Francesco Surdich, la Lettura (Corriere della Sera) 28/10/2012, 28 ottobre 2012
DOTTORE HA SBAGLIATO FIUME. SUPPONGO - «I
l dottor Livingstone, suppongo» sono le prime parole, destinate ad entrare nella storia e nel costume che, con un controllo delle proprie emozioni tipicamente anglosassone, Henry Morton Stanley scelse di pronunciare dopo essersi tolto il cappello quando, il 28 ottobre 1871, indossando un immacolato completo di flanella appena stirato, giunse ad Ujiji davanti alla capanna nella quale viveva allora David Livingstone, lo scozzese che all’inizio del 1866 era partito alla ricerca delle sorgenti del Nilo nella zona compresa tra i laghi equatoriali ed il bacino dello Zambesi, facendo perdere ben presto le sue tracce. L’incertezza sulla sorte di Livingstone aveva suscitato infatti una forte apprensione nell’opinione pubblica europea, che in quel periodo seguiva con interesse e partecipazione le imprese degli esploratori che, inoltrandosi nel cuore dell’Africa, diventavano subito popolari.
Ce lo attesta fra i tanti Edmondo De Amicis che così scriveva il 25 gennaio 1879 al suo editore, Emilio Treves, che gli aveva inviato una copia di Attraverso il continente nero, resoconto delle esplorazioni di Stanley che conobbe un’eccezionale fortuna editoriale: «Non ho mai letto nulla di più interessante, di più commovente, di più bello di questo libro (...). Tutta Italia dovrebbe leggerlo. Non è una relazione di viaggi, è un’epopea più bella del più grande di tutti i poemi, ed Enrico Stanley è un uomo che onora il genere umano (...). Ho tremato e pianto come un bambino leggendo queste inarrivabili pagine. Che bella cosa, che grande cosa! Tutto mi pare scolorito al confronto (...). Che quadri, che episodi, che caratteri, che sentimento, che forza! Non finirei mai di parlarne (...). Era un pezzo che non provavo più una così profonda emozione».
Fu per questo motivo, e per la partecipazione con cui i lettori dei giornali di quel periodo seguivano queste imprese, che James Gordon Bennet jr., direttore del «New York Herald», decise nell’ottobre 1869 di inviare alla ricerca di Livingstone il giornalista ed esploratore gallese Stanley. Una scelta che si inserisce nel clima di grande attenzione che avevano sollevato, già a partire dalla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, fin dai primi tentativi operati in maniera organizzata dalla Royal Geographical Society e dal governo inglese, le spedizioni finalizzate ad individuare le sorgenti del Nilo, affidate inizialmente a John Hanning Speke, Richard Burton, James Augustus Grant e Samuel Baker, che operarono nella vasta area dei grandi laghi equatoriali (Tanganica, Vittoria e Alberto) con risultati tuttavia incerti e contraddittori, che rendevano difficile l’identificazione dei luoghi e quindi spesso impossibile disegnare carte precise ed attendibili e tracciare itinerari sicuri.
Fu per questo motivo che Livingstone, dopo la prima fase della sua attività di medico e missionario, iniziata nel 1841 con l’arrivo nella baia di Algoa, si era dedicato, a partire del 1849, all’esplorazione dell’Africa australe, con particolare riguardo prima al bacino dello Zambesi e poi alla regione compresa tra i laghi Nyassa e Tanganica. Credendo che tutta quell’ampia rete fluviale e lacustre fosse pertinente al bacino del Nilo, continuò ad aggirarsi nella zona della linea dello spartiacque, senza rendersi conto che quell’area rappresentava invece la linea di spartiacque tra il bacino del Congo e quello del Nilo.
Tornato nuovamente in Africa dopo un breve rientro in patria nel 1864, Livingstone aveva raggiunto il 31 marzo 1867 le sponde meridionali di un immenso lago che gli inglesi chiamavano Liemba o Tanganica, da cui scaturivano quattro grandi fiumi, scoprendo, il 5 agosto, il lago Moero. Quindi il 18 luglio 1868 era arrivato alla sponda settentrionale del lago Bangueolo rilevandone il contorno e la posizione, sempre più convinto di essere ormai sulla soglia della definitiva chiarificazione del problema niliaco.
