Bonifacio Borruso, ItaliaOggi 27/10/2012, 27 ottobre 2012
TRE PRETI FILO OMOSEX
Un Isolotto arcobaleno. A Firenze, in Piazza S.Giovanni, sede della curia arcivescovile, il lavorio intenso di alcuni religiosi sul fronte dei rapporti fra omosessuali e chiesa fa venire in mente la dura ribellione di don Enzo Mazzi, parroco dell’Isolotto, periferia ovest della città, a Ermenegildo Florit, il cardinale arcivescovo. Una protesta multicolore come il simbolo della militanza gay. Il documento firmato da alcuni sacerdoti e da una suora nel settembre scorso e che contestava pubblicamente una lettura troppo tradizionalista della questione da parte del settimanale dei vescovi toscani, ToscanaOggi, non era stata che un ballon d’essai, per capire quanto la curia avrebbe potuto eccepire alle loro posizioni e come l’avrebbe fatto. Che si trattasse di un’azione studiata e che quello del giornale fosse un mero pretesto, l’aveva dimostrato la tempistica dell’intervento: preti e monaca avevano protestato a settembre e l’articolo «incriminato» era di giugno. Non essendo accaduto niente d’eclatante e avendo deciso l’arcivescovo Giuseppe Betori di lasciar passare, l’iniziativa è ripresa. O meglio, il cardinale aveva risposto con un secco no alle lettere con cui don Giacomo Stinghi, don Alessandro Santoro, don Fabio Masi e Stefania Baldini avevano chiesto di rivedere la posizione della chiesa in materia di omossessualità, al chiuso delle mura dell’eremo di Lecceto (Firenze), dove periodicamente riunisce i sacerdoti della sua diocesi, ma nessuna polemica pubblica. I preti e la suora avevano chiesto alla chiesa fiorentina di aprirsi, cominciando a reinterpretare modernamente i passi biblici che condannano l’omosessualità, precisando che, a Sodoma, il castigo divino non era stato mandato perché ci sia amava fra uomini, ma perché i messaggeri dell’Altissimo, stranieri, erano stati cacciati e dunque il peccato dei sodomiti era stato di xenofobia e non altro. Domenica scorsa, il più vivace del gruppo, Alessandro Santoro, prete di periferia con base nelle Piagge, mega complesso di case popolari, aveva però rotto gli indugi, comunicando durante la messa alcune coppie gay e lesbiche. Santoro, 47 anni, fiorentino, figlio di un generale e di un’insegnante, da anni cerca di essere il nuovo don Lorenzo Milani della città senza riuscirci. È rimasto una specie di don Andrea Gallo, il sacerdote genovese di simpatie vendoliane, s’era guadagnato qualche passaggio da Michele Santoro ma poco più. Il cardinal Silvano Piovanelli, pastore mite che l’aveva messo là in periferia pensando di assecondare quel suo slancio verso gli ultimi, l’aveva sempre blandito, incaricando il suo provicario poi ausiliare Claudio Maniago di richiamarlo fraternamente all’ordine quando esagerava, che si parlasse di temi no global, di «banche armate» ovvero finanziatrici di industrie belliche, o di politica cittadina. Ennio Antonelli, che venne dopo, porporato focalarino e quindi di indole accondiscendente, fece più o meno lo stesso. Era stato Betori, altro successore alla guida della chiesa fiorentina, a perdere le staffe, nel 2009, quando don Santoro aveva sposato una coppia in cui la moglie era un transgender, vale a dire un uomo che aveva cambiato sesso chirurgicamente. L’arcivescovo aveva spedito altrove il prete, riammettendolo alla Piagge sei mesi dopo. Esilio che, evidentemente, non aveva minimamente scalfito la sua visione pastorale, vista la celebrazione di domenica scorsa. La stola arcobaleno con cui celebra da sempre don Santoro, in omaggio ai colori della pace, è diventata ora iridata progay. Il problema ora, per Betori, è che dalla vicenda s’è impadronita la cronaca fiorentina di Repubblica, affidandola alla firma di Mimma Carratù, la giornalista che più aveva lavorato sulla vicenda di don Lelio Cantini, il parroco accusato di pedofilia e ridotto allo stato laicale da Benedetto XVI. E il giornale pare intenzionato a fare della battaglia un caso nazionale. «Altri preti sfidano il no», ha titolato in settimana, con una collazione fra i pareri di alcuni sacerdoti fiorentini, inanellandone alcuni molto aperturisti. Per questo, nel palazzo arcivescovile che guarda il «bel S.Giovanni», ovvero l’antico battistero cittadino, qualche sacerdote anziano ha cominciato a rievocare i giorni tumultuosi del 1968, quando il parroco don Mazzi manifestò solidarietà ai giovani che, a Parma, avevano pensato bene di occupare il duomo. Florit, vescovo vecchio stampo, lo cacciò di botto, chiudendo per mesi la parrocchia. Mazzi, sospeso a divinis, continuò a celebrare messa in piazza, diventando un’icona della cosiddetta chiesa del dissenso e del cattocomunismo italiano. Altri tempi. Sull’emozione conciliare e sulla scorta dei miti giovannei, nel senso di papa Roncalli, si chiedeva, allora, giustizia sociale, si urlava di padroni e proletariato, si invocava la povertà della chiesa e «l’opzione preferenziale per i poveri». Ora si vogliono sposare persone dello stesso sesso e ammetterle ai sacramenti. Eppure i poveri non sono spariti.