» - Per gentile concessione del­l’editore Rizzoli, pubblichia­mo due lettere finora inedite di Indro Montanelli a Giusep­pe Prezzolini tratte dal libro Nella mia lunga e tormentata esistenza

«Caro Prezzolini, per il “Giornale” tu meriti il Nobel» - Per gentile concessione del­l’editore Rizzoli, pubblichia­mo due lettere finora inedite di Indro Montanelli a Giusep­pe Prezzolini tratte dal libro Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita (in uscita oggi, pagg. 410, eu­ro 19,50): un’antologia di let­tere curata da Paolo Di Paolo. di Indro Montanelli Caro Prezzolini, la notizia non era passa­ta sotto i miei occhi ( Monta­nelli risponde a una lettera di Prez­zolini in cui lo scrittore si lamenta con Indro il quale aveva dato spa­zio, sul Giornale , alla sua candida­tura al premio Nobel per la Lettera­tura. «Io non sono uno scrittore»pre­cisa Prezzolini, «sono soltanto uno che scrive e vende i suoi scritti a chi li vuole pubblicare in giornali o libri» , ndr). Quando la lessi già stampata, midissi:«Orac’èdasentirlo...»,ein­fatti ti abbiamo sentito. Ma, visto che siamo in argomen­to, e anche a costo di farti prendere un’altra delle tue solite arrabbiatu­re (che, a quanto pare, fanno bene alla tua salute, se seguiti a prender­le da quasi novantott’anni), lascia che ti dica fino in fondo ciò che pen­so. Non te lo daranno di certo, ma il Nobel a Prezzolini farebbe molto più onore al Nobel che a Prezzolini. Così come il Senato a vita farebbe molto più onore al Senato che a Prezzolini, il più grande animato­re, ispiratoreeimpresariodellacul­tura italiana di questo secolo. Ecco,ora l’ho detta e tiéntela.To­glimi pure il saluto, o scrivimi una seconda lettera di protesta: te la pubblicherò. Ormai ho perso ogni speranza di liberarmi di te, mio bi­sbetico e insopportabile, ma inimi­tabile e sempreverde maestro. A co­sto di procurarti addirittura un tra­vaso di bile, ti avverto che noi del Giornale ci apprestiamo a erigerti una statua per il tuo centenario. E, salvo quelli a Stalin,il tuo sarà –cre­do – il primo monumento dedicato a un vivente. 13 ottobre 1979 Caro Prezzo, ancora una volta ti sei sbagliato. Non ho detto as­solutamente nulla, nemmeno a me stesso, della tua andata al Cor­riere . E non perché la cosa mi ab­bia lasciato indifferente. Tu sai quanto terrei alla tua collaborazio­ne, e quanto l’ho cercata e voluta. Ma perché ti so ossessionato dalla paura – non so quanto fondata – dell’indigenza, e mi rendo conto che la cura che ti può propinare il Corriere contro questa malattia è più efficace di quella che potrei propinarti io. Comunque ti dirò che, anche se avessi pen­sato male di te, la tua lettera baste­rebbe a farmi ri­credere. Il fatto che tu apparenti il nostro Giorna­le alla tua Voce è per me un tale elo­gio da compensarmi ampiamente dell’infe­deltà che hai consumato ai miei danni. L’unica cosa che non voglio sen­tir ti dire è che La Voce fu il tuo più grande sbaglio. No. La Voce è eri­mane il tuo blasone e il motivo per cui gli uomini come me seguitano a riverire Prezzolini, malgrado Prezzolini, cioè malgrado il suo ca­ratteraccio. So che questo discor­so non ti piace. Ma io te lo faccio lo stesso perché se nella diagnosi su­gli italiani mi trovo perfettamente d’accordo con te, non altrettanto mi trovo d’accordo sulle conclu­sioni da trarne per ciò che riguar­da noi e i nostri impegni. Tu oramai puoi consentirti tut­to: hai fatto per questo Paese mol­to più di quello che era il tuo dove­re. Io ho fatto molto meno di te, ma sento di poter dare ancora qualco­sa, qualcosa che non servirà asso­lutamente a nulla, salvo a metter­mi un po’ in pace con me stesso. Cosa sarebbe la mia vita senza il Giornale ? Una lunga giornata pie­na di sbadigli e di malinconie. Col Giornale , è un seguito di arrabbia­ture e di delusioni, ma il buio arri­va con la sensazione di avere fatto il pieno: il pieno di errori e di scioc­chezze, se vuoi, ma il pieno. Non ti avevo più scritto non per qualche rancore, ma solo perché questa mia voce quotidiana mi succhia tutto il fiato. Ma non ho mai smesso di volerti bene, di con­tinuare a sentirmi per almeno tre quarti figlio tuo. Ora sono felice di vedere che anche tu a me un po’ di bene lo vuoi, almeno quanto ba­sta per compassionarmi. Spero che al Corriere ti troverai malissimo, che il falso cinismo di cui ti sei corazzato non basti a non fartene sentire la delusione. In questo caso, sappi che io ti aspetto sempre a braccia aperte, e che alla tua asciutta ed essenziale intelli­genza non contrapporrò mai la tromboneria di un Bacchelli. 26 marzo 1981