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 2012  ottobre 27 Sabato calendario

ORSI & TORI– Un caldo suggerimento al presidente del Consiglio Mario Monti, al ministro dell’Economia Vittorio Grilli, al super ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera: travestitevi da cittadini comuni e passate una settimana fra Hong Kong e la Cina

ORSI & TORI– Un caldo suggerimento al presidente del Consiglio Mario Monti, al ministro dell’Economia Vittorio Grilli, al super ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera: travestitevi da cittadini comuni e passate una settimana fra Hong Kong e la Cina. Vi renderete conto che il gap fra i due mondi, l’Europa (in particolare l’Italia) e il cuore dell’Asia, sta diventando incolmabile. Per una semplice ragione: perché quelle amministrazioni governative, quelle aziende, quei cittadini stanno coltivando una sola cultura: quella dello sviluppo. Ovviamente, non che sia tutto oro quello che luccica: i problemi sociali esistono anche lì e in alcuni casi sono assai più gravi che nel Sud Italia, ma sono eccezioni. In generale la gente è allegra, i negozi sono pieni di compratori, le gru affollano il cielo, i progetti vengono sfornati uno dietro l’altro: mentre in Italia ci si dibatte sul dilemma atroce ponte (ponticello) sullo stretto di Messina sì o no, da HK al Sud della Cina ne stanno costruendo uno di 32 chilometri, che creerà un’area urbana comprendente oltre a Hong Kong città cinesi in fortissimo sviluppo come Shenzen, Nansha, Zhonsgang e Macao, per un totale di 55 milioni di abitanti: un’Italia tutta super tecnologica, super sviluppata, super attrezzata di strade, autostrade e ogni altra infrastruttura necessaria per l’efficienza della produzione e della vita. Se c’è un pericolo è che lì si faccia troppo, che si punti anche su un’industria pericolosa come quella del gioco a Macao, che sviluppa ormai da solo quasi mille miliardi di dollari di giro d’affari. Ma nell’area del Sud della Cina, unita a HK, la vita pulsa ormai a tutti i livelli. Non solo finanza (Patrizio Bertelli e Miuccia Prada ringraziano ancora la borsa di HK dove la loro società è arrivata a una capitalizzazione di 15 miliardi di euro), ma anche agricoltura super avanzata, oppure arte: la galleria più importante al mondo, Gagosian, ha sede anche a HK e tutta Hollywood road è una sequela di gallerie di altissimo livello. E il turismo: il Politecnico di HK, come tutte le istituzioni della ex colonia finanziate dal pubblico (poco) e molto dal privato, ha una facoltà per formare manager per l’industria alberghiera, enogastronomica e del turismo. L’Italia, il Paese con più patrimonio artistico al mondo, si ferma a scuole medie alberghiere. Il Politecnico di HK, per evitare che le lezioni siano teoriche, ha costruito l’Hotel Icon, cinque stelle in competizione con Mandarin, Four seasons, Shangri-La e il favoloso Ritz Carlton, l’albergo più alto al mondo, con il ristorante Tosca (chef italiano Vittorio Lucariello, di Napoli) al piano 105 e uno stile di costruzione che solo la grande esperienza nell’edilizia dei costruttori di HK poteva realizzare a quel livello di raffinatezza. Come è già successo in Usa, la ristorazione italiana si fa strada. Il decano dei ristoranti tricolori, 8 e 1?2, quando arriva la stagione dei tartufi richiama l’attenzione da tutto il mondo. Ci sono importatori che fanno arrivare ogni giorno mozzarelle fresche, ma per le regole delle dogane italiane la merce deve sostare lì almeno 24 ore e il sabato e la domenica le dogane italiane chiudono. Per chi vuole importare dall’Italia, è una battaglia campale. Poi getti lo sguardo dalle grandi vetrate dei grattacieli di HK e più ancora di Shenzhen, la città che il governo cinese vuole far diventare la HK della Old China, dove la moneta renminbi sarà convertibile, e vedi le gru che girano anche alle due di notte. In Italia viene la depressione. Senti parlare il ministro Grilli della