Luigi Chiarello, ItaliaOggi 27/10/2012, 27 ottobre 2012
IL VECCHIO SISTEMA NON REGGE PIÙ
Al Paese «Monti non basta». Per uscire dalla crisi «servono le idee e la fantasia dei giovani». Perché nel mondo globalizzato «la saggezza dei vecchi aiuta, ma non è sufficiente». E ancora: «Guardi ai nuovi miliardari, quelli che hanno avuto successo negli ultimi 20 anni. È tutta gente che ha sfondato perché ha aperto nuove frontiere, con le tecnologie».
Gian Antonio Stella non usa giri di parole. Con ItaliaOggi, la firma del Corriere solca le fratture dell’Italia usando le lenti del «particulare», per risalire al generale. «Negli ultimi decenni», dice, «sono due i grandi assenti negli interessi della politica italiana: il Sud e la montagna. Quando le due cose si sommano, la situazione è da terzo mondo». Fa parlare gli esempi, Stella. Il linguaggio è asciutto, le parole ceffoni urticanti per la classe politica. Senza indulgenze all’orgoglio dei campanili.
Domanda. Descriva in una battuta la condizione attuale del paese?
Risposta. Fermo da tanto tempo. Dobbiamo ringraziare Dio per aver avuto Monti. È stata una benedizione; ma non si esce da una crisi come questa solo col buon senso.
D. Cosa intende?
R. Monti ha fatto molte cose che andavano fatte: alcune, molto dolorose, le ha fatte pagare alle fasce più deboli della popolazione. Ma questo non basta; serve più fantasia. Al Paese occorre una iniezione di gioventù. Perché i vecchi hanno saggezza, ma la fantasia è un’altra roba. Guardi ai nuovi miliardari, quelli che hanno avuto successo negli ultimi 20 anni. È tutta gente che ha sfondato perché ha aperto nuove frontiere, con le tecnologie. Bisogna prendere atto che il pianeta è cambiato. E che non si esce da una crisi così, facendo solo il buon padre di famiglia.
D. La divaricazione economica Nord-Sud, pur attutita dalla crisi, è sempre più ampia?
R. È sotto gli occhi di tutti. D’altra parte è logico: il Sud, in questi anni, si è retto su una impostazione economica basata in larga parte sul clientelismo e sulla pura sopravvivenza. Se perfino un berlusconiano di primo pelo, come Gianfranco Miccichè, arriva a teorizzare che al Nord hanno la cassa integrazione e al Sud i corsi di formazione, allora è chiaro che c’è qualcosa che non torna ...
D. In che senso?
R. Il sistema non regge più. Per anni il Nord si è fatto carico di molte problematiche del Mezzogiorno, in cambio del suo mercato. E di una sopravvivenza fondata sul «cuffarismo», sul «lombardismo». Ora, però, il Nord non è più in grado di reggere questo compromesso e si apre una crisi profondissima.
D. Anche lei riecheggia il leitmotiv del Nord che produce e del Sud parassita?
R. Attenzione: io non voglio dire che il Settentrione abbia ragione a vantarsi di aver mantenuto il Sud. Questa è una fesseria. Quando i meridionalisti più arrabbiati sostengono che il Nord ha usato il Mezzogiorno come mercato di sbocco e discarica per i suoi rifiuti tossici hanno ragione da vendere. Il Nord Italia non ha solo dato, ma anche preso dal Mezzogiorno.
D. E allora, cosa intende?
R. La crisi economica industriale e produttiva che ha colpito il Settentrione ha ripercussioni drammatiche in Sud Italia. Certo, gli effetti della crisi in Meridione sono arrivati più tardi, ma ora la situazione è davvero molto pesante. E poi, diciamo la verità: uno sforzo vero per recuperare il Sud Italia non si fa da tanti anni. Dell’Utri, in una intervista rilasciata (due giorni fa, ndr) a Repubblica, sostiene che Berlusconi non si ricandida perché pensa che l’Italia sia un paese ingovernabile. Ma chiedo: cosa ha fatto Berlusconi per togliere il Sud Italia dalla morsa dell’assistenzialismo? Quali riforme ha fatto? Cosa ha proposto ai meridionali? Ha proposto Fitto in Puglia, Scopelliti in Calabria, Cuffaro e poi Lombardo in Sicilia. Ma quali idee di sviluppo ha portato? Onestamente, non me ne viene in mente una. Non ricordo sforzi per liberare nel Mezzogiorno le sue forze migliori: quelle che, da decenni, emigrano al Nord o all’estero _
D. Un cavaliere più realista del re?
R. La risposta di Berlusconi ai problemi del Sud è stata allearsi con la peggiore, dico la peggiore classe politica meridionale. La stessa classe politica, che fu fatta a pezzi da Gaetano Salvemini. Prenda il caso di Comitini, in provincia di Agrigento: ha un dipendente comunale ogni 14 abitanti. È finito addirittura in prima pagina sul New York Times. Comitini è un paese di destra. E il suo sindaco, che milita nel partito di Berlusconi, a proposito dei suoi dipendenti comunali disse: «Zucchero non guasta bevanda».
