Alessandro Merli, il Sole 24 Ore 28/10/2012, 28 ottobre 2012
DRAGHI: QUANTE COSE SUCCESSE IN UN ANNO
«Beh, non posso crederci, ma è già passato un anno. Quante cose sono successe!». Sul palcoscenico dell’Alte Oper di Francoforte per l’annuale ricevimento della Banca centrale europea, la scorsa settimana, prima di cominciare il discorso ufficiale, Mario Draghi ha commentato così, con stile tipicamente diretto, e tipico understatement, i suoi primi dodici mesi alla presidenza dell’Eurotower. I dodici mesi più drammatici della breve vita dell’euro, ma anche una vera e propria rivoluzione per la Bce. Un anno che, in un crescendo di interventi, ha ruotato attorno all’ormai famosa dichiarazione di Londra a fine luglio, secondo cui era pronto a «fare tutto il necessario» per salvare l’euro. N ella stessa occasione, l’anno scorso, Draghi era ancora governatore della Banca d’Italia e la serata, che avrebbe dovuto avere come protagonisti l’Orchestra Mozart di Bologna e Claudio Abbado, seguì tutt’altro spartito, ricco di colpi di scena: si consumò all’Alte Oper, con il decisivo intervento di Draghi, l’ultimo atto della successione alla Banca d’Italia, presenti due dei tre candidati, Fabrizio Saccomanni e Lorenzo Bini Smaghi, e il quarto che poi l’avrebbe spuntata e a quel momento forse era ancora ignaro, Ignazio Visco. E piombarono sul concerto, per riunirsi in una saletta con Draghi e il suo predecessore Jean-Claude Trichet, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy per l’ennesimo tentativo di mettere assieme i cocci della crisi dell’Eurozona prima di uno dei tanti vertici. Con un’ouverture così fuori dell’ordinario, il mandato di Draghi alla Bce, cominciato poi il 1°novembre dell’anno scorso, non poteva che avere sviluppi imprevedibili. Il banchiere centrale italiano ha dato prova di grande freddezza sotto pressione e di abilità diplomatica, doti che gli venivano riconosciute anche prima della sua nomina a Francoforte, ma anche di sapere, se necessario, infrangere i tabù del central banking, quando le circostanze, spesso tumultuose, lo hanno richiesto. A tratti è sembrato essere l’unico, con l’istituzione che guida, in grado di agire per tenere assieme l’unione monetaria, a tratti ha guidato i politici per mano su scelte che apparivano impensabili, dal fiscal compact, da lui evocato già a fine novembre e approvato a tempo di record a febbraio, al growth compact, il patto per la crescita, lanciato a maggio e per la verità finito ai margini della discussione, alla proposta di elaborare una «visione a 10 anni» per l’Eurozona, sulla falsariga di quanto fu fatto negli anni 90 per la creazione dell’euro, ed è stata la scintilla per il lavoro dei "quattro presidenti" (lui compreso) che deve definire la nuova architettura dell’Europa monetaria. Comunque, Draghi appare fermamente piantato al centro del dibattito europeo. La sintonia con la signora Merkel, che si è mossa apertamente per appoggiarlo a poche ore dalla dichiarazione di Londra, nonostante la conclamata opposizione della Bundesbank, si è rivelata un asset decisivo. Draghi non ha impiegato neppure due giorni dal suo insediamento a Francoforte per servire la prima sorpresa, un ribasso dei tassi quando tutti pensavano a una linea attendista del nuovo arrivato, per poi fare il bis il mese successivo. Quando per sovrammercato ha annunciato che la Bce avrebbe sostenuto le banche, in gravissima crisi di liquidità, con due operazione straordinarie a tre anni (Ltro): alla fine di dicembre e febbraio, gli istituti europei, italiani e spagnoli in testa, si sono abbeverati di mille miliardi di euro. Una mossa che ha messo fine all’ipotesi di un collasso bancario nell’Eurozona, anche se alla fine non ha avuto l’effetto sperato sull’economia reale. Le banche hanno prima rimpiazzati altri canali di finanziamento che si erano completamente inariditi, poi acquistato titoli di Stato, rafforzando quell’abbraccio fra debito sovrano e bilanci bancari che invece andrebbe sciolto per tornare alla normalità. Al vertice europeo di fine giugno, Draghi ha visto sposata dai leader politici la sua visione di lungo periodo dell’Eurozona, in cui all’unione monetaria andavano affiancate quella bancaria, quella fiscale e quella economica, oltre che politica. La ricaduta più immediata: per la Bce un nuovo compito, quello di guidare la vigilanza bancaria in Europa. Draghi lo ha accettato, ma qualcuno si chiede se non abbia fatto il passo più lungo della gamba, quando gli aspetti legali e organizzativi sono di enorme difficoltà, soprattutto sull’arco di tempo molto breve a disposizione, le resistenze politiche fortissime e gli interrogativi sul possibile conflitto fra le nuove mansioni e il mandato della Bce di salvaguardare la stabilità dei prezzi sono molti. A luglio di quest’anno, con l’economia europea in costante peggioramento, molti Paesi già in recessione e anche il cuore dell’Eurozona ormai colpito dalla frenata, la Bce di Draghi ha infranto un’altra barriera non scritta, quella del pavimento dell’1% per i tassi ufficiali, portandoli allo 0,75 per cento. Sui mercati, l’obiezione è semmai se la Bce non continui ad avere, nella sue previsioni, una visione troppo ottimistica dell’economia. Ma a quel punto, l’attenzione di Draghi si era spostata sul fatto che la politica monetaria non è più in grado di trasmettersi a tutta l’Eurozona, ma che anzi, in alcuni Paesi, i tassi di mercato continuavano a salire, anche a fronte di un ribasso di quelli ufficiali. La diagnosi della Bce è stata che quest’anomalia, che di fatto impedisce alla politica monetaria di funzionare, sia dovuta alle paure di una rottura dell’euro e al rischio di "ridenominazione", di uscita dall’unione monetaria dei Paesi più vulnerabili. A fine luglio, quando questi timori avevano raggiunto livelli quasi parossistici e il collasso dell’euro cominciava ad apparire una possibilità reale, con le crescenti difficoltà della Spagna, e le possibili ricadute sull’Italia, oltre alla metastasi della Grecia, è arrivato il discorso di Londra. «Faremo tutto il necessario. E, credetemi, sarà abbastanza», quasi una minaccia da parte del presidente della Bce, forse ancora prima di aver definito esattamente cosa potesse essere «tutto il necessario». All’inizio di settembre arriva il piano Omt, in cui la Bce promette di acquistare, anche in misura potenzialmente illimitata, titoli del debito dei Paesi in difficoltà che sottoscrivano l’impegno al risanamento e alla riforme con il neonato fondo salva-Stati europeo Esm. La condizionalità come protezione contro l’azzardo morale. I mercati capiscono e invertono la tendenza. «Draghi - dice Erik Nielsen, capo economista di Unicredit - ha fatto, in una situazione molto difficile, tutto quello che si poteva realisticamente sperare: le Ltro quando c’erano forti rischi per il sistema bancario, e l’Omt, che, mercati e politici concordano, ha cambiato completamente le carte in tavola». Secondo Philipp Hildebrand, ex presidente della Banca nazionale svizzera, e oggi vicepresidente del colosso dei fondi BlackRock, «Draghi ha avuto successo nel cambiare la dinamica della crisi, facendo sì che i mercati lavorassero per la Bce e non contro la Bce». Però finora nessun Paese ha attivato l’Omt. «Se l’opportunità offerta da Draghi non venisse colta - afferma Hildebrand - ci sarebbe una ricaduta molto pericolosa, perché a questo punto la fiducia sarebbe persa in modo irreparabile». Palla, insomma, nel campo dei politici, come Draghi non si stanca di ripetere. Nonostante gli sforzi straordinari del suo primo anno alla guida dell’Eurotower, che l’hanno spinta ai limiti (ed oltre, secondo i suoi critici) del mandato, la crisi dell’Eurozona è lungi dall’essere all’epilogo. Il secondo anno di Draghi a Francoforte promette di essere movimentato quanto il primo.