Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 28/10/2012, 28 ottobre 2012
FUNZIONE MONDIALE DELL’INGLESE TROPPO UTILE PER COMBATTERLA
Sulla questione del Regno Unito e la Ue («Europa e Gran Bretagna: sì al mercato, no all’euro»), aggiungo una critica circa l’ambigua posizione britannica. Mi riferisco al fatto che dall’indotto monopolistico — assicurato scioccamente finora dall’Europa — alla lingua inglese, l’UK trae risorse economiche miliardarie, sia in risparmio, sia in guadagno. Come insegnano gli economisti Grin e Lukacs, il risparmio britannico sul non insegnamento d’alcuna lingua straniera è di 18 miliardi di euro/anno, mentre il guadagno derivato dall’apprendimento dell’inglese nell’Unione Europea, in alcuni Paesi come l’Italia addirittura forzoso, arriva a 350 miliardi di euro/anno. Una tassa linguistica di 900 euro/anno per ciascun euro-cittadino. Non crede che l’Unione farebbe bene a studiare a fondo, così come ha fatto per l’euro, l’entrata in vigore dell’esperanto come lingua federale?
Giorgio Pagano
Segretario Associazione Radicale Esperanto
Caro Pagano, non credo che l’insegnamento delle lingue straniere sia totalmente trascurato in Gran Bretagna e non sono in grado di verificare l’attendibilità delle cifre citate nella sua lettera. Ma lei ha il merito di ricordare che il dominio dell’inglese nella comunicazione internazionale è andato progressivamente crescendo soprattutto nella fase più rapida della globalizzazione, dagli anni Ottanta in poi. Per attirare studenti stranieri le università offrono corsi in inglese. Per essere comprese dai mercati le aziende scrivono i loro bilanci in inglese. Per vendere i loro prodotti, assumere nuovo personale e lanciare messaggi pubblicitari, parlano inglese. Per comunicare al mondo il risultato delle loro ricerche, gli scienziati scrivono i loro articoli in inglese. Persino le segreterie e i centralini telefonici rispondono in inglese e chiedono di lasciare messaggi «after the bip». L’inglese è la lingua della rete, della diplomazia, della guerra, delle transazioni finanziarie e dell’innovazione tecnologica. Non vi è dubbio: questo stato di cose regala ai popoli di lingua inglese un incomparabile vantaggio e a tutti gli altri un considerevole svantaggio.
Esiste una precisa strategia linguistica delle nazioni di lingua inglese e, in particolare, della Gran Bretagna? Questi Paesi hanno assecondato il fenomeno e hanno intascato ogni possibile beneficio, ma la diffusione dell’inglese è in larga parte un fenomeno spontaneo provocato dal alcuni fattori. È la lingua del Commonwealth britannico. È la lingua dei vincitori della Seconda guerra mondiale. È la lingua del maggiore laboratorio mondiale di innovazioni scientifiche e tecnologiche (gli Stati Uniti) e quindi la maggiore fornitrice di neologismi alla comunicazione internazionale. Ha una struttura grammaticale e sintattica piuttosto semplice, ma è anche una grande lingua letteraria.
Sono queste le ragioni per cui l’adozione di un’altra lingua mondiale è un progetto irrealizzabile. Con le loro leggi e i loro decreti gli Stati moderni hanno avuto il merito di unificare i costumi linguistici dei loro territori. Ma niente può durevolmente accadere in questo campo se l’adozione di una lingua comune non è accompagnata dalla coscienza collettiva dell’utilità di un tale passaggio. La politica più utile in questa prospettiva è quella del trilinguismo: la propria lingua, l’inglese e un’altra lingua scelta sulla base delle particolari esigenze di ogni cittadino europeo. È questo l’obiettivo verso il quale conviene puntare.
Sergio Romano