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 2012  ottobre 28 Domenica calendario

D’ALEMA: LE CANCELLERIE EUROPEE HANNO FIDUCIA IN MONTI

«Risponderò a tutte le sue domande ma la prego iniziamo dall’Europa e non da Berlusconi». Quando può raccontare del dibattito politico che si svolge a Parigi e Berlino Massimo D’Alema si sente sollevato. Lì si discute del futuro dell’Europa mentre «in Italia il discorso pubblico è distruttivo e ripiegato su noi stessi, perdendo così di vista scenario e problemi reali». Dal suo recente tour, comunque, D’Alema è tornato ancor più convinto del valore di Mario Monti. «Viene visto come una personalità che ha portato l’Italia fuori dal pantano e il destino dell’Italia alle cancellerie europee interessa perché temono un effetto contagio».
Siamo al paradosso che all’estero c’è maggiore benevolenza verso gli italiani di quella che noi stessi ci concediamo?
«In Germania ci giudicano un Paese industriale più competitivo della Francia, conoscono la forza del risparmio delle famiglie e considerano il nostro Nord largamente integrato con il loro sistema produttivo. E tutto ciò vale oro perché la crisi ha rivelato che non c’è prospettiva senza una base industriale forte e competitiva. Il capitalismo renano si è rivelato assai più robusto del modello finanziario londinese».
Ma la vittoria del socialista Hollande è servita a spostare gli equilibri oppure no?
«Gli sforzi congiunti di Hollande e Monti sono stati importanti ma la resistenza di Angela Merkel rende tutto estremamente lento. Paradossalmente la scelta politica più coraggiosa l’ha fatta la Bce, mentre i progressi politici verso l’unione bancaria e verso una strategia per la crescita sono troppo lenti. L’attesa per le elezioni tedesche, poi, può avere anche un effetto paralizzante».
Visto che Monti è il numero di telefono dell’Italia, le cancellerie europee auspicano un Monti bis?
«Tutti capiscono che l’Italia deve uscire dall’emergenza e che la vera garanzia di stabilità è un governo regolarmente eletto e con una solida maggioranza parlamentare, come avviene in tutti i Paesi europei».
Come si fa a incassare il dividendo legato all’azione di Monti senza un Monti bis?
«Chiedendo agli elettori di scegliere un governo di legislatura che abbia come programma la riorganizzazione del Paese».
Implicitamente lei sta dicendo, come Bersani, che Monti è più facile che varchi il Quirinale piuttosto che torni all’università Bocconi?
«Sono del tutto d’accordo con Bersani».
Come giudica lo stop and go di Berlusconi che nei giorni scorsi aveva ventilato di ricorrere al Monti bis e ieri invece ha minacciato di ritirare la fiducia al governo?
«Siamo tornati al Berlusconi populista e antieuropeo, quello che abbiamo conosciuto fino a pochi mesi fa. È la conferma di un irriducibile fondo estremista che rende, con ogni evidenza, impossibile l’idea di continuare la collaborazione con questa destra nel corso della prossima legislatura. Osservo però che vi sono in Italia poteri e interessi talmente ostili alla sinistra da aver tentato, ancora pochi giorni fa, di rivalutare il Cavaliere presentandolo come un illustre statista».
Ma è stato lei a considerare per primo Berlusconi uno statista da coinvolgere nel ridisegno delle istituzioni.
«Sì, ho cercato un accordo sulle regole per costruire un sistema democratico non lacerato da pregiudiziali, un bipolarismo civile. Era nell’interesse del Paese. Ma sono passati 14 anni e abbiamo dovuto constatare che con Berlusconi non è possibile».
Ieri però l’ex premier ha rigettato sul centrosinistra l’accusa della mancata regolamentazione del conflitto di interesse.
«È un’operazione ridicola e vergognosa. Quando cercammo di scrivere una legge seria e rigorosa, e fui io come presidente del Consiglio a fare questo tentativo, ci trovammo di fronte a un violentissimo ostruzionismo parlamentare. Per cui se Berlusconi oggi è chiamato a rispondere in tribunale come la persona che ha detenuto l’effettivo controllo di Mediaset, deve sapere che è lui stesso ad averlo voluto. Non si lamenti delle conseguenze. Invece, fa impressione che in un Paese con la pressione fiscale così alta su tanti cittadini, chi ha governato per anni sia condannato per frode fiscale».
