Ilaria Maria Sala, La Stampa 27/10/2012, 27 ottobre 2012
“WEN ARRICCHITO” E PECHINO CENSURA IL NEW YORK TIMES
[Inchiesta sugli affari del premier, oscurato il sito La moglie ha accumulato una fortuna coi diamanti] –
In giugno, era stato il gruppo di stampa Bloomberg a fare i conti in tasca a Xi Jinping, il quasi certo prossimo Presidente cinese, rivelando che i suoi familiari avevano accumulato una fortuna miliardaria grazie alla risplendente carriera politica del loro promettente parente. Ieri, il New York Times ha pubblicato, in prima pagina, un grande articolo che illustra le ramificazioni della famiglia dell’attuale premier cinese Wen Jiabao, circondato da parenti che controllano una fortuna di almeno 2,7 miliardi di dollari americani. Pochi i settori disdegnati dalla famiglia Wen allargata: si va dai diamanti, di cui la moglie è una delle massime esperte nazionali, al riciclaggio dei rifiuti, di cui si occupa invece il fratello minore. Il figlio, Wen Yunsong, noto anche come Winston Wen, è attivo nelle telecomunicazioni e nelle assicurazioni. Starebbe cercando di approntare un collegio all’inglese per le élite cinesi, dopo aver espresso un certo cruccio nel constatare che i rampolli dei più alti politici e industriali non abbiano un luogo esclusivo dove accedere all’educazione e intessere relazioni significative fra di loro.
Ma quello che fece l’articolo di Bloomberg, e che ha fatto ieri quello del New York Times, è mostrare un fitto reticolato in cui, anche se l’uomo al centro delle vicende familiari in questione (Xi in un caso e Wen nell’altro) può mantenere le mani pulite, il concetto stesso di «conflitto di interessi» assume connotati più ampi che mai. Se la signora Wen, Zhang Beili, è un’esperta di diamanti e gemme, infatti, di certo non guasta che sia anche stata fra le persone che hanno stilato i regolamenti per il settore quando lavorava al Ministero della Geologia cinese, o che abbia gestito aziende statali di gioielli e diamanti proprio mentre queste venivano privatizzate (un documento di Wikileaks, citato dal New York Times, dice che Wen Jiabao stesso avrebbe considerato il divorzio, irritato dagli estesi interessi d’affari della moglie).
La madre di Wen, invece, Yang Zhiyun, povera maestra figlia di contadini prima della folgorante carriera del figlio, possiede una fortuna nella Ping An, la maggiore azienda assicurativa cinese, una delle più grandi del globo. Tutto questo ben di Dio che i parenti del «Tesoro di Famiglia» (traduzione letterale del nome Jiabao) hanno potuto accumulare è in stridente contrasto con l’immagine coltivata dal premier stesso, che nei dieci anni in cui è stato il Primo Ministro cinese si è dipinto come uomo «del popolo», pronto ad accorrere sui luoghi delle tragedie, a compatire chi soffriva promettendo che il governo se ne sarebbe preso cura, e con la lacrima facile. Molti si sono lasciati cullare dall’immagine del premier premuroso, tanto da chiamarlo Nonno Wen. Altri, come alcuni degli uomini più ricchi dell’Asia, ne hanno approfittato per mettersi in partnership con i familiari del premier. Altri ancora, invece, più cinici, come lo studioso Yu Jie, scrittore ora in esilio negli Stati Uniti, lo avevano battezzato «Il miglior attore della Cina» (dal titolo del libro che gli è valso l’esilio, e che è censurato in patria), decidendo che tanta empatia con il popolo altro non era che un grande talento teatrale.
L’articolo, che il New York Times ha anche prontamente tradotto per la versione cinese del quotidiano, ha suscitato le ire cinesi che hanno dunque bloccato l’accesso al New York Times dal Paese, e il portavoce del ministero degli Affari esteri, Hong Lei, ha accusato il quotidiano Usa di calunniare la Cina e avere «motivi ulteriori».
Tutto ciò non fa che dare un nuovo colpo alla facciata di «armonia» (la parola-chiave del Presidente Hu Jintao) con cui la dirigenza cinese avrebbe voluto andare al 18 Congresso del Partito, il prossimo 8 novembre, nel corso del quale verranno selezionati i nuovi leader nazionali.
Entrambi i casi, pur con le loro enormi differenze, mettono alla luce il tallone d’Achille della trasformazione cinese delle ultime decadi: un Paese lanciatosi in una corsa verso la crescita economica priva di controlli indipendenti, che siano una stampa libera o una magistratura autonoma o tantomeno la possibilità di ricorrere alle urne. Una situazione in cui tanto la corruzione che il profondo conflitto d’interessi sono inevitabili.