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 2012  ottobre 28 Domenica calendario

LA ROMA DI VERDONE: SOGNO UNA CITTA’ SENZA CINISMO

Carlo Verdone come non l’avete mai visto, tra cinema e privato, comicità e nostalgia, testimonianze e segreti. Una vita e una carriera sotto il segno di Roma: «Una città meravigliosa, alla quale dovremmo volere più bene. Io ho avuto la fortuna di filmarne gli ultimi momenti poetici», dice l’attore e regista, ora protagonista di «Carlo!», il documentario di Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni che andrà al Festival di Roma, il 9 novembre, in Prospettive Italia. Il film è un omaggio esauriente, delicato, esilarante senza mai rischiare la celebrazione fine a se stessa. Gli interventi di Servillo, Favino, Buy, Morante, Ramazzotti, Fofi, La Porta, Giusti, Giorgi, Gerini, Giallini si intrecciano agli spezzoni delle commedie e ai super8 familiari di Verdone. I critici esaltano i suoi film, che hanno scandito l’ultimo trentennio di storia italiana. La figlia di Carlo, Giulia, racconta: «Papà ci faceva pregare per Jimi Hendrix». La Capitale, anche se Carlo ha imparato a guardare al resto del Paese, è una protagonista costante.
In trent’anni è molto cambiata, Roma?
«Direi proprio di si. Io ho filmato gli ultimi sprazzi di poesia della città. Gli uomini alla finestra di Un sacco bello, la vita di quartiere a Trastevere, via Garibaldi deserta, il Tempio di Vesta senza macchine intorno...Oggi quest’atmosfera di familiarità e confidenza non c’è più».
Cosa l’ha fatta sparire?
«La diffidenza, il cinismo, la paura. Vediamo minacce ovunque. Chi è quello? Da dove viene? Come ha fatto i soldi? Siamo tutti terrorizzati e nevrotici, addio rapporti umani».
Lei continua a frequentare i luoghi della sua giovinezza, sfondo dei primi film?
«Continuamente. Non posso fare a meno di tornare a piazza Farnese, a Trastevere, a Campo de’ Fiori. La signora Vera di via San Francesco a Ripa fa la pasta migliore di Roma, poco lontano c’è il barbiere Giorgio, per la pizza vado da Ivo... Io vivo di queste cose e mi piacciono da morire i tipi umani che posso ancora trovare».
Cosa fa quando li incontra?
«Ascolto i loro discorsi, scambio idee. In farmacia mi nascondo dietro il misuratore della pressione per ascoltare le richieste della gente. Adoro l’umanità semplice che mi ha suggerito i tic, i sentimenti e i linguaggi che sono finiti nei miei film. Un tempo però era più facile. Oggi, con gli stessi tatuaggi, capelli e vestiti, si somigliano tutti».
E’ sulla strada che ha reclutato tanti attori?
«Proprio così. Angelo Bernabucci, il coatto di Compagni di scuola, vendeva libri in piazza Santa Caterina della Rota. Il riccetto Fabrizio Bracconeri era il nipote del mio elettrauto. Franco Venditti detto Raspone, scritturato in Un sacco bello, aveva una palestra di pugilato...».
Lei ha fatto grande uso anche dei caratteristi romani.
«Si, erano estremamente poetici anche loro. Sono felice di aver lavorato con gli ultimi: Sora Lella, Mario Brega... Oggi purtroppo il cinema non considera più i caratteristi e punta solo sui protagonisti. Ma sbaglia».
Perché?
«Come dico sempre ai giovani, sono i personaggi di contorno a rendere grande la commedia. Io, che sono sempre stato attento ai dettagli, senza caratteristi non avrei potuto raccontare le mie storie».
La realtà continua ad ispirarla?
«La realtà non fornisce l’ispirazione, semmai provoca la depressione: va oltre la nostra creatività di autori. Prendi il caso Fiorito: pare un concentrato dei miei film Gallo Cedrone, Viaggi di nozze e Grande grosso e Verdone...».
Di cosa parlerà la prossima commedia?
«Ho tre, quattro idee per la testa e penso che finirò per esplorare la famiglia. Per vedere come si è trasformata».
Intanto ha interpretato il commediografo fallito Romano, con baffi e occhialoni, nel film di Sorrentino su Roma...
«La grande bellezza sarà un’opera magnifica. Durante la lavorazione, tutta notturna, ognuno di noi ha dato il massimo, consapevole di lavorare con un maestro. Roma risulterà una superba città con un grande passato».
Se lei dovesse descrivere Roma a un alieno, cosa direbbe?
«Direi che rimane una città meravigliosa, flagellata però dall’incuria. E ridipingete il cancello arrugginito di Villa Sciarra! Ma quando lo volete aggiustare il cornicione pericolante alle Mura Aurelie? Per non parlare delle buche...Dobbiamo tornare a volere più bene a Roma. Non parlo solo degli amministratori. La responsabilità è di tutti».