Il Cavaliere ha annunciato che guiderà in prima persona la campagna elettorale del suo schieramento. Cosa cambia per il Pd?
«Niente. Berlusconi resta il leader del centrodestra, l’annuncio di ieri non mi stupisce».
Le primarie del centrodestra con il Cavaliere che dà le carte restano credibili?
«Spero che si facciano e abbiano il carattere di una vera consultazione. Sarebbe un’occasione di confronto tra modi diversi di concepire la partecipazione democratica e allontanerebbero, per loro, la tentazione di invadere le nostre...».
Le doppie primarie stanno mettendo in difficoltà Pier Ferdinando Casini, una personalità politica a cui lei ha guardato sempre con interesse.
«Il centro democratico ha lavorato per porre fine alla stagione di Berlusconi e ciò va riconosciuto. Ma oggi l’Udc appare come un partito indeciso, che non ha chiaro quale sia la sua mission. Penso che la strada giusta sia l’alleanza tra progressisti e moderati, un patto di legislatura per le riforme e la ricostruzione del Paese».
Al centro si stanno affacciando nuove figure. È stato presentato un manifesto firmato da Riccardi e Montezemolo e si parla di una discesa in campo del ministro Passera.
«La politica non è un club chiuso e il Paese ha bisogno dell’impegno di personalità nuove, occorre però non disperdere le forze e dunque spero che ci si concentri attorno a un progetto politico condiviso».
Veniamo alle primarie del Pd. Lei si è caricato addosso il peso della battaglia contro Renzi. Alcuni giudicano che sia stato coraggioso, altri masochista.
«Veramente è Renzi che ha fatto di me il suo bersaglio. Difendo una storia e una tradizione che lui vorrebbe rottamare, ma soprattutto sono convinto che per il Paese l’unica prospettiva credibile sia data dalla vittoria di Bersani».
Beppe Vacca, un intellettuale a lei molto vicino, ha detto che se vincesse Renzi il partito lo espellerebbe in breve. Anche lei ha fatto presagire un rincrudimento della lotta politica dentro il Pd. Pensa che sarebbe possibile una scissione da sinistra?
«Dovrebbe essere Renzi il vero destinatario della sua domanda. È lui che vuole rottamare idee e persone. La sua è una violenza distruttiva che non si è vista mai, in nessun partito. Un partito è una comunità di persone che si rispettano e coltivano lo stesso sentimento verso la propria storia».
Vendola però sta rendendo più difficile la vita a Bersani. Un giorno presenta un referendum contro la riforma Fornero e l’altro promette di rottamare Monti.
«Non sono d’accordo con queste posizioni di Nichi e lo dico apertamente. Sono convinto però che Bersani saprà farsi garante dell’equilibrio della coalizione. Anche perché è stato scelto, e voi giornalisti lo avete sottovalutato, un metodo di risoluzione dei contrasti, una sorta di governance della coalizione. Le forze politiche che hanno aderito alle primarie hanno concordato che le decisioni nell’alleanza verranno prese a maggioranza dall’assemblea dei parlamentari eletti».
So che il termine rottamazione le procura fastidio intellettuale, ma fuori dalla politica suona come ricambio e oggi i giovani chiedono spazio e rinnovamento nella società e nelle professioni. Non può non tenerne conto.
«Ne tengo tanto conto che sono favorevole al ricambio, il Paese ne ha bisogno. È singolare però che la rottamazione dei politici sia pilotata da chi poi ostacola il ricambio nella società. L’establishment vuole che il rito distruttivo si celebri e si esaurisca nel perimetro politico, anzi nel perimetro del centrosinistra. In modo che le classi dirigenti, responsabili dello sfascio non meno dei politici, possano continuare a fare quello che hanno fatto fino a oggi. Ricorda Tomasi di Lampedusa? Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi...».
Dario Di Vico