Leonardo Maisano, il Sole 24 Ore 29/10/2012, 29 ottobre 2012
A PASSEGGIO TRA I RESTI DEL BOOM
«Ladies and gentlemen, ci troviamo nel cuore della City di Londra. Alle vostre spalle la Banca d’Inghilterra,the Old Lady, un poco più avanti potete vedere ...». Doppiopetto di lino blu, camicia a righe ampie, cravatta sorprendentemente vezzosa, David Buik è l’affabulatore di una narrazione che caracolla fra il ricordo storico, la memoria personale, l’ultimo pettegolezzo. Di «si dice» è piena la City, i rumors, talvolta in odore di insider trading, attraversano da secoli un Miglio Quadrato (è l’estensione geografica del distretto finanziario britannico) che aspira a spiegarsi. Vuol dar notizia di se stessa, della propria esistenza oltre la crisi, rivolgendosi a una ristretta platea di curiosi pronti a pagare 400 sterline per un giorno e mezzo di camminata fra le macerie morali ed economiche della finanza anglosassone nel quinto anno dell’era credit-crunch.
David Buik, stock broker di professione, è la guida occasionale di un tour - Il debito e la City - che comincia con una parola divenuta involontario lessico familiare: la bolla, non quella di sapone, ma della speculazione. «Ecco proprio la Banca d’Inghilterra fu colpita dalla South Sea Bubble, insostenibile dinamica finanziaria che resta la madre di tutte le "bolle" successive. Un evento che cambiò, nel 1695, il destino della Bank of England, coniando un sostantivo e tracciando un destino che si legge così: è accaduto e continuerà ad accadere».
La cupidigia umana, David Buik, la misura su se stesso. «Se a 68 anni sono ancora al lavoro lo si deve proprio all’avidità di tanti anni fa». In Leadenhall street, la storia personale di un broker a caccia di un facile guadagno e quella di un palazzo dall’incerto destino, s’incontrano. Il Cheesegrater, ovvero il grattacielo progettato da Richard Rogers che svetta dinnanzi all’edificio dei Lloyds di Londra, rimase fermo per mesi a causa della crisi del 2008 senza più un padre e una madre in grado di garantirgli un destino economico sufficiente a far ripartire i lavori. Gli operai sono tornati sulle impalcature e da lì guardano il palazzo che ospita il più grande mercato delle assicurazioni del mondo dove si consumò un altro atto di umana hubris. «Era il 1989 e sui Lloyds precipitò la crisi dell’amianto. Migliaia di persone fallirono, case e risparmi di una vita furono portati via. Accadde in una certa misura anche a me, anche per questo continuo a lavorare. Ma è stato giusto così, erano margini enormi». E nell’ubriachezza generata dall’odore del profitto, molto poco del rischio sul l’amianto fu riassicurato. Il conto finale fu enorme anche se misurato con le tasche capienti dei singoli investitori.
Erano gli anni del boom innescato da Margaret Thatcher, il Big Bang finanziario s’accompagnò all’abbattimento dell’imposizione fiscale e all’occhieggiare del capital gain, balzello a lungo sconosciuto. L’opulenza londinese, molti la fanno risalire a quella bizzarra, prolungata dimenticanza. Più di un terzo degli investitori in Borsa erano privati trent’anni fa, oggi al London stock exchange non più di uno su dieci è singolo risparmiatore e questo significa che la ricchezza delle famiglie, quella nata da danaro esentasse, sbocciava dalla speculazione finanziaria che è storia antica, come abbiamo visto, assai più delle consunte insegne del Jamaica Coffe House che nel 1652 divenne storico punto d’incontro di buyers and sellers.
Allora come ora. «Lo dicono i numeri: il 17% dell’economia britannica è nei servizi finanziari ...». La finanza pesa ma non tanto, Nicholas Wood sa di esagerare e presto si corregge. Non vuole dare sostanza al sospetto che fortissimamente nega, ovvero di volere promuovere la City dando così un contributo alla riabilitazione di ammaccati banker.
È lui, ex giornalista del New York Times, l’ideatore di Political Tours (www.politicaltours.com), bizzarra idea che aspira ad applicare criteri da inchiesta giornalistica a visite di approfondimento nel cuore dei fatti. «Il concetto è semplice – va precisando a chi lo sollecita – se esistono tour artistici o storici perché non devono esisterne di analoghi sui temi della politica?» Sostiene di applicare criteri da inchiesta quando porta ospiti in Kosovo, in Libia e anche in Nord Corea. A Pjongjang non s’indaga molto? «Si può, nonostante la propaganda». Poche migliaia di dollari ed è servizio completo per un bagno di realpolitik. Passeggiare portati per mano fra le piaghe della City – l’ultimo servizio della serie – è altra cosa, ma è di straordinaria attualità per quella voglia di perdono che sale in superficie fra le chiacchiere con dealers all’apparente ricerca di umana comprensione.
«There is nothing good or bad, but thinking makes it so», Chris Darbyshire ex uomo dei derivati Goldman Sachs, oggi impegnato su prodotti non dissimili per 7Investment, s’appella ad Amleto per ragionare su quanto sia opinabile la fama. «Non c’è (davvero, n.d.r.) nulla di buono o di cattivo che non sia reso tale dal pensiero»? Non lo era – lascia intendere Chris – quel primo contratto future che un contadino della Mesopotamia firmò sette secoli prima di Cristo per proteggere il proprio raccolto. Molto meno primitivo è l’abbrivio successivo, quello dei giorni nostri, quando la cultura dei prodotti derivati è esplosa accoppiandosi con il godimento dell’azzardo. È accaduto qui, in queste strade, lucide d’ottone, molto più che in quelle di Wall street. È qui che l’acrobatico edificio finanziario ha incontrato la britannica passione, viscerale, per il rischio. Dove la finanza s’è fatta pura scommessa.
«Lei dice che siamo solo bookmakers? È così, per tutti». Angus Campbell replica senza ipocrisia alla più ovvia obiezione, lui che maneggia il cosiddetto Financial spread betting, strumento non troppo diverso dal far volare una moneta in attesa di una testa o di una croce. È vietato negli Usa, ma minaccia di contaminare i mercati finanziari inglesi, innalzando il rischio. È tanto apprezzato dagli «investitori» perché non c’è tassa sul guadagno. «Perché? Semplice – replica Angus – in Inghilterra non ci sono imposte sulle scommesse».
Credevamo di essere nella City e abbiamo la bizzarra sensazione di muoverci nel privè di un casinò. Ma, forse, come dice Angus, lo stupore va messo via, perché le similitudini sono evidenti. Troppe, se è vero quanto racconta Bill Hubard, a conclusione di questa corsa a pennellate molto naive su e giù la superficie di un quadrato che sembra molto più di un miglio capace, come è stato, di allargarsi oltre i confini naturali. Ha molti ex nel suo curriculum di maturo dealer/banker columnist, mister Hubard. S’avvicina con l’accento arrotato del sud degli Stati Uniti e sussurra. «Mai vista una situazione come quella degli ultimi anni, i mercati sono fuori controllo». E se, invece, per qualcuno battono la fiacca è motivo in più per inventarsi un buon business, passeggiando, a pagamento, fra i resti del boom.