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 2012  ottobre 27 Sabato calendario

NAUFRAGAR M’È DOLCE NELL’INQUIETUDINE

[Il capolavoro di Pessoa Da Einaudi esce una nuova versione del «libro che non esiste», rimontato più volte sulle carte postume dello scrittore seguendo i gusti dei vari curatori] –
Una sottile corrente carsica di sonorità attraversa il Libro dell’Inquietudine che scruta e ascolta l’universo come un osservatorio astronomico, ma freme e tace come un film muto. «Per me l’umanità è un gran motivo di decorazione, che vivo tramite vista e udito e, inoltre, tramite l’emozione psicologica. Dalla vita non voglio altro che starla a guardare. Da me stesso non voglio altro che stare a guardare la vita. Sono come un essere di un’altra esistenza che passa».

Perfetto emblema della crisi novecentesca del Soggetto, antenato segreto del signor Palomar di Calvino, forse anche Bernardo Soares, l’eteronimo di Fernando Pessoa che scrive questo non-romanzo scheggiato, «intende semplicemente vedere un’onda, cioè cogliere tutte le sue componenti simultanee senza trascurarne nessuna, il suo sguardo si soffermerà sul movimento dell’acqua che batte sulla riva finché potrà registrare aspetti che non aveva colto prima». E il più alto fratello spirituale e potenziale eteronimo di Bernardo Soares-Fernando Pessoa, il Franz Kafka dei frammenti degli Otto quaderni in ottavo, di questo sguardo inesauribile e instancabile negli stessi anni coglie l’essenza: «Tre cose: Vedere se stessi come una cosa estranea, dimenticare ciò che si è visto, conservare lo sguardo». Inquieto come il suo libro, il sagittario Soares-Pessoa è della specie dei contemplatori immobili, instancabili descrittori del cosmo e sfrenati inghiottitori di tutte le sensazioni che esso produce, per cogliere una profonda armonia del mondo nella disarmonia della vita.

Non-libro per antonomasia, librooceano la cui forma è la stessa, imprendibile, delle onde e delle correnti, della voce, del vento, della fiamma, il Livro do Desasocego è una sconfinata cosmogonia, un universo in espansione senza struttura e senza destino. Lo attraversano innumerevoli stelle esplose in un big bang ininterrotto, lacerti di un’unità che non c’è mai stata. È una maniacale collezione di frammenti di scrittura su cui è soffiata una tempesta apocalittica, e per i quali è impossibile, anzi contraddittorio, suggerire una logica, un ordine, che non sia quello della mera ipotesi cronologica e tematica. In realtà questo libro non esiste, se non quando accade, ogni volta che un lettore si immerge nel suo Maelstrom e lo “ricompone” offrendogli una forma, un ordine testuale ed esistenziale, una coerenza, nell’esercizio continuo o alternato del leggere.

A rigore di logica e di filologia ci si potrebbe spingere a dichiarare che ogni editore è un eteronimo di Bernardo Soares-Fernando Pessoa (perfino Jerónimo Pizarro, responsabile di questa prima edizione edizione, che ha faticosamente ricomposto i frammenti in ordine cronologico), e dunque che ogni edizione del Libro dell’Inquietudine è la provvisoria, ipotetica realizzazione di un libro in potenza, un diverso stato nell’oscillante flusso della leggibilità, un isòtopo nella variabilità degli stati atomici dell’Opera.

L’Inquietudine non è solo la forma: è anche il contenuto del Livro do Desasocego, libro inquieto nelle fibre della scrittura, che inquieta delineando un cosmo senza requie, lacerato irrimediabilmente al di qua della metafisica, in un essere-fluido che coincide con l’esistenza, con la storia. Il «fondo del cuore» è senza quiete perché è un fondo

senza fondo, tra i due abissi dell’infinito e del nulla: «Non c’è quiete – ah, né ci sarà mai! – in fondo al mio cuore, vecchio pozzo al confine del podere venduto, memoria di un’infanzia chiusa nella polvere della soffitta di una casa altrui. Non c’è quiete – e, povero me!, nemmeno il desiderio di averla…».

Nel proclama di dolore si nasconde in realtà un più sottile richiamo testuale, che è giunto il momento di riconoscere. «Inquietum est cor nostrum»; «Quis mihi dabit adquiescere in te?»: nella domanda su cui si aprono le Confessioni di Agostino, il più alto e rivoluzionario Libro dell’Inquietudine dell’Occidente, senza il quale sarebbero impensabili Dante e Petrarca, Pascal e Leopardi, Proust e Freud, tutti i moralisti classici, è l’origine di un solco profondo e lunghissimo, in cui si iscrive anche il pensiero assediante di Soares-Pessoa, nel suo labirinto di solitudine. E sono certo che lui pure,estendendola a una più ampia latitudine della civiltà europea, avrebbe condiviso la laica genealogia spirituale del moralista Giuseppe Ungaretti: «La storia della poesia italiana è semplice: il suo segreto è sempre in Agostino sia direttamente, come in Petrarca, sia indirettamente, come attraverso Pascal, in Leopardi».

In Soares-Pessoa, lettore di Pascal e come lui frequentatore degli abissi fra l’infinito e il nulla, riconosciamo, alla lettera, un mai prima intuito agostinismo senza grazia, per cui la scrittura trasferisce in linguaggio «una vita in cui non accade niente se non nella sua coscienza» e «le impressioni che formano la sostanza esterna della mia coscienza di me. Le dispongo in parole vaghe, che mi abbandonano mentre le scrivo, e vagano, indipendenti da me, per declivi e prati di immagini». Per quanto impensato e perturbante appaia, anche qui è tradotto alla lettera lo stupendo X libro delle Confessioni di Agostino: «Ecco, nei campi, negli antri, nelle innumerevoli caverne della mia memoria, nel fitto senza numero d’innumerevoli forme […], per tutti questi luoghi io trascorro svolazzando qua e là». D’altra parte SoaresPessoa, finora inascoltato, lo dichiarava esplicitamente, senza equivoco: questi frammenti «sono le mie Confessioni, e, se in esse non dico nulla, è perché non ho nulla da dire».