vendita degli immobili dello Stato per tagliare il debito e scopri che, secondo lui, sono oggi ricavabili non più di 5-6 miliardi, mentre il debito pubblico è a un soffio da 2 mila miliardi di euro. E aggiunge Grilli: il totale degli immobili dello Stato assomma 50 miliardi di euro; gli enti territoriali sì che hanno immobili vendibili: sono quelli che lo Stato gli ha passato con lo sciagurato federalismo. A parte la questione importante di chiarire come mai nella legge di stabilizzazione c’è scritto che lo Stato ha immobili per 250 miliardi e il ministro a voce parla di 50 miliardi, viene da domandarsi perché mai il Governo, che ha fatto perfino leggi retroattive giustificate dal regime di guerra in cui si trova il Paese (dichiarazione del presidente Monti), non imponga agli enti territoriali di apportare immobili nel Fondo degli italiani almeno per i 400 miliardi di debiti con cui gli stessi enti concorrano al debito pubblico totale. Come questo giornale ha già scritto, oggi il presidente del Consiglio Monti è convinto che sia giunto il momento del taglio; perché il taglio sia secco e produca l’inversione di tendenza di cui il Paese ha bisogno, sono necessarie tre operazioni: 1) appunto il recupero degli immobili dagli enti territoriali, operazione legittima e possibile con una legge che imponga di conferirli a un fondo degli italiani a fronte dei 400 e forse più miliardi di concorso degli stessi enti al debito totale, in costante crescita; 2) che per gli immobili occupati dallo Stato e dagli stessi enti pubblici sia garantito un reddito di affitto di almeno l’1,5% del valore, in modo che il fondo abbia liquidità per fare lo sviluppo degli stessi immobili; naturalmente ci vuole fantasia e determinazione: per fare un esempio, che cosa osterebbe a che si consentisse un sopralzo della scuola di via Spiga a Milano, da vendere o affittare? Si potrà dire: ma il piano di gestione del territorio (ex piano regolatore) non lo consente. Non è vero: nella legge urbanistica nazionale c’è un articolo che consente di superare tutti i vincoli di piano e di regolamento, se l’edificio viene considerato di interesse pubblico. E che creare ricchezza per pagare il debito dello Stato sia un interesse pubblico non vi è proprio dubbio. Basta volerlo, visto che comunque, giova ricordare il presidente Monti, siamo in un percorso di guerra; 3) che la vendita delle quote del fondo sia fatta con un meccanismo che non sottragga risorse alla sottoscrizione del debito residuo; operazione possibile in vari modi: per esempio scambiando le quote del fondo con Btp o Cct che lo Stato dovrà rimborsare nel giro di qualche tempo e che sono quotati sotto il nominale: come incentivo lo Stato dovrebbe riconoscere subito il valore nominale nella transazione con le quote; oppure facendo sottoscrivere le quote del fondo agli enti previdenziali e alle compagnie di assicurazioni con le nuove entrate. Basta che ci sia la consapevolezza di dover dare un colpo secco al debito. Mentre Monti sembra convinto, non altrettanto si può dire del ministro Grilli. Eppure, con il colpo secco i benefici sarebbero immediati e molto importanti per uscire dalla gravissima recessione nella quale l’Italia si trova, strutturalmente per il grande debito e congiunturalmente per le manovre di prelievo e di tagli decise dal governo Monti per respingere l’attacco della speculazione. Infatti: a) lo spread cadrebbe immediatamente, facendo scendere il costo del debito complessivo; b) alla riduzione del costo del debito residuo si aggiungerebbe immediatamente il minor costo del debito tagliato, liberando così molte risorse da destinare alla ripresa dello sviluppo (attualmente il costo del debito supera gli 80 miliardi annui); c) verrebbero scongiurate in partenza altre manovre di prelievo e di taglio che diversamente imporrebbe la sottoscrizione del Fiscal compact, già approvato anche dal Parlamento italiano, visto che obbliga a riportare