Morya Longo, Il Sole 24 Ore 27/10/2012, 27 ottobre 2012
IL «FLOP» DEL TERZO QUANTITATIVE EASING
Potremmo definirlo un sondaggio «bulgaro». Qualche giorno fa l’agenzia di stampa Bloomberg ha chiesto a 21 grandi operatori finanziari Usa cosa si aspettassero dalla Federal Reserve nei prossimi mesi, e tutti insieme – all’unanimità – hanno risposto nello stesso identico modo: la banca centrale americana già a dicembre dovrà aumentare le maxi-iniezioni di dollari sul mercato. Dovrà ampliare il cosiddetto "quantitative easing" (noto sui mercati con la sigla Qe3): dovrà comprare anche titoli di Stato, oltre alle obbligazioni legate ai mutui. Insomma: dovrà aumentare la dose di "droga" monetaria, perché quella attuale non basta. Non soddisfa più la "fame" della speculazione. Sono i numeri del mercato a dimostrarlo: indebitarsi in dollari (sfruttando il denaro facile dalla Fed) per comprare titoli ad alto rendimento non è più conveniente.
Effetto ridotto
Il quantitative easing, usato dalla Fed per tre volte, ha l’obiettivo di far ripartire l’economia Usa: consiste nell’acquisto, da parte della banca centrale, di titoli obbligazionari vari (principalmente titoli di Stato o bond legati ai mutui) iniettando liquidità sul mercato. Questa liquidità viene poi re-investita su vari mercati finanziari. I tassi d’interesse Usa a zero, per effetto sempre della politica monetaria della Fed, incentivano inoltre un giochetto che i tecnici chiamano "carry trade": gli investitori prendono i prestito dollari (indebitandosi con tassi bassissimi) e poi re-investono i soldi su titoli o mercati che offrono rendimenti più elevati.
Tutto questo (abbondante liquidità e carry trade) in occasione dei primi due quantitative easing del 2009 e del 2010 causò un grande rally dei mercati finanziari: nel primo mese e mezzo dopo il Qe1 e dopo il Qe2 Wall Street s’impennò del 28% e del 12%, le materie prime registrarono rialzi fino al 37%, le valute dei Paesi emergenti si apprezzarono nei confronti del dollaro fino al 16-18%. Era tutta una grande bolla speculativa, ma riportava il buon umore sui mercati e rimpolpava la ricchezza delle famiglie americane (in buona parte investita in Borsa).
Invece da quando è partito il terzo quantitative easing, a metà settembre scorso, tutto questo non è accaduto. Da quel giorno Wall Street perde il 3,9%, le materie prime sono in gran parte in calo e le valute emergenti sono quasi tutte in ribasso sul dollaro. L’indice di Ubs, che misura la convenienza per gli investitori a realizzare il "giochetto" del carry trade, attualmente è sui minimi dall’inizio della crisi economica (eccezion fatta per un più valore leggermente basso nel 2011). Chi all’inizio del terzo quantitative easing si fosse indebitato in dollari per comprare rand sudafricani, oggi registrerebbe una perdita del 6,04%: chi avesse fatto la stessa identica speculazione in occasione del primo quantitative easing, avrebbe invece guadagnato il 18,30%. Il carry trade nel mese e mezzo dopo i primi due Qe era stato favorevole (con lauti guadagni) per chi avesse investito in quasi tutte le valute emergenti. Questa volta è stato in gran parte sfavorevole.
Pallottola spuntata?
I motivi per cui il terzo quantitative easing non ha avuto un grande effetto sui mercati finanziari (dove invece solitamente mostrava maggiormente le sue doti) sono vari. «Innanzitutto il mercato ormai è assuefatto a queste manovre – osserva Antonio Cesarano, responsabile market strategy di Mps Capital Services –. Per di più questa volta il quantitative easing ha un ammontare inferiore rispetto ai precedenti due». Nelle passate occasioni – scrivono gli economisti di Nomura – la Fed acquistava soprattutto titoli di Stato Usa, che sono presenti in grandi quantità nei portafogli degli investitori internazionali (non americani). Questa volta, invece, la Fed compra solo obbligazioni legate ai mutui Usa: titoli in gran parte in mano a investitori Usa.
Questo fa una bella differenza. Calcola infatti Nomura che con il primo quantitative easing, la Fed trasferì liquidità in dollari agli investitori internazionali (non Usa) per 388 miliardi di dollari. Con il secondo per 306 miliardi. Questa volta, invece, gli investitori internazionali incasseranno solo 78 miliardi. Insomma: avranno meno soldi, stampati dalla Fed, da investire sui mercati. Questo, unito alla scarsa appetibilità del carry trade, ha ridotto l’euforia sui mercati. L’impatto potrebbe esserci su altre tipologie di titoli, per esempio i bond aziendali. Ma di certo sarà inferiore rispetto al passato.
Questo dimostra che "drogare" i mercati di liquidità serve sempre meno. «Se il quantitative easing fosse la panacea di tutti i mali, allora il Giappone avrebbe alle spalle dieci anni di crescita economica» visto che ne ha realizzati molti, chiosano gli economisti di Bank of New York Mellon. Eppure qual è il suggerimento che economisti danno alla Fed? Ce lo dice il sondaggio di Bloomberg: aumentare l’importo del Qe e comprare anche titoli di Stato. Bank of America suggerisce 45-60 miliardi al mese. Barclays 270 miliardi in totale. Royal Bank of Canada 30 miliardi al mese. Qualcuno ha già ribattezzato il «Qe3» con il nomignolo di «Qeternity». Ma forse sbaglia per difetto...