D. Tutta colpa di Berlusconi?
R. No. Anche la sinistra a Comitini non ha proposto nulla di alternativo. Prendi Villafrati, in provincia di Palermo, storicamente di sinistra: più o meno ha gli stessi identici problemi di Comitini. Tra destra e sinistra, su questo piano, non c’è molta differenza. Vede, negli ultimi decenni sono due i grandi assenti negli interessi della politica italiana: il Sud e la montagna. Quando poi le due cose si sommano, la situazione è disperata. Da terzo mondo. Prenda l’Aspromonte, le Serre calabre, l’Appennino lucano, l’Appennino molisano, i Nebrodi, le Madonie. Tutte terre abbandonate a loro stesse. Tanti italiani non hanno la minima idea di come siano oggi quelle terre_.
D. Lei gira molto l’Italia. Le descriva.
R. La situazione nelle montagne, laddove non c’è turismo, è angosciante. I boschi stanno mangiando tutto: pascoli, terre coltivabili, terrazzamenti. Sta andando a cartoni tutto il lavoro fatto dai nostri padri, nel più totale, umiliante, abbandono.
D. Il potere centrale ha chiuso gli occhi?
R. Un giorno chiesi a Francesco Rutelli, quando Rutelli contava qualcosa: «Ma perché candidate Loiero? Perché propinate Loiero ai calabresi?» E Rutelli rispose: «E va beh, ma è la Calabria!». Come dire: è il Gabon! Cosa vuoi? Occuparti del Gabon?! Questo è inaccettabile: io sono sempre stato molto critico con la Calabria. Ma l’ho sempre fatto per stimolare una ripresa. Non certo perché si abbandonasse il Sud a se stesso.
D. Le sacche di corruzione e inefficienza pullulano anche al Nord.
R. Questo è davvero un torto della politica. So che, dicendo ciò che sto per dire, vìolo il meraviglioso codice Malan (Lucio Malan, senatore Pdl, ndr), il parlamentare di destra che vorrebbe inserire nel codice penale il reato di insulto alla classe politica. Ma, se la grande criminalità organizzata va a caccia nel Nord Italia è perché la politica consente che al Nord vengano fatti appalti pilotati. Se gli appalti non fossero pilotati, la criminalità non potrebbe metterci il naso. In questo c’è una responsabilità diretta dei tanti politici e assessori, dei Zambetti della situazione, che scendono a patti con personaggi, che in altri paesi non riuscirebbero a far nulla. Perché impresentabili.
D. I fenomeni elusivi non conoscono cittadinanza?
R. Qualche mese fa a Vicenza, nel corso di un processo a un camorrista, alla domanda del giudice che gli chiese perché avessero scelto il Veneto per i loro affari, il camorrista rispose: «perché i veneti c’hanno la morale elastica» ...
D. Detto da un veneto non dev’essere facile?
R. L’ex sindaco leghista di Oderzo, Bepi Covre, persona molto acuta, potrebbe trascorrere una serata intera a raccontare come molti veneti abbiano accettato capitali facili, per poi trovarsi in casa persone con la pistola nella cintura. Qualche mese fa, sul Corriere, ho raccontato la storia di un paese in provincia di Verona, che ha fatto costruire la scuola locale a un’impresa legata alla ’ndrangheta. Sicuramente non lo sapevano, ma i controlli sono stati quantomeno scadenti ...
D. La ’ndrangheta e il clientelismo non sono più «prodotti tipici» del Mezzogiorno?
R. Per quanto riguarda il clientelismo, poco prima delle elezioni regionali del 2005, il professore Raffaele Pugliese, primario al Niguarda, scrisse una lettera a tutti i suoi ex pazienti, suggerendo loro di votare per l’elezione di Roberto Formigoni. Se questo lo fai in Sicilia è clientelismo. E se lo fai in Lombardia? È clientelismo lo stesso! Che differenza c’è?
D. L’accento con cui si chiede il voto?
R. (ride). Per quanto riguarda la corruzione, poi, il caso regione Lombardia parla da se. Prendiamo la sanità: che differenza c’è tra la clinica Santa Rita, in cui si facevano operazioni inutili e si sostituivano protesi con materiali scaduti, e la clinica Villa Santa Teresa di Bagheria? Quella del mafioso Michele Aiello?