il debito pubblico a non più del 60% in 20 anni: in pratica, ai valori attuali una riduzione di 60 miliardi all’anno. Non ci vuole molto a comprendere che senza un taglio straordinario l’Italia sarà condannata per anni al sottosviluppo, sempre che la speculazione non le si accanisca di nuovo contro, facendo riemergere il rischio del crack. Tuttavia, se il taglio è indispensabile non è da solo sufficiente a riequilibrare i valori. Occorre tornare allo sviluppo e con percentuali di crescita del pil di almeno il 2-3% reale. Percentuali che l’Italia non conosce da anni. E perché questo avvenga, oltre a liberare risorse con il minor costo del debito, oltre a destinarle allo sviluppo, occorre che il Governo (i governi) sappiano ridare fiducia a cittadini e imprese, occorre che sappiano ridare entusiasmo, occorre che sappiano rimettere a profitto con il rilancio del turismo l’enorme patrimonio artistico e di bellezze naturali del Paese. E i nuovi, massicci flussi del turismo devono essere attratti proprio dall’Asia e in particolare da HK, dalla Cina e da Taiwan. Alcuni miliardari dell’ex colonia inglese sono già habitué delle vacanze in Italia. C.K. Cheung, proprietario dei tunnel sottomarini che consentono a HK di avere un traffico fluido, ha uno yacht di 45 metri ormeggiato nel porto di Genova e ogni estate porta amici in giro per il Mediterraneo e un altro, analogo, lo ha nella baia di HK per i fine settimana. Il finanziere Yuk-Yui Chu, marito della figlia del più importante operatore di Macao (20% del giro d’affari totale della zona), ama altrettanto l’Italia. Sono tutti testimonial che il Governo italiano dovrebbe coltivare, perché facciano proseliti su molti turisti anche meno ricchi. Per i lettori di questo giornale non è una novità, ma Guido Carli ricordava che i due grandi boom dell’economia italiana sono stati determinati dal grande flusso di valuta portata da numeri crescenti di turisti. Sanno anche che il piano strategico del turismo sta per essere rilasciato dal ministro Piero Gnudi. Occorre che dalla teoria si passi il più rapidamente ai fatti. Class Editori e Xinhua News Agency, il più grande gruppo editoriale cinese, 16 miliardi di giro d’affari, stanno lanciando in questi giorni il sistema di informazione per i cinesi che vogliono venire in Italia, composto da un magazine, Class Eccellenza Italia, una applicazione per tablet e un sito, che saranno distribuiti in forma fisica e digitale sia in Cina che in Italia. Il numero dei cinesi che desidera visitare l’Italia sta crescendo continuamente, ma finora non è stato fatto niente per loro se non agevolare, attraverso la Fondazione Italia Cina, il rilascio dei visti. Uno su quattro per l’Europa è rilasciato dall’ambasciata di Pechino e dai vari consolati. Ma in realtà, invece di arrivare subito in Italia, la maggior parte entra nell’area Schengen a Parigi e Francoforte e solo successivamente in Italia. Infatti, non ci sono sufficienti aerei per l’Italia. Il primo intervento dovrebbe farlo l’Alitalia, ma se la compagnia non avesse i mezzi, le autorità di governo e aeroportuali dovrebbero rivolgersi ad altre compagnie. Lo sbarco diretto in Italia è fondamentale perché il maggior valore aggiunto dalle spese dei turisti resti nel Paese. Per quanto riguarda i cinesi del Sud, in molti casi partono da HK con Cathay Pacific, che in realtà offre un ottimo servizio sull’Italia, grazie anche all’attivismo del console generale Alessandra Schiavo. Senza uno sforzo per far arrivare direttamente i turisti cinesi in Italia, il contributo che la loro capacità di spesa potrà dare alla ripresa italiana sarà inferiore al possibile. Ma sarà anche la dimostrazione che manca un reale coordinamento dell’azione di Governo, il cui costo è pressoché vicino a zero. Ci vuole però qualcuno che ragioni su questi aspetti e al più presto intervenga. Il flusso di capitali che dai turisti può arrivare dalla Cina e da HK è davvero molto rilevante.