Marco Imarisio, Corriere della Sera 31/10/2012, 31 ottobre 2012
«Gli mancava solo la bava agli angoli della bocca». È la battuta più spietata, anche meno di 140 caratteri per collegarsi alla scena madre della Prima Repubblica, a quel momento di massima potenza che ha definito la sua carriera da magistrato e arato il solco per la carriera politica
«Gli mancava solo la bava agli angoli della bocca». È la battuta più spietata, anche meno di 140 caratteri per collegarsi alla scena madre della Prima Repubblica, a quel momento di massima potenza che ha definito la sua carriera da magistrato e arato il solco per la carriera politica. Terribile, la nemesi del web e il tempo che passa. Soltanto nel 2010, quindi un secolo fa, Antonio Di Pietro era portato ad esempio dal Wall Street Journal come l’unico politico italiano che avesse capito qualcosa di comunicazione su Internet. A quel tempo, Silvio Berlusconi regnante, l’ex magistrato di Mani Pulite stava a Internet come le vacche, nel senso dei bovini, all’India. Come cambiano le cose, come cambiano in fretta. D’accordo, Report, che per molti è una sorta di Cassazione della realtà, e soprattutto le immagini di un Di Pietro impacciato come mai prima. Ma il paragone con i problemi di salivazione di Arnaldo Forlani sul banco degli imputati, incalzato da un magistrato che poi avrebbe fatto carriera in altro settore, quello no. Sono gli sberleffi, firmati anche da dipietristi delusi, a certificare un cambio definitivo nella percezione diffusa dell’Italia dei valori e del suo leader. C’è da chiedersi il perché di questo sdoganamento dell’anti dipietrismo davanti a storie che in passato furono portate avanti solo da pochi giornalisti, puntualmente tacciati di berlusconismo acuto. E come risposta non può bastare la maledizione dell’undicesimo anno teorizzata da Elio Veltri, che nel 1981 lasciò Bettino Craxi e nel 1992 si sa quel che accadde, e nel 2001 ha rotto i ponti con l’attuale presidente dell’Idv. «La sua caduta libera è dovuta agli stessi motivi per i quali me ne andai. Non mi piacevano le persone che stavano entrando nel partito. Alle mie obiezioni Antonio mi rispondeva canzonandomi, mi diceva che io volevo un partito di duri e puri. Avrebbe dovuto essere anche il suo obiettivo, ma è finita in ben altro modo». La conclamata debolezza politica, con l’Italia dei valori snobbata dal Pd e sbeffeggiata nella sua richiesta di apparentamento con Grillo, può forse spiegare la consueta corsa al bastonamento del cane che affoga. Ma non dice nulla su una ben rapida discesa, al confine con il crollo, dal piedistallo della virtù. Per quello bisogna rivolgere lo sguardo in basso, verso la periferia del partito. Pochi luoghi come la Liguria raccontano dell’attuale sgretolamento di antiche certezze, o speranze. Sotto la patina di una Marylin Fusco, vicepresidente regionale appena dimessa causa inchiesta della magistratura, si nasconde una selezione del personale politico che sembra il bar di Guerre stellari. In questi anni sono passati nella squadra dell’Idv locale: un ex vigile divenuto consigliere provinciale che si intascava le multe pagate dai cittadini; un ex finanziere segretario provinciale arruolato nel partito nonostante fosse accusato di concussione, peculato e falso, per via dell’abitudine a ricattare i baristi del circondario; una candidata alle Regionali del 2010 che faceva distribuire le sue foto elettorali a un sostenitore della legalità condannato a vent’anni di carcere per spaccio di droga. Claudio Burlando, governatore di una giunta con l’Idv al suo interno, ha una tesi, esposta con qualche malizia. «I partiti con meno radici, come l’Idv, faticano a darsi una struttura. Così, in alcuni casi sbagliano a scegliere la propria classe dirigente». Deve essere successo anche altrove. In Emilia Romagna fino al 2010 il volto dell’Idv era il sorriso rubizzo di Paolo Nanni, oggi accusato di peculato per i fondi trattenuti nel quinquennio 2005-2010 quando era capogruppo di se stesso, unico eletto in Regione, e aveva ricevuto contributi per 450 mila euro. Celebri i suoi convegni, che avevano la curiosa caratteristica di saltare all’ultimo minuto, lasciando uno spiacevole strascico di «cene istituzionali» con conti da duemila euro. La tesoriera Silvana Mura, molto discussa non solo nella puntata di Report, interrompe un Direttivo nazionale per ragionare sul vento che ha cambiato il suo giro. «In realtà è la forma-partito che non regge più. Ci sono tante, troppe mele marce anche tra noi. Siamo cresciuti troppo in fretta e non abbiamo creato una classe dirigente adeguata. Ma abbiamo le mani pulite. Report non ha fatto altro che tentare di infangarci aggrappandosi a cose vecchie. Ci penseranno i nostri avvocati». Gli avvocati sopra citati riportano tutto al punto di partenza. Il fondatore dell’Idv ha domicilio professionale nello studio che gli ha fatto guadagnare settecentomila euro in qualità di diffamato. Uno dei legali di punta è l’ormai celebre Vincenzo Maruccio, ex autista, amico del capo, che lo volle ad ogni costo assessore alla Regione Lazio, per ritrovarselo accusato di essersi messo in tasca ottocentomila euro di rimborsi. Nei partiti di proprietà personale si comincia dal basso per poi arrivare al vertice. E spesso succede al ritmo del «non poteva non sapere», una canzone che divenne molto popolare a quei tempi, quando c’era Forlani. Marco Imarisio