D. Nessuna differenza?
R. La Mafia è la peste di questa paese. È una vita che le faccio la guerra. Ma dal punto di vista del mero rapporto tra la clinica e i pazienti o tra la clinica e la regione, che differenza c’è? Nessuna.
D. Lei assottiglia le differenze tra Nord e Sud. Ne restano ancora?
R. Al Nord c’è una ricchezza accumulata, che gli consente di essere in condizioni meno disperate. Io credo che non sia più possibile, per l’Italia, uscire da questa situazione con un Nord che trascina il Sud. Il Mezzogiorno deve cambiare, farsi carico delle sue responsabilità. Riscattarsi. Trovare la strada per uno sviluppo autonomo. E, soprattutto, deve liberarsi della classe politica attuale, che è davvero scadente.
D. La classe politica scadente è un vecchio refrain. Al Sud tutto è cambiato perché nulla cambiasse?
R. Nel 1922 Salvemini denunciò l’alleanza tra i governi italiani e la putrida politica meridionale. In «Problemi educativi e sociali dell’Italia d’oggi» scrisse: «I governi italiani per avere i voti del Sud concessero i pieni poteri alla piccola borghesia, delinquente e putrefatta, spiantata, imbestialita, cacciatrice d’impieghi e di favori personali, ostile a qualunque iniziativa potesse condurre a una vita meno ignobile e più umana». Quasi un secolo dopo, tutto è ancora uguale.
D. Nel Mezzogiorno il notabilato la fa da padrone?
R. Certamente. E c’è un interessante dettaglio: il rapporto con la persona è talmente viziato nel Mezzogiorno che persino i candidati di Beppe Grillo vanno in giro con i santini _
D. Come «licenziare», allora, quelli che in un suo libro ha definito «I padreterni»?
R. La definizione non è mia, ma di Luigi Einaudi. È importante ricordarlo: così, il signor Malan si renderà conto che un certo tipo di diffidenza nei confronti della classe politica in generale, in certi momenti storici, non ce l’abbiamo solo io e Sergio Rizzo. Ma fior di predecessori, più arrabbiati e importanti di noi.
D. D’accordo. Ma come selezionare una classe politica, che sia dirigente e non «digerente»?
R. Andando a votare. E con alcuni passaggi successivi. Non basteranno certo pochi mesi o pochi anni.
D. Non crede nell’astensionismo di protesta?
R. C’è un trucco per andare sempre a votare: io lo applico quando «mi turo il naso». Scelgo la persona che più mi fa ribrezzo politicamente e voto dalla parte opposta. Voto colui che da più fastidio a chi detesto. Così annullo il voto del politico che non mi piace. Del Fiorito di turno! Stare a casa e non votare è la cosa più assurda che si possa fare. Io sono un pasdaran della democrazia; la democrazia non si tocca! E la democrazia è votare. Nessuno mi tocchi il voto_
D. Berlusconi si autoformatta, per dar vita alle primarie nel Pdl. Per lei, che ha scritto la sceneggiatura del film «Silvio forever» è una notizia: Silvio non è forever.
R. Bisogna vedere quanto Berlusconi pretenderà di incidere nella definizione delle varie candidature. Il suo peso è enorme. E poi, oggi che i tagli al finanziamento pubblico sono più sensibili, i soldi di Berlusconi fanno ancora più comodo _ Vede, è piuttosto difficile diventare segretari del Pd se hai contro il suo tesoriere, Ugo Sposetti. Ma, credo, sia impossibile diventare segretari del Pdl avendo contro Berlusconi.
D. Resta sullo sfondo un’Italietta del particulare. Che non fa gruppo dinanzi alla crisi. Un po’ come nel suo racconto del Veneto individualista, dove contano solo gli «Schei».
R. Credo abbia ragione De Rita: quando le cose vanno bene, si preferisce star da soli, quando si è in crisi, come oggi, si riscopre la comunità. Dio solo sa quanto i veneti e i lombardi abbiano sofferto, in questi anni, di un complesso di superiorità. Perfino nei confronti dei cinesi: i veneti se la tiravano al punto di considerarli quasi dei lavativi! Oggi, sembra che tutta questa «ganassite» sia venuta meno. Ed è positivo, perché questo atteggiamento ha fatto danni. Resto convinto che gli italiani, quando sono più umili e lavorano a testa bassa, sono formidabili.
