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 2012  ottobre 30 Martedì calendario

ALIMENTARE. PASTA, VINO E FANTASIA: COSI’ SFONDA IL CIBO MADE IN ITALY

Il lusso made in Italy? Moda, calzature, ma anche gli spaghetti di grano duro e il Verdicchio. Sono questi i campioni del «luxury food» italiano, che vende sempre di più all’estero. Se nel 2011 le esportazioni del settore agroalimentare ammontavano a 23 miliardi di euro su 127 miliardi complessivi di fatturato, Federalimentare stima per il 2012 un giro d’affari di circa 130 miliardi, di cui 27 miliardi generati dalle esportazioni. All’interno di questo 18% di aumento medio, ci sono prodotti come pasta e vino che arrivano a circa il 50 per cento. Il trend non sta cambiando: nei primi sei mesi del 2012, i due prodotti di punta sono cresciuti entrambi del 7% a livello mondiale.Vino da record«Se l’export dell’agroalimentare italiano batte record su record ? sottolinea Alessandro Regoli, direttore dell’agenzia Winenews ? gran parte del merito va al vino e ai suoi record personali, come i 4,5 miliardi di euro che per la prima volta dovrebbe toccare quest’anno. Siamo di fronte a un nuovo Rinascimento dell’Italia del vino». Lo dimostrano le tante aziende che oltre confine hanno trovato la via della salvezza. Emblematico il caso della cantina marchigiana Umani Ronchi, che concentrando i suoi sforzi in mercati importanti come Gran Bretagna, Germania, Scandinavia, Giappone, Canada e Usa, arriva a esportare fino al 75% della produzione. DopDall’abbacchio romano allo zampone di Modena, con 244 denominazioni di origine, l’Italia detiene il record assoluto. Nonostante l’export sia ancora limitato tra il 10% e il 12%, anche gli altri Dop e Igp crescono fuori dai confini. Un esempio è il caso del gruppo Parmacotto, che punta sempre di più su una strategia di internazionalizzazione, realizzata anche attraverso un piano di sviluppo dei monomarca (ha due punti vendita a New York e uno a Parigi). Il fatturato di gruppo, che nel 2012 è previsto salire del 4-5% dai 168 milioni del 2011, sarà costituito per circa il 20% dall’estero, che l’anno scorso rappresentava il 16 per cento. «La marginalità in Italia si sta riducendo sempre più, il settore è ormai iper-competivivo, mentre all’estero ci sono buone prospettive di crescita ? dice il presidente Marco Rosi ?. Il mercato statunitense rappresenta per noi uno dei principali target». Negli ultimi tre anni Parmacotto ha registrato negli Usa una crescita superiore al 30% anno su anno. «Ma in un momento in cui tutti siamo a caccia dell’export, ci sono vincoli sanitari che ci impediscono di andare in alcuni mercati ? spiega Rosi ?. In Cina, per esempio, i salumi per entrare devono passare da importatori di Hong Kong. Le richieste da parte delle autorità cinesi cambiano in continuazione. Ci auguriamo che i nostri ministri risolvano la situazione per arrivare a un accordo».BarriereUn’altra azienda che sta sviluppando l’export è la Fratelli Beretta, che ha il 25% del fatturato proveniente dalle esportazioni (ben 143 milioni) e che si sta internazionalizzando in quei Paesi dove le barriere sanitarie non consentono l’importazione dei nostri salumi.Già, perché in alcuni casi i prodotti dell’eccellenza italiana devono fare i conti con barriere all’ingresso issate secondo principi fitosanitari. «La Cina ? spiega il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua ? ha imposto divieti molto rigidi a causa della peste suina che ancora colpisce occasionalmente in Sardegna e in Calabria. Alcuni Paesi, poi, come barriere commerciali usano le tariffe: l’India, per esempio, impone dazi del 35 per cento». Altro problema del made in Italy sono le imitazioni e le contraffazioni. Se il giro d’affari mondiale del «falso» è stimato in circa 60 miliardi di euro. Sei miliardi sono il frutto di autentica contraffazione (copia di brevetti, marchi, packaging, ragione sociale) e 54 miliardi provengono invece dal commercio di prodotti «italian sounding», fabbricati legalmente in Paesi esteri, ma che richiamano nel nome o nell’etichetta i prodotti italiani. Nonostante i problemi, il made in Italy crescerà quest’anno dell’8% e mette molte aziende al riparo dal calo dei consumi del settore alimentare.
Fausta Chiesa