VARIE 28/10/2012, 28 ottobre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO LA CONFERENZA STAMPA DI BERLUSCONI
REPUBBLICA.IT
ROMA - Una conferenza stampa di oltre un’ora e mezzo che ha sconvolto gli equilibri della politica italiana. Il ritorno di Berlusconi 1 - con la dichiarazione di guerra a magistrati, Merkel e Monti - ha provocato un mezzo terremoto innanzitutto nel Pdl. Spiazzando del tutto le colombe, sconfessando di fatto il segretario Angelino Alfano. Non a caso sono molto imbarazzate le reazioni arrivate finora nel partito. Durissimo il vicepresidente alla Camera Osvaldo Napoli: "Berlusconi si è fatto del male con le sue parole perché dopo quello che ha detto i moderati non verranno più con noi e così non vinceremo mai più le elezioni", ha detto in un’intervista a Libero. E ancora: "L’ottanta per cento del partito sta con Alfano e Berlusconi rappresenta la minoranza".
Il presidente dei deputati, Fabrizio Cicchitto, ricorda i rischi di una crisi per lo spread. L’ex ministro degli esteri, Franco Frattini, fa capire che pensa a una rottura nel caso in cui la deriva populista continuasse. E intanto rassicura: "L’appoggio al governo resta". Stessa linea da Maurizio Sacconi: "Monti può andare avanti, se cambia sul fisco". Ma in difficoltà - nel Pdl - è soprattutto il segretario, che per ora tace, impegnato pancia a terra in Sicilia per le elezioni 2. Proprio dall’esito del risultato nella regione potrebbero dipendere le sue scelte nelle prossime ore. Le primarie del centrodestra sono comunque oggettivamente declassate a evento politico minore. Questo mentre le "amazzoni" - le fedelissime dell’ex premier - provano a convincere il Cavaliere ad andare oltre. Fino all’ultimo ieri hanno sperato in un ritorno in campo per la premiership. E c’è chi parla della nascita, a breve, di una lista personale di stampo populista legata proprio a Berlusconi, con i pasdaran del centrodestra.
"Comprendo la dura reazione che il presidente Berlusconi ha avuto di fronte a una sentenza tanto grave, sia nella sostanza che nella forma, ma dobbiamo rispondere ad ogni tentativo di delegittimazione dimostrando in massimo grado il nostro senso di responsabilità e amore per l’Italia" è la posizione dl sindaco di Roma Gianni Alemanno, secondo il quale il Pdl "deve continuare a garantire i propri voti al Governo Monti in tutte le leggi essenziali per la stabilità economica del nostro Paese".
L’ira di Casini. La mossa di Berlusconi spiazza però anche i centristi, quei moderati che preparano una "Lista per l’Italia" ispirata al governo Monti. E irrita in modo particolare Pier Ferdinando Casini: "La politica non ha bisogno dei ricatti di Berlusconi e se andrà dritto per questa strada si ritroverà solo", ha detto al Tg1. Di sicuro, nonostante la caduta del governo sia al momento improbabile, appare ancora più difficile la strada futura dell’esecutivo. Con il Pdl - quasi all’opposizione - pronto a dare battaglia sull’economia e sulla giustizia. Nel mirino soprattutto il ddl stabilità - con il relatore Brunetta che chiede di riscriverlo completamente - e l’anticorruzione. Sugli umori del mondo cattolico non ci sono dubbi. L’Avvenire non sembra aver gradito il ritorno in campo del Cavaliere. L’editoriale del direttore, Marco Tarquinio, dice no "alla tenaglia Berlusconi-centri sociali" paragonando la conferenza stampa del premier alla presenza in piazza a Roma dei contestatori di Monti.
Lega festante. Gongola intanto Roberto Maroni. L’attacco di Berlusconi a Monti è stato commentato così: "Mi compiaccio, è venuto sulle nostre posizioni". Si parla di un incontro avvenuto negli ultimi giorni tra il Cavaliere e il leader leghista. In cui sarebbe stata siglata l’intesa: Maroni candidato unico per il Pirellone, e alleanza politica tra il Carroccio e i berlusconiani alle prossime politiche.
