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 2012  ottobre 31 Mercoledì calendario

La «razza Piave», per quanto diluita, resta «razza Piave». È la tesi che emerge dalle parole dell’assessore alla Identità veneta e ai flussi migratori della Regione Veneto, il leghista Daniele Stival

La «razza Piave», per quanto diluita, resta «razza Piave». È la tesi che emerge dalle parole dell’assessore alla Identità veneta e ai flussi migratori della Regione Veneto, il leghista Daniele Stival. Il quale ha spiegato a Matteo Mohorovicich della Rai, a margine del raduno a Verona dei «Veneti nel mondo», di volere portare da tre a cinque generazioni il riconoscimento della «veneticità» dei pronipoti dei nostri emigranti per allargare anche a loro le concessioni di una legge regionale nata per aiutare quelli che, a distanza di decenni, vogliono tornare all’antica patria dei nonni. Si tratta della legge 2/2003, fatta quando il predecessore di Stival era un altro leghista, Ermanno Serrajotto, che fece distribuire nelle scuole il libro agiografico «Noi veneti» che non citava mai (mai) pittori come Giorgione o Tintoretto, Tiziano o Canaletto, mai musicisti come Vivaldi o Albinoni, Benedetto Marcello o Monteverdi, mai scrittori come Ruzante o Tommaseo, Parise o Buzzati, ma in compenso spiegava i 58 modi in cui si può chiamare la coccinella nei vari dialetti veronesi (violeta, boarina, sgoleta, cocheta…) e su circa duecento pagine dedicava 8 righe (otto!) all’emigrazione di quattro milioni di veneti con un disegnino che pareva fossero finiti tutti in Brasile. Una legge generosa: per il solo 2011 ha previsto 600 mila euro per «Iniziative di informazione, istruzione e culturali a favore dei veneti nel mondo per agevolare il loro rientro», 50 mila per la «Celebrazione della giornata dei veneti nel mondo», 200 mila per le «Agevolazioni e interventi relativi alla sistemazione abitativa e per favorire e facilitare il rientro dei veneti nel mondo», 150 mila per il «Fondo nazionale politiche sociali, agevolazioni e interventi socio-assistenziali per favorire e facilitare il rientro dei veneti nel mondo». Fino, appunto, alla terza generazione. Da allungare in prospettiva, come dicevamo, alla quinta. Per carità, evviva il ricordo. Ma chi conosce l’emigrazione italiana e veneta un po’ meglio dell’assessore Stival e ama profondamente quei nostri nonni che se ne andarono a «catàr fortuna», avverte un brivido davanti all’orgoglio per quel «sangue veneto» fino alla quinta generazione. Fatevi i conti: verrebbe riconosciuto «di stirpe veneta» con diritto di precedenza, se abbiamo capito bene, anche chi ha un trisnonno partito centoventi anni fa dall’Agordino o dal Polesine. Vale a dire chi, tra un papà e una mamma, quattro nonni, otto bisnonni e sedici trisnonni, ha conservato un trentesimo di «puro sangue di razza Piave» sia pure mischiato a quello di nonni e bisnonni che possono essere stati tedeschi, angolani, portoghesi, cinesi, arabi, senegalesi, francesi, spagnoli e così via… E nel frattempo non viene considerato italiano e men che meno veneto, magari, quel ragazzino cinese che quindici anni fa vinceva il primo premio del Circolo dialettale bellunese «Al Zenpedon» con la poesia «An fià par òn». Un po’ per uno.