Irene Vallone, Libero 26/10/2012, 26 ottobre 2012
UNA VITA DA MOGOL
[Battisti, Sanremo, amore, morte «Mi racconto in 300 aforismi»] –
Pensieri senza pentagramma. Rossi, succosi. Ma anche amari, col nocciolo dentro. Sono gli aforismi, in tutto trecento, di Giulio Rapetti, in arte Mogol. Dal titolo Le ciliegie e le amarene (ed. Minerva), sabato li presenterà a Milano Book Fair, dove riceverà anche un premio per la sua lunga carriera di «paroliere» dei big della canzone italiana. Lui, un medagliere da Tony Renis, Mina, Battisti, Morandi, Cocciante, Fossati a Celentano, non ama questa definizione. «La musica non la fanno i musichieri, ma solo i musicisti e noi siamo autori», dice. E lo dimostra con quest’opera che lui giudica prima, distillata dagli appunti che negli anni ha seminato in ogni angolo della sua casa- bottega (Centro Europeo Toscolano) nella campagna umbra, dove fa diventare grandi i giovani musicisti. E ospita la Nazionale Cantanti, da lui fondata a scopo benefico.
La vita non è solo una canzone...
«No, di certo. Ma aver scritto per anni testi per la musica mi ha aiutato a sviluppare una grande capacità di sintesi. Quando impari a raccontare una storia in poche parole, come in un film, arriva la tentazione di andare sempre più al succo, alla verità delle cose».
Da qui gli aforismi.
«Vivo molto intensamente. Spesso mi assalgono lampi di pensieri, di emozioni: se non corro a scriverli subito, sono persi. Per questo tengo un taccuino di fianco al telefono e foglietti nelle tasche».
Anche il nome Mogol è nato di getto.
«Avevo mandato un centinaio di pseudonimi per registrarmi alla Siae, ma non ne andava bene nessuno, così mi era venuto in mente il nome del giovane esploratore dei tre paperi della Disney. Quando ho saputo che era stato accettato, ho avuto un brivido lungo la schiena, poi mi ci sono abituato emi ha portato bene».
Scrive: «La felicità non è la fortuna, ma saper leggere la vita». «Ammetto di aver avuto un destino benevolo, di cui sarò sempre grato. Mio padre ebbe l’intuizione di portare alla Ricordi la musica leggera.Così per ogni canzone corretta mi davano 5 mila lire, quei soldi allora mi servivano. Poi, a 24 anni, ho vinto il mio primo Festival e da allora mi sono messo in proprio».
«Sanremo. Anche i santi potrebbero finire per odiare le canzoni». Lei ne ha vinti 4 più quello in cui fu escluso un suo grande successo come Una lacrima sul viso di Bobby Solo…Oggi?
«Arisa, una delle poche cantanti con feeling, è una mia allieva, così come l’autore della canzone La Notte, Giuseppe Anastasi (2300 diplomati in 20 anni ndr). Purtroppo oggi le canzoni e i cantanti vengono scelti non per la qualità, ma per la notorietà che è garanzia di commercializzazione. Io e Lucio, se nascessimo oggi, non avremmo alcuna possibilità di fare strada».
Come andò con Battisti? «Chi non ha tempo per parlare con un amico, sta vivendo una vita sbagliata».
«Il nostro sodalizio si è rotto, diciamo, a causa di influenze esterne... Ma quando avevo saputo che era stato ricoverato all’ospedale S. Paolo gli ho subito fatto avere una lettera con il mio numero di cellulare, nella quale gli dicevo che ero ancora l’amico di sempre, pronto ad aiutarlo... Solo dieci anni dopo ho saputo che l’aveva letta e aveva pianto...».
«Si invecchia per lasciare il mondo con meno dolore». Lei? «Sono sereno, ho un buon rapporto col tempo che passa. La morte è un evento naturale che ho imparato ad accettare, ne parlo spesso in modo confortante. È un problema che va affrontato per tempo, come scrivo nel mio libro Prima del grande salto salterò».
«La tv legata all’Auditel è come un’aquila alla catena. Per quanto sbatta le ali non può volare in alto». È così?
«Oggi prevale la mediocrità. Il vero motivo del successo del Grande Fratello? Il gusto di cacciarli via. Credo che la televisione sia lo specchio del nostro Paese, annodato, bloccato».
«La politica che è fine a se stessa tradisce il Paese». Chi voterà?
«Nel ’68 mi davano del fascista solo perché non scrivevo canzoni per i comunisti. Ho votato liberale, repubblicano. Oggi non so, sono ancora tra il 51 per cento degli indecisi…Fare largo ai giovani è giusto, l’importante è che siano onesti».
«Poeta è chi sa comunicare grandi emozioni , ma anche riceverle». Lei?
«Non so, credo che una persona possa essere definita tale solo se, dopo cinquant’anni dalla sua morte, è ancora in grado di emozionare con le sue opere».
Nel suo libro cita Sordi, Pasolini e il cardinale Martini. Perché?
«Il primo era un artista straordinario, il secondo un autentico poeta e il terzo, un uomo dal cuore grande, il futuro della Chiesa».
«I bambini camminano in discesa, gli adulti in piano, gli anziani in salita. Perché il cielo è su». Lei crede?
«Posso risponderle con un aforisma?».
Prego.
«È la ragione più che la fede a condurci a Dio».