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 2012  ottobre 29 Lunedì calendario

Per essere notati dalla critica bisogna buttarsi dalla finestra - «T i abbraccio fratel­li­no mio e non illu­mino il tuo buio

Per essere notati dalla critica bisogna buttarsi dalla finestra - «T i abbraccio fratel­li­no mio e non illu­mino il tuo buio. Non ci riesco nemmeno con il mio». Sedici giu­gno 2008: Simone Cattaneo mi grif­fa il secondo libro, Made in Italy . A pagina 35 , il suo autoritratto. La fo­totessera: «Troppo bello per essere un pugile,/ troppo brutto per fare il magnaccia». Il mestiere: «senza la­voro e inzuppato di grano ». La pro­fezia: la «vecchia strega del quartie­re » strologa che Simone morirà «presto a ventisette compiuti». L’ammaliatrice che gioca coi taroc­chi ha sbagliato di una manciata di anni, otto per la precisione. A venti­sette anni muoiono le rockstar, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Kurt Coba­in, Janis Joplin; a trentacinque o giù di lì ci lasciano i poeti, Giacomo Leo­pardi, Arthur Rimbaud, Aleksandr Puskin. Questo direbbe il mio ami­co Simone Cattaneo. Nel 2002 Simone è rovesciato per metà dentro il bagagliaio di un’au­tomobile. Al suo fianco c’è una mo­ra niente male, forse siamo al lago d’Orta. Sorride mentre estrae una piladilibri: iltitoloè Nome e sopran­nome , lui pare Mosè con le tavole, Alì che mostra al mondo la cintura dicampionedeipesimassimi. Ilpri­mo libro possiede una violenza epi­grammatica, radiosa, tra Vangeli gnostici e Fëdor Tjutcev: «E in fon­do le parole non hanno peso/ sono solo un compromesso fra pietre e nubi,/ un vapore brillante che ti le­ga a sé/ come un torrente d’acciaio in fonderia/ che gli occhi non devo­no vedere/ per non lasciarsi consu­mare/ dalla rabbia del rame».Catta­neo, nel 1999 è già stato canonizza­to da Giuliano Ladolfi nell’antolo­gia epocale «di poeti nati negli anni Settanta» L’operacomune ( tra le at­tuali starlette letterarie partorite da quel tomo ci sono Laura Pugno, au­trice Einaudi e Minimum Fax, Fla­vio Santi, ora in scuderia Rizzoli, Eli­sa Biagini, tutelata da Einaudi). Ro­berto Roversi entra in sintonia con il talento di Simone, corrusco, pri­vo di vezzi lirici, scurrile, scuoiante, «c’è anche qualcosa di infernale... inquestitesti,editerribile»,parladi «frasi che ti colpiscono come pugni allo stomaco». Siamo ancora nel 2002, dieci an­ni dopo, oggi, Simone giace nel ci­mitero di Saronno. Muore nel 2009,e in una decina d’anni pubbli­ca due libri ( entrambi per le Edizio­ni Atelier) che insieme fanno set­tanta poesie in tutto. Ne restano al­tre 33, già allestite da Simone in un volume pronto per essere pubblica­to, Peace&Love , e che vede luceso­lo quest’anno ( raccogliendo anche i primi due libri) per Il Ponte del Sa­le ( Rovigo 2012,pagg.122,Euro 15). Un centinaio di poesie: questa è l’eredità, fragile come una foglia, duratura come un’incisione su pie­tra, di Simone. Il poeta Simone Cat­taneo continua a dare fastidio, an­che post mortem. In molti hanno ri­fiutato di pubblicare versi come questo, «Spompina dietro la stazio­neGaribaldipercomprarsiChanel n˚ 5/ e imitare Marilyn Monroe», e via precipitando nell’osceno che è l’uomo,nel gorgo del perverso.I let­terati puri di cuore (e poveri di ge­nio), i critici con la fedina bibliogra­fica trapuntata di diamanti, si sono dimenticati la legge più antica della letteratura: uno scrittore sfonda il male, lo feconda con la sua scrittu­ra, donandoci gli antidoti per vin­cerlo. Sperimenta tutto per noi, sof­fre ogni male per esiliarci dalla soffe­renza, si sacrifica, si scotenna per la nostra salvezza. Ma a nessuno im­porta più della letteratura, tanto meno ai letterati, che vogliono il po­sto fisso nelle antologie scolasti­che, il prepensionamento dal ge­nio, il sindacato degli scrittori e uno scranno al Senato. Volete il risvolto critico, la quarta di copertina?Anch’essa ha una da­ta: 27 febbraio 2006, Teatro Nazio­nale di Milano, concerto di Lou Re­ed. «Ti ho regalato un biglietto in pri­ma fila, andiamo a sentire l’odore da malinconico, bastardo ebreo di Lou». Facciamo il compleanno quasi insieme io e Simone, lui il 5 febbraio, io l’8, lui è di cinque anni più grande. Lou Reed, Leonard Cohen, Abel Ferrara, Martin Scor­sese: questi sono i riferimenti lette­rari di Simone. Amava Denis John­son e Ossip Mandel’stam, antepo­neva Davide Brullo a Cormac Mc-Carthy, mi ha regalato Donnie Bra­sco , il suo film preferito era Ilcaccia­tore , riteneva che «il più grande ro­manzo italiano di tutti i tempi è Il principe di Machiavelli», per il mio matrimonio mi ha ficcato in mano una busta con 500 euro dentro. Uno così, ovviamente, attirava i so­spetti degli zombie che tengono in piedi la cristalleria letteraria italica. A tre anni dalla morte si è accorto di lui anche il Corriere della Sera , il tri­mestrale Atelier , di cui era redatto­re, lo onora con un numero mono­grafico dove riappaiono le poesie delle origini, già compiute (lo chie­dete qui: redazione@atelierpoesia.it), e un immane repertorio critico. E ora, tutto, forse, è più chiaro. Di fronte a Simone impallidiscono le geometrie visionarie di Milo De An­gelis, si squagliano i ghirigori nella tenebra di Davide Rondoni, si sbri­ciolano i monologhi di Roberto Mussapi e i grigiori di Maurizio Cuc­chi. Siamo di fronte a un radicale de­nudamento delle menzogne liri­che, a un vigoroso azzeramento. Al funerale di Simone eravamo in sei: dov’erano tutti i poeti che si faceva­no­offrire voluminose birre da Cat­taneo il selvaggio? Tutti abbiamo voluto essere come Simone, lirici geniali che incendiano l’accade­mia, uomini al di là di ogni norma, seduttori india­volati. Il poeta gobbo e sfigato trovava in Simo­ne resurrezione in mu­scoli, carisma, splendi­de bestemmie. Ne abbiamo sottovalu­tato il micidiale dolo­re. Io di certo. Nelle prime ore del 10 settembre 2009 vengo trafitto da un sms, «Stasera muoio. Ti ho voluto bene». L’ultima de­dica che ho ricevuto daSimone. Dalgior­no del funerale, non visito la tomba di Si­mone. Con Simone, in sei, abbiamo sep­pellito la fede nella letteratura. Perché la letteratura si ac­corgesse di un poeta ci è voluto il morto, il volo pindarico dal settimo piano di una palazzina di Sa­ronno. La lirica do­minante( queibran­delli di poesia che le grandi major edito­riali stampano co­me morfina) degli ul­timi trent’anni è corrotta dal clien­telismo, favorita dall’indifferenza pubblica. Ciò non significa che qualcosa d’interessante non sia sbucato: le cattive azioni finiscono per procrearne di buone. Ma io non credo più a ciò che leggo in libreria. Per me la poesia è un tizio che svo­gliatamente mi offre il suo libro di li­riche, fabbricato in casa, con la sa­pienza che le cose belle vanno cu­stodite nel pudore. Simone mi ha in­segnato che l’unico metro estetico ragionevole, in un tempo che non conosce cos’è bene e cosa è male,è il dolore. Quanti morti hai subito? Quanti dolori ti hanno trapanato? Più ne hai più la tua opera sarà au­tentica. Cari poeti, per scrivere una grande opera fatevi spaccare la fac­cia.