Daniela Roveda, Il Sole 24 Ore 27/10/2012, 27 ottobre 2012
I CONSUMI SPINGONO L’ECONOMIA USA
L’economia americana continua a crescere, anzi nel terzo trimestre ha accelerato il passo, ed è entrata ufficialmente nel quarto anno di espansione dopo la crisi finanziaria che si è conclusa a metà 2009, sei mesi dopo l’insediamento di Barack Obama alla presidenza Usa. Si tratta indubbiamente di una ripresa anemica, incapace di generare un numero sufficiente di nuovi posti di lavoro per abbassare il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi, ma gli ultimi dati economici hanno offerto un mix di elementi deludenti e spunti incoraggianti, con qualche nuovo spiraglio di speranza per un’accelerazione della crescita in futuro a scanso di imprevisti.
Il prodotto interno lordo americano è salito del 2% nel trimestre luglio-settembre, più dell’1,8% previsto dagli economisti Usa, e più dell’1,3% registrato nel trimestre precedente. Una crescita del 2% è bassa, ma il fatto che sia stata superiore a quella del secondo trimestre è stato sufficiente a dissipare i timori di progressivo peggioramento o addirittura di una contrazione economica nella seconda metà del 2012.
A differenza dei trimestri precedenti, questa volta sono stati i consumatori e l’amministrazione pubblica a trainare la domanda, mentre il settore aziendale ha tirato i remi in barca. La spesa dei consumatori è cresciuta del 2%, con un’impennata dell’8,5% per gli acquisti di beni durevoli, conferma della rinnovata fiducia dei consumatori nel futuro; l’indice della fiducia dei consumatori è infatti schizzato in alto in ottobre al livello più alto degli ultimi cinque anni.
Tira anche il settore immobiliare, la cui bolla ha contribuito enormemente allo scoppio della crisi finanziaria, con un incremento del 14,4% della spesa edilizia. La pubblica amministrazione, il maggior freno alla ripresa economica insieme al settore immobiliare, questa volta ha contribuito all’aumento del Pil con un aumento della spesa del 9,6%, dovuta principalmente a un aumento della spesa militare. Il settore pubblico ha probabilmente salvato l’economia dalla depressione con il pacchetto di stimoli varato nel 2009, ma ha soffocato la ripresa con una forte contrazione della spesa sia a livello federale che statale e comunale. A differenza della spesa federale, quella degli enti locali ha continuato a calare anche in quest’ultimo terzo trimestre.
Preoccupate per la contrazione delle economie europee e per l’incertezza della politica fiscale in Usa, le aziende americane hanno invece agito in modo prudente, e lo dimostra il calo dell’1,3% negli investimenti fissi, una misura della spesa complessiva del settore imprenditoriale. Gli effetti della crisi europea, invece, si sono tradotti nel primo calo delle esportazioni americane degli ultimi tre anni e mezzo.
Molte imprese Usa hanno congelato le loro decisioni si spesa per paura del cosiddetto "fiscal cliff", un mix di 1.200 miliardi di dollari di tagli automatici alla spesa pubblica e sensibili aumenti delle tasse destinati ad entrare in vigore il primo gennaio se il Parlamento non riuscisse a trovare un accordo sulla riduzione dei deficit pubblici dei prossimi 10 anni. Il fiscal cliff è un espediente concepito dal Parlamento stesso per costringersi a trovare un accordo entro fine 2012, ma data la spaccatura ideologica del Congresso e l’incertezza sull’esito delle elezioni presidenziali, il rischio che l’accordo non si trovi è concreto.
L’effetto del "precipizio fiscale" sull’economia Usa potrebbe essere devastante, e potrebbe far ripiombare l’America in una grave recessione. La National Association of Manufacturers, l’associazione degli industriali, prevede che il contemporaneo aumento della pressione fiscale e la diminuzione della spesa civile e militare possano scatenare un’ondata di 6 milioni di licenziamenti e un aumento del tasso di disoccupazione dall’attuale 7,8% all’11%.