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 2012  ottobre 26 Venerdì calendario

L’Italia a lezione di impresa dalla «Silicon Wadi» d’Israele - Il presidente del Consiglio Ma­rio Monti era ieri a Gerusa­lemme assieme a sei ministri per il terzo vertice intergovernati­vo tra Italia e Israele

L’Italia a lezione di impresa dalla «Silicon Wadi» d’Israele - Il presidente del Consiglio Ma­rio Monti era ieri a Gerusa­lemme assieme a sei ministri per il terzo vertice intergovernati­vo tra Italia e Israele. Con la contro­parte israeliana, i ministri italiani hanno parlato anche di scienza e tecnologia. Tra gli accordi firmati ieri, uno è sulla cooperazione in materia di hi-tech e start-up, un campo in cui Israele, la «Start up Nation», è all’avanguardia. L’Ita­lia ha partecipato anche alla con­ferenza Digital Life Design di Tel Aviv, dove si è parlato delle oppor­tunità per le nuove realtà israelia­ne in Italia e di cosa l’Italia delle start up può imparare da Israele. La rivista americana di scienza e tecnologia Wired ha messo Tel Aviv al secondo posto dietro la Sili­con Val­ley californiana come luo­go d’innovazione tecnologica, un paradiso delle start-up. I sobbor­ghi della città costiera dove sorgo­no le sedi delle industrie tecnolo­giche qui sono chiamati la Silicon Wadi, dove Wadi è valle in arabo. Pochi an­ni fa, un li­bro -The Start- up Nation­ha raccon­ta­to il feno­menoche,secondo Saul Singer, uno dei suoi autori, ha reso Israele «un’economia incentrata sulle start-up». In Israele, ha spiegato alGiornaleSinger, nascono ogni anno almeno 500 start-up. In tut­ta l’Europa, nello stesso arco di tempo, ne sorgono circa 700. Il Pa­ese investe il 4,5% del suo Pil in ri­cerca e sviluppo e ci sono centri distudio, come il Technion, tra i pini delle colline di Haifa, conside­ratiqui e all’estero templi della ri­cerca scientifica e tecnica. «Se hai meno di 30 anni in Israe­lee se hai fatto l’esercito conosci molte persone che come te sono nel business», spiega Elie Isaac­son,32 anni, ex parà ed ex portavo­ce militare. L’esercito è uno dei luoghi dove i giovani acquisisco­no conoscenze tecnologiche e contatti. È lì che Elie ha intravisto buoni affari, non soltanto nell’hi­tech. La sua società, Agilite, dal 2007 vende equipaggiamento tat­tico a civili e militari. Ha da poco firmato un contratto con i marine americani per un’idea avuta a gen­naio: una cintura in tessuto che permette di creare uno «zaino umano», per portare sulle spalle un uomo ferito senza l’uso delle mani, fondamentale per un solda­to in combattimento. Le idee e il know-how tecnologi­co non b­astano per creare un terre­no adatto alle start up. Ci vogliono anche personaggi come Yaron Car­ni. A 32 anni il suo mestiere è quello di scovare sul mer­cato le idee e inve­stire nei cervelli con la sua Tel Aviv Angel Group. In poco più di due an­ni ha investito in sei start-up, ven­duto le quote di cinque. Una delle società, LabPixies, è stata acqui­stata da Google. Ora, Yaron segue tra l’altro il lavoro di tre ragazzi di meno di 30 anni che, spiega uno di loro, Lior Atias, hanno creato Atav, un sistema per aiutare le aziende ad assumere impiegati di talento usando la rete di social network delle persone che già la­vorano nell’ufficio. Da Israele si stanno espandendo negli Stati Uniti e nel giro di un anno hanno aumentato il numero di assunzio­ni delle società seguite da 25 a 50%. Per Yaron Carni, la fertilità d’Israele nelle start-up è legata a diversi fattori: «Gli ebrei per gene­razioni hanno dovuto arrangiar­si, sopravvivere alle persecuzioni, diventando creativi. Israele, inol­tre, è un Paese di immigrati e ogni immigrato porta un di più nel suo bagaglio».Contano anche una so­cietà e istituzioni che spingono aprovare, aggiunge. Per aprire una società in Israele bastano due giorni e, racconta Elie Isaacson, i salari nel settore pubblico sono talmente bassi che molti non temono d’abbandona­re il vecchio per il nuovo. Tomer Neu-Ner e il suo socio stanno per lanciare una nuova applicazione per smart phone: Parko mette in contatto persone che cercano un parcheggio con quelle che lascia­no un parcheggio. Quando hanno iniziato a studiare l’applicazione lavoravano entrambi altrove. Poi, il socio di Tomer si è licenziato per dedicarsi al progetto e i due, sposa­ti e con figli, hanno condiviso uno stipendio per mesi prima di trova­re un investitore. La prossima sfi­da per Israele è quella di trasfor­mare le compagnie da «giovani» ad «adulte», ha scritto a gennaio l’ Economist , che notava come, per quanto calzante possa essere il paragone con la Silicon Valley, Israele non abbia ancora dato vita a una Hewlett-Packard o una Goo­gle. Le migliaia di start-up israelia­ne, infatti, restano compagnie di piccole dimensioni o sono acqui­siteda giganti esteri.