Bersani all’attacco. "Sono preoccupato di questa posizione di Berlusconi perché di populismi ne abbiamo già un bel po’". Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani a Domenica In, così commenta il ritorno di Berlusconi. "Il Paese ha bisogno di mettersi alle spalle una fase e guardare avanti", ha detto ancora Bersani, lanciando al Cavaliere una frecciata: "È 19 anni che è in giro, ha governato più di De Gasperi, ha il record, è abbastanza...". Il segretario del Pd ha, poi, insistito che ’’si va a fine legislatura’’: "Potevo andare alle elezioni otto, dieci mesi fa quando eravamo sull’orlo del baratro. Noi invece abbiamo messo avanti gli interessi del Paese". Poi ha concluso: "Prevedere Berlusconi è impresa complicata".
Pd concorde. Dal Pd praticamente un coro. Stessi toni da bersaniani e renziani. Anna Finocchiaro: "Fa politica solo per la difesa dei suoi interessi personali. Parole di un uomo tragicamente solo". Rosy Bindi: "Un intervento molto molto preoccupante, una contronarrazione dei fatti". Matteo Renzi 3: "L’Italia merita altro, dopo 18 anni. Berlusconi è più altalenante dello spread".
Grillo: "Già risorto prima di tre giorni". "Non sono passati neppure i tre giorni canonici ed è già uscito dalla tomba prima che la Santadechè e Bugs Bunny Alfano potessero avvolgerlo nel sudario e levarselo dalle palle per sempre. È già risorto", è il commento che Beppe Grillo lascia sul suo sito. "I suoi - scrive il leader del Movimeto 5Stelle - lo avevano pianto disperati per circa cinque minuti, poi avevano brindato a Veuve Cliquot. Dopo aver fatto un passo indietro per il bene della Nazione, lo psiconano ne ha fatto tre avanti per la condanna a 4 anni di reclusione per frode fiscale perché ’Obbligato a rimanere in campo per riformare il pianeta giustizia’. Sursum corda! Con lui in gara il Pdl prenderà percentuali da prefisso telefonico. Ancora tu? Ma non dovevamo rivederci più".
Quirinale e Palazzo Chigi, la linea del silenzio. Quanto al Quirinale, si sa che Giorgio Napolitano ha seguito il discorso dell’ex premier in diretta tv. Certo il presidente non si aspettava una deriva del genere. Preoccupato per gli attacchi alla Merkel e soprattutto per quella minaccia neppure tanto velata al governo del professore. Per ora dal Colle non dovrebbero arrivare commenti ufficiali. Come pure da palazzo Chigi, che ha scelto la linea del silenzio. Ritenendo improbabile comunque una crisi adesso, con una legge di stabilità in mezzo al guado. Sarebbe una mossa controproducente per lo stesso Pdl portare il partito al voto magari dopo aver provocato una nuova tempesta dello spread. Ma certo l’irritazione del premier è un fatto. E, secondo molti retroscena, avrebbe etichettato il Cavaliere come un "irresponsabile". Irritazione, dunque, ma anche stupore visto che solo pochi giorni fa - durante la cena a palazzo Chigi - Berlusconi aveva offerto al professore la guida dei moderati. L’ex premier forse si aspettava una qualche forma di solidarietà dopo la condanna di venerdì. Un messaggio che non è arrivato e mai arriverà.
(28 ottobre 2012)
(didascalia)
Uno dei foglietti utilizzati da Berlusconi nel corso della conferenza stampa con l’appunto "Devo aiutare questo Paese ad evitare che la Terza Repubblica nasca come repubblica giudiziaria"
HUFFINGTON POST
E’ la rivolta del Pdl contro Silvio Berlusconi, in nome dello spread. Hanno paura - gli uomini del cavaliere - dell’annuncio di Villa Gernetto. Quel "potremmo togliere la fiducia a Monti" pronunciato da Silvio Berlusconi nella sua ridiscesa in campo inizia a far tremare i primi azzurri, che decidono di schierarsi contro al loro leader. Con una "sfiducia a Monti" paventata dal ritorno del cavaliere e la possibilità di aprire una crisi di governo i mercati, già da lunedì, potrebbero mