Paolo Conti, Corriere della Sera 31/10/2012, 31 ottobre 2012
ROMA —
Una confessione sincera, che sfida inevitabili sarcasmi: «Ho sempre pensato di essere immortale». Clemente Mimun, direttore del Tg5 (già del Tg1 e del Tg2) ammette verso la fine del suo libro appena uscito («Ho visto cose», Mondadori) ciò che tanti esseri umani segretamente pensano. Cioè che la malattia è faccenda di altri: «io» sto benone. Invece Mimun ha «pagato il conto per intero e in un’unica soluzione». Colpa dell’insofferenza verso lo stile di vita più equilibrato che i medici gli avevano consigliato tre anni e mezzo fa, dopo uno svenimento. Campanello d’allarme ignorato. Il «conto», di quelli che ti cambiano la vita (raccontato con la precisione del vero cronista) è arrivato nelle sembianze di un ictus la mattina del 24 giugno 2011.
L’ironia non abbandona mai Clemente Mimun, nemmeno nel momento del malessere: «Prima ho avuto un giramento di testa, poi mi sono accorto di pendere decisamente a sinistra, e lì il mio sense of humor ha prevalso sul malessere: ero più preoccupato "politicamente", per il lato verso il quale pendevo, che non del fatto che non riuscissi a mettermi al centro del corridoio». Il «conto» è stato saldato, Mimun ha ripreso la guida del Tg5. Ma la sua vita è cambiata. Così è arrivata la necessità di «qualche istantanea di fatti vissuti in prima persona, dagli esordi negli anni 70 fino al 2000».
L’ex fattorino-factotum dell’agenzia Asca degli anni Settanta ha un bel carico di ricordi misti e giudizi chiari e netti, com’è nel carattere di chi, per questa ragione, viene o molto amato o profondamente detestato. Il libro è, appunto, una collezione di flash volutamente slegati da un filo conduttore che non sia la voglia di ricollocare tessere nel mosaico della vita. La scoperta del «cerchio magico» al Tg1, per esempio, quando venne assunto nel 1983: mistero svelato da Roberto Morrione, uomo del Pci e grande conoscitore della Rai. Mimun non risparmia voti e pareri. Ecco un giovane Giulio Borrelli, futuro direttore del Tg1, «che anche allora aveva quell’arietta saccente che lo avrebbe contraddistinto per il resto della sua brillante carriera». C’è Nuccio Fava «devoto alla Dc al punto che i collegamenti dai congressi del partito duravano anche otto minuti, ma affabile e in grado di rischiare». Si potrebbe continuare a lungo, saltando schemi temporali, rimanendo sempre a Viale Mazzini. Perché la Rai era, e resta, specchio del Paese e sintesi delle sue contraddizioni. C’è Lilli Gruber che «prese per un’insopportabile censura quando le feci osservare che ogni legge viene discussa, visto che lei citava sempre la "discussa legge Gasparri"». In quanto a Francesco Giorgino, tolto da Mimun dalla conduzione del Tg1, «mi telefonarono in massa, dai frati di Assisi alla Santa Sede, da attori famosi a leader politici...». Ma c’è molto, molto di più. I ritratti di Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Bettino Craxi, Sandro Pertini, gli scontri con Piero Fassino, l’affetto per Marco Pannella, il sodalizio a-politico con Sandro Curzi, Giovanni Paolo II che gli fa giurare di non bestemmiare più. E così le tessere ritrovano il loro posto in ordine sparso, anche grazie a quel conto arrivato all’improvviso.
Paolo Conti