Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 27/10/2012, 27 ottobre 2012
«WEN, RICCO COME UN MILIARDARIO»
Non è chiaro se sia stata solo una coincidenza, più o meno sfortunata, oppure se si tratta invece di un’operazione studiata ad arte. Infatti, il lungo articolo che ieri sul New York Times denunciava la fortuna economica della famiglia del premier Wen Jiabao è uscito negli stessi minuti in cui il Governo annunciava la deposizione dalle ultime cariche in Parlamento di Bo Xilai, neomaoista, ex capo del partito di Chongqing, e noto arcinemico di Wen.
La coincidenza potrebbe essere stata una manovra del quotidiano americano per indebolire il premier che più si è battuto contro Bo, oppure una mossa di Wen per smussare l’attacco durissimo del giornale. Oppure forse è stato solo tutto un caso. Di certo l’articolo del New York Times riferiva con dovizia di particolari e abbondanza di dati che non solo la moglie e il figlio di Wen, ma che la vecchia madre 90enne sono padroni di fortune che vanno dalle centinaia di milioni ai miliardi di dollari (2,7 secondo il Nyt). La storia non è nuova, era un segreto pubblico da anni, ma il giornale ha fornito una grande quantità di dettagli e ne ha fatto un caso.
Il quotidiano ha riferito delle presunte enormi fortune accumulate da moglie e figlio di Wen con il sospetto che la loro ascesa sia stata facilitata dal potere del marito e padre. Wen è quindi diventato quasi una specie di grande affarista di Stato, una specie di nuovo satrapo cinese che svuota lo stato per i suoi interessi privati.
D’altro canto però il giornale non ha accennato all’impegno di Wen a favore delle riforme politiche né il ruolo centrale che il premier ha giocato nella battaglia contro Bo. Questi sono elementi noti, che forse avrebbero dato un altro contesto all’eventuale corruzione.
Bo inoltre voleva riportare la Cina ai tempi di Mao tagliando spazio alle imprese private e concentrando potere e denari in quelle di Stato. Tale strategia avrebbe potuto portare a una corruzione profonda e sistematica dello Stato cinese, vista l’inefficienza delle imprese di Stato. Questa così appare una battaglia politica a difesa di Bo. Infatti, in serata, mentre il sito del New York Times era bloccato dalla Cina, seguaci di Bo continuavano a fare circolare l’articolo incriminante sui Weibo, i twitter cinesi.
Questo è il secondo grande attacco sferrato su testate americane contro leader cinesi. Nelle settimane scorse l’agenzia Bloomberg aveva pubblicato un’inchiesta-denuncia invece sulle fortune finanziarie della famiglia di Xi Jinping, l’uomo che dopo il Congresso dell’8 novembre dovrebbe diventare segretario del partito e a marzo assurgere al posto di presidente della Repubblica. Anche allora si trattava di una ricostruzione molto particolareggiata, e anche allora la reazione fu la chiusura dell’accesso alla testata dalla Cina.
In Cina però è difficile orientarsi nella giungla di carte e dichiarazioni finanziarie, pure pubbliche, senza una guida o un’introduzione su dove andare a guardare. È probabile quindi che sia il New York Times che Bloomberg abbiano agito imbeccati proprio da uomini vicini a Bo Xilai che ancora non si danno per vinti. Questi hanno scelto testate americane perché sono quelle con maggiore impatto globale.
Nel frattempo, nelle stesse ore l’agenzia ufficiale Xinhua elencava una serie di accuse pesantissime contro Bo Xilai, ognuna delle quali potrebbe portare alla pena di morte. Bo è accusato di complicità nell’omicidio dell’inglese Heywood, ucciso da sua moglie Bo e per questo già condannata. Bo è poi colpevole di avere indotto il suo ex capo della polizia a tentare la fuga all’estero (anche lui già condannato), una roba da alto tradimento. Poi c’è la vicenda cn la quale ha promosso e deposto funzionari in contravvenzione alle regole del partito, cosa più grave della classica accusa, che comunque non manca, di essersi appropriato di cifre enormi.
Il destino politico di Bo era già sigillato, anche se non si sa ancora la data in cui sarà svolto il processo. Ma la valanga di capi di accusa pesantissimi fanno pensare che l’ex capo di Chongqing possa essere forse anche giustiziato (l’ultima morte politica violenta in Cina, ufficialmente per incidente, fu quella di Lin Biao nel 1971). Oppure potrebbe essere la premessa di una larga campagna governativa di ripulitura contro gli ultimi alleati di Bo.
D’altro canto la guerra dei dossier, veri o finti, potrebbe arrivare anche al presidente Hu Jintao. Nel frattempo, un risultato minore, e molto probabile, potrebbe essere quello di imporre nuovi e più stretti freni e limiti alle attività di affari dell’aristocrazia rossa cinese. Uno maggiore invece riguarda la battaglia politica intorno al prossimo Congresso che potrebbe arroventarsi sempre di più.