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 2012  ottobre 29 Lunedì calendario

Stabilità, legge da rifare Un fisco più leggero per uscire dalla crisi - È tutto sbagliato, è tutto da rifare

Stabilità, legge da rifare Un fisco più leggero per uscire dalla crisi - È tutto sbagliato, è tutto da rifare. Non l’ha detto solo Silvio Berlusconi fin dal­l’inizio della crisi. Lo ha detto da ul­timo il Fondo monetario interna­zionale; lo afferma da tempo una vastissima letteratura scientifica; lo hanno detto, fin da subito, pre­mi Nobel del calibro di Paul Krug­man e Joseph Stiglitz e banchieri centrali. Ormai lo pensano tutti. La politica economica di Angela Merkel e di Mario Monti non ha ri­solto nulla, ha solo aggravato i pro­blemi, con i tanti sacrifici chiesti agli italiani per niente. Ci siamo svenati, ma il debito pubblico è au­mentato, è aumentata la disoccu­pazione, l’inflazione e la pressio­ne fiscale. Sono precipitati i consu­mi ed è crollato il Pil. Ecco a cosa sono serviti sangue, sudore e lacri­me: a nascondere la cattiva co­scienza di un’Europa a trazione te­desca, che ha perso la sua missio­ne. Una volta, la sigla del Fondo monetario internazionale, che in inglese è Imf, veniva declinata da­gli addetti ai lavori in It’s mostly fi­scal , data l’impostazione rigorista della politica economica del Fon­do, specialmente nei periodi di cri­si. Ebbene,nell’ultimo World eco­nomic outlook , l’istituzione di Washington ha abbandonato il dogma sull’austerità, per abbrac­ciare la teoria della crescita. In particolare, il Fondo moneta­rio internazionale ha rilevato ri­schi di «avvitamento»delle econo­mie dell’Eurozona, derivanti dal­le stringenti manovre di consoli­dament­o dei conti pubblici attua­te dai governi in periodi caratteriz­zati da congiuntura economica negativa. Secondo le analisi di confronto internazionale svolte dal Fondo, alcuni errori di previ­sione della crescita, effettuati ne­gli ultimi anni da quasi tutti gli en­ti preposti a tali stime, indicano la presenza di una sistematica sotto­valutazione dell’im­patto delle mi­sure di rigore sulla crescita econo­mica. Oggi più di ieri il rigore fa ma­le alla crescita e allontana dram­maticamente la ripresa. Altro che compiti a casa. Altro che salva Ita­lia. L’Istat ha rilevato il peggiora­mento del saldo del bilancio pub­blico: più tasse hanno prodotto meno gettito, perché la crisi ha ri­dotto la base imponibile. Gli interventi di politica econo­mica devono essere disegnati at­tentamente, al fine di minimizza­re l’effetto negativo sulla crescita di breve termine e, soprattutto, di aumentare il potenziale di svilup­po a medio termine. Nell’ultimo anno tutto questo non è stato tenu­to in debito conto. Anzi, con la pi­stola dello spread puntata alla tempia, il governo ha consapevol­mente fatto il contrario. In sintesi: abbiamo sbagliato tutto. E se ce lo dice il Fondo mone­tario internazionale, e lo confer­ma l’Istat, c’è da crederci. Abbia­mo sbagliato tutto in Italia e nel­l’eurozona, con le politiche san­gue, sudore e lacrime che l’Euro­pa tedesca ha imposto ai paesi sot­to attacco speculativo, secondo una visione (errata) della crisi, det­tata dal pedagogismo calvinista di Angela Merkel, per cui lo spread alto è colpa degli Stati, che devono per questo autopunirsi e fare i compiti a casa. Drammatici e inutili compiti a casa che il no­stro paese ha puntualmente svol­to con il governo Monti, che appe­na insediato ha scelto la via più breve per il risanamento dei con­ti: alzare le tasse. Senza valutare gli effetti che una tale decisione avrebbe avuto sul tessuto econo­mico e sociale del paese. Ed è così che l’effetto cumulato delle manovre (dal 2008 al 2014), finalizzate al conseguimento del pareggio di bilancio nel 2013, che hanno caratterizzato l’ultima legi­slatura, ha raggiunto quota 328 mi­liardi di euro, sottoponendo il no­st­ro paese a uno stress insopporta­bile. Manovre che non sono anco­ra finite, perché ad esse si va ad ag­giungere la Legge di stabilità per il 2013, attualmente in discussione in Parlamento, che avrà un ulterio­re impatto sulle finanze pubbli­che, nel triennio 2013-2015, di 11,6 miliardi. Una legislatura l’ultima caratte­rizzata dall’estate dell’anno scor­so dalla più profonda crisi econo­mica e finanziaria della moneta unica e dai conseguenti attacchi speculativi alla nostra economia e a quella dei paesi considerati più