Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 30/10/2012, 30 ottobre 2012
UNA GRANDE BRERA PER UNA GRANDE MILANO
Meno Stato, più musei. Fondazione la Grande Brera. Le dice niente? È il futuro nome della più importante pinacoteca del Nord Italia, l’Accademia di Brera. Da 25 anni il museo che ospita il Cristo morto di Mantegna e altri capolavori aspetta di essere ampliato e ristrutturato, ma mancano sempre i soldi o la volontà. Così il ministro Corrado Passera ha deciso per tutti, mettendo nero su bianco, all’articolo 8 del decreto sviluppo di giugno 2012, il fatto che Brera diventerà una fondazione a capitale misto pubblico e privato. Ovvero non sarà più gestita direttamente dal ministero dei Beni culturali...
Arturo Rimbalzi
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Caro Rimbalzi, il progetto della fondazione ha suscitato un’ondata di sdegno e una lettera al presidente della Repubblica firmata da parecchie decine di storici, sovrintendenti, docenti di varie discipline, intellettuali. L’ho letta e vi ho ritrovato gli abituali argomenti di un certo giacobinismo culturale italiano per cui lo Stato dovrebbe occuparsi di tutto e i privati sono sempre sospettabili di avere mire e interessi inconfessabili. Non capisco perché lo Stato e i privati non debbano ricercare nuove formule di collaborazione in cui ciascuna delle due parti possa dare il meglio di se stessa.
La Grande Brera, se l’Accademia di Belle Arti venisse finalmente trasferita nelle vecchie caserme di via Mascheroni, darebbe alla città, dopo il restauro del vicino palazzo Citterio, una istituzione comparabile, per importanza e dimensioni internazionali, alla Scala. La città invertirebbe così una tendenza a pensare in piccolo che è stata, soprattutto negli ultimi decenni, un vizio della sua storia culturale. I gioielli milanesi sono numerosi, ma «piccoli», talora composti da una sola opera o da un solo luogo di straordinaria bellezza. Sono piccoli, in questo senso, il cenacolo di Santa Maria delle Grazie e la cappella Portinari di Sant’Eustorgio. Sono piccoli il Poldi Pezzoli di via Manzoni e il teatro fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, è piccola la Triennale, sono piccoli il Planetario, il museo della Scienza e della Tecnologia. Sono piccoli la Biblioteca Ambrosiana, il museo del Risorgimento, il museo di via Sant’Andrea, il Conservatorio, l’auditorio dell’Orchestra Giuseppe Verdi, lo spazio espositivo di Palazzo Reale, il museo dell’Ottocento nella Villa Belgiojoso di via Palestro, il museo della Scala e persino il museo del Novecento all’Arengario. Sono piccole anche le case-museo, nessuna delle quali ha l’importanza e il respiro del Jacquemart-André o dell’Hotel Nissim de Camondo a Parigi.
Ancora una osservazione, caro Rimbalzi. Mentre il progetto della fondazione si scontra con la resistenza del giacobinismo culturale, l’ampliamento del museo all’area occupata dall’Accademia deve superare gli ostacoli frapposti dagli studenti e le obiezioni di coloro per cui il trasferimento in via Mascheroni priverebbe il quartiere di Brera del suo fascino e della sua vivacità. Gli studenti non sono meno conservatori degli intellettuali giacobini e gli amanti del quartiere dimenticano che cosa accadde delle Halles di Parigi quando i mercati generali vennero trasferiti fuori della città e lo spazio fu occupato in gran parte dal Centro nazionale di arte e cultura Georges Pompidou. Scomparvero le trattorie dove i nottambuli parigini si davano appuntamento, sino all’alba, per una squisita «soupe à l’oignon» (zuppa di cipolle); ma apparvero i ristoranti, le tavole calde, le librerie, le gallerie d’arte. Quanto più Brera sarà grande tanto più il suo quartiere ne trarrà vantaggio.
Sergio Romano