A quel punto Livingstone puntò decisamente verso il lago Tanganica dove, prima di essere ritrovato, come abbiamo visto, da Stanley, nonostante le precarie condizioni di salute compì per oltre due anni numerose navigazioni nella sua parte meridionale e condusse accurati rilevamenti del complicato bacino del Lualaba, sempre più convinto che questo lago costituisse senza ombra di dubbio il ramo sorgentifero del Nilo, di cui si sarebbe dovuto seguire il percorso fino alla confluenza con uno dei rami secondari del Nilo scoperti in precedenza da Speke e Burton.
A quel punto decise di effettuare, assieme a Stanley, il rilevamento della porzione settentrionale del lago Tanganica per verificare, tra l’altro, come da tempo ipotizzava, se il Tanganica scaricasse o meno l’eccedenza delle sue acque nel lago Alberto. Fu così che i due esploratori riuscirono a scoprire l’immissario del Tanganica, il Rusizi, un fiume proveniente dal lago Kivu posto tra il Ruanda e l’Urundi, dando un fiero colpo all’ipotesi della pertinenza del Tanganica al sistema niliaco.
Dopo la morte di Livingstone (1° maggio 1873), oltre a chiarire definitivamente, con una straordinaria esplorazione realizzata tra il 1876 ed il 1877, che il Tanganica alimenta il bacino del Congo, Stanley cercò anche di verificare, nel corso del 1875, l’esattezza dei dati e delle informazioni raccolte da Speke in occasione del suo primo viaggio (1856-1858) compiendo la prima circumnavigazione completa del lago Vittoria e realizzando un’ampia ricognizione della sua sponda meridionale ed occidentale e dei terreni acquitrinosi che ne prolungavano la riva verso mezzogiorno: raggiunse così, il 21 aprile, la foce del Kagera, battezzata col nome di Nilo Alexandra, da lui considerata come l’estrema e più importante zona sorgentifera del grande fiume.
Stanley percorse anche il territorio compreso tra il lago Vittoria e il lago Alberto, venendo a sapere che a sud di quest’ultimo si trovava un altro lago, che non fu però in grado di raggiungere, il lago Alberto Edoardo, che riuscì però a scoprire dodici anni dopo assieme al suo emissario, il lago Semliki, da lui ritenuto come l’estrema zona sorgentifera del Nilo. A mezzogiorno del lago Alberto, sulla destra del Semliki, scoprì anche il Ruwenzori, già intravisto prima da Romolo Gessi e poi pure da Gaetano Casati, ma che soltanto dopo l’avvistamento di Stanley cominciò ad essere considerato come la montagna da cui aveva origine la sorgente occidentale più lontana, rispetto alla foce, del Nilo: così l’antica tradizione tolemaica secondo la quale il Nilo avrebbe avuto origine dalle montagne della Luna sembrò trovare conferma nella realtà.
Più tardi a chiarire meglio il sistema idrografico del Nilo e a fornire una diversa interpretazione della teoria tolemaica sarebbe giunta la scoperta dell’austriaco Oscar Baumann, che nel settembre 1892 individuò nel fiume Kagera, da lui esplorato fino alle sorgenti, situate a 2.120 metri sul livello del mare, nel territorio del Ruanda Urundi, a quattro giorni di marcia dal Tanganica, il principale affluente del lago Vittoria e quindi il vero caput Nili. Secondo Baumann, la catena montuosa nella quale il Kagera aveva le sue sorgenti era concordemente denominata dagli indigeni Misozi a Mvezi (monti della Luna) e questa denominazione si collegava alla leggenda antichissima che in quel luogo albergassero gli spiriti dei defunti Mvezi, titolo dato agli antichi capi di quel territorio.
Francesco Surdich
Professore ordinario di Storia delle esplorazioni e scoperte geografiche all’Università di Genova