deboli dell’eurozona,iniziata con i mutui subprime nell’estate del 2006 negli Stati Uniti, che si è poi trasferita dalla finanza privata al­la finanza pubblica, nella forma di speculazione sui debiti sovrani. Crisi che ha messo a nudo soprat­tutto l’incapacità dell’Unione eu­ropea di reagire agli attacchi alle fi­nanze pubbliche di singoli Stati nazionali, cedendo di fatto la pro­pria sovranità allo Stato tedesco e allineandosi passivamente alle ri­cette da questo imposte a tutta l’Eurozona. L’egemonia e l’egoismo dei te­deschi, soprattutto nell’ultimo an­no e mezzo, hanno di fatto blocca­to, a livello di Eurozona, le riforme necessarie; Mario Draghi nella sua volontà di acquisto da parte della Bce di titoli di Stato con vita residua fino a 3 anni; il Meccani­smo europeo di stabilità; l’unione bancaria; mentre di unione eco­nomica ( eurobond) e politica nes­suno parla più. L’unica cosa che non è stata bloccata è il masochi­smo del rigore imposto ai paesi sotto attacco speculativo. Ed è così che la nostra econo­mia­e la nostra società proprio di ri­gore stanno morendo. E l’austeri­tà, se declinata senza le opportu­ne misure per la crescita, ci allon­tana, paradossalmente, dal rag­giungimento degli obiettivi di risa­namento della finanza pubblica e si finisce per ridurre drasticamen­te l’efficacia della politica moneta­ria del presidente della Banca cen­trale europea, Mario Draghi. Per tutte queste ragioni, l’esame in corso in Parlamento sulla Legge di stabilità per il 2013 va svolto non solo con riguardo a quanto in essa contenuto, ma anche, soprat­tutto, alla luce di questi ultimi 5 an­ni di crisi, della politica economi­ca che ne è conseguita, delle ma­novre e dell’evoluzione della go­vernance economica, finanziaria e istituzionale in Europa. La Legge di stabilità, ricordia­mo, rappresenta il punto nodale del Semestre europeo: prevede che ogni anno, entro fine aprile, il governo presenti al Parlamento il Documento di economia e finan­za ( Def), che al suo interno contie­ne il Programma di stabilità ( Pds), vale a dire le strategie di bilancio definite dal governo, elaborate sulla base di specifiche analisi del­le tendenze della finanza pubbli­ca, e il Programma nazionale di ri­forma (Pnr), cioè l’agenda delle azioni da intraprendere per conse­guire gli obiettivi dichiarati. Infi­ne, entro il 15 ottobre di ogni an­no, in ossequio al Semestre euro­peo, il governo presenta al Parla­mento, appunto, la Legge di stabi­lità, che costituisce la manovra di finanza pubblica e rappresenta lo strumento principale di attuazio­ne degli obiettivi programmatici definiti con il Def. Alla luce di tutto quanto abbiamo detto, quest’an­no, la Legge di stabilità per il 2013 può essere considerata in 2 modi: o l’ultima, fallimentare, di un quinquennio, con i caratteri del ci­clo sopra esposti; o la prima, di speranza, per una nuova fase. L’obiettivo deve essere la rifor­ma delle riforme: quella fiscale. Conosciamo tutti la stretta corre­lazione tra pressione tributaria e crescita. Noi siamo arrivati a un li­vello insopportabile di tassazione che, insieme alle altre inefficienze strutturali della nostra economia, finisce per vanificare qualsiasi possibilità di essere competitivi. E proprio la pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese è il nodo centrale in questa congiuntura economica e dopo 5 anni di crisi. Da qui la proposta di incentrare sul tema del fisco la discussione sulla Legge di stabilità e l’esigenza di chiedere al governo profonde e opportune modifiche al testo ap­provato dal Consiglio dei mini­stri. In tal modo si potrà porre ri­medio a una grave mancanza del governo, che non ha ascoltato, pri­ma del varo della Legge di stabili­tà, non si sa se per arroganza o per mancanza di tempo, né la sua maggioranza né le parti sociali. Né i professori hanno studiato la letteratura scientifica più recente in termini di efficacia della politi­ca economica in tempi di crisi. A questo punto la Legge di stabi­lità deve totalmente cambiare. Al­trimenti, se non c’è la volontà di renderla il primo atto di una nuo­va strategia di politica economi­ca, non più subalterna all’Europa tedesca di Angela Merkel, meglio non farne nulla. Diventerebbe so­lo u­no stucchevole pasticcio redi­stributivo pre-elettorale. Tanto gli spread non dipendono da noi. Ma dall’Europa cinica ed egoista di Angela Merkel, come ben sa il presidente Monti.