D. Ma, a lei non va mai bene niente?
R. Io amo la mia patria, e non mi importa che dirlo sia demodé. Io amo questo paese. Tutte le battaglie fatte in questi anni vengono dal mio rapporto d’amore puro verso l’Italia. Perché, vede: ci si arrabbia solo con chi si ama. Se una persona di cui non t’importa nulla ti mette le corna, non te ne curi. Ma se la ami, è lì che vivi il tradimento. Io e Sergio (Rizzo, ndr) siamo furibondi con l’Italia perché ne siamo innamorati. Sappiamo, che questo paese può dare molto, molto di più. Del resto, nel ’56 lo spiegava Curzio Malaparte: «La peggior forma di patriottismo è chiudere gli occhi davanti alla realtà_ un popolo sano e libero i panni sporchi se li lava in piazza». Tacere, beandosi di quel che si ha – i mari, il sole, i monumenti – non serve a nulla. Molto meglio essere ipercritici, per spingere al cambiamento.
D. Cosa pensa dell’idea di un partito del Nord che raccolga l’eredità di Miglio, oggi rispolverata da Maroni?
R. Se la mettiamo su questo piano, allora io voglio il partito Cimbro!
D. Scusi?
R. Non c’entro niente e non me ne importa nulla della Padania. Io sono Cimbro da secoli. Anzi, se vogliamo chiuderci nel nostro microcosmo vorrei un partito della contrada Cinque, che non c’entra nulla con la Contrada delle Ave. Io non voglio essere dello stesso partito della Contrada delle Ave. Quindi, non posso essere d’accordo con Maroni. Se lui non ha niente a che fare con i siciliani, io non ho nulla a che fare con i varesini_
D. Insomma la prospettiva dei partiti territoriali non la convince.
R. È ridicola: in Iraq, nello scontro più violento tra Oriente e Occidente, tra Cristianesimo e Islam, che ci sia stato negli ultimi decenni sono morti circa 4.500 americani. Nella battaglia di Montaperti, tra senesi e fiorentini, descritta da Dante nella Divina Commedia come «lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso», morirono in diecimila. E un cronista senese arrivò a scrivere: «Invano essi (i fiorentini, ndr) invocavano san Zanobi. Noi li macellammo come un beccaio macella le bestie nel venerdì santo». Allora, cosa facciamo? Il partito dei senesi e il partito dei fiorentini? Fa ridere, la storia cambia! Piaccia o non piaccia a Maroni, oggi non siamo più neanche italiani, siamo europei. Altro che varesotto o brianzolo. E tralascio tutte le riserve morali sul pulitissimo partito della Lega.
D. Il federalismo, di cui si è parlato per anni, traballa sotto i colpi di un governo che accentra poteri e cancella le autonomie.
R. Per forza! È stato usato come alibi perché ognuno facesse gli affari suoi. Non lo dico io, lo dicono i fatti. Io sono favorevole a che ognuno amministri il più possibile le proprie cose. E che risponda di questa gestione. Sono favorevolissimo. Ma il controllo dev’essere fatto dall’alto. Controllato e controllore non possono coincidere. Ci sono beni che vengono prima. L’unità d’Italia viene prima.
D. Passiamo dalle enunciazioni di principio alla realtà.
R. I Bronzi di Riace non sono calabresi, sono italiani. Venezia non è dei veneziani, è dell’Italia. Il sindaco di Venezia non è libero di far entrare le navi in Canal Grande, perché Venezia non è sua. Se è vero che il Louvre chiese in prestito momentaneo i Bronzi, il governatore della Calabria, per capirci, i calabresi, non avrebbero dovuto dire di no: quel prestito avrebbe consentito ai reggini di chiedere in cambio dei quadri di livello stratosferico, per una mostra a Reggio, che altrimenti in Calabria non potrebbero mai vedere. Nessuno vuole portar via i Bronzi alla Calabria. Ma i Bronzi non sono di Scopelliti. E il Canal Grande non è di Orsoni.
D. Forse i calabresi temevano il ratto dei Bronzi?
R. Nessuno voleva espropriare la Calabria dei Bronzi. Sono stati trovati a Riace e in Calabria devono restare. Ma l’opportunità di un prestito, mentre il museo era chiuso per restauri, doveva essere esaminata. Respingere a priori qualunque prestito è stato un errore. Dovuto a un eccesso di vittimismo.
D. I soliti calabresi piagnoni?
R. Sta diventando un tratto comune a tutti gli italiani. I veneti si lagnano che tutti ce l’han con loro, i lombardi si lagnano che il paese vive alle loro spalle, i calabresi si lagnano del paese che ce l’ha con la Calabria. È una roba micidiale! Siamo un paese di piagnoni. Fastidiosissimo. Non se ne può più.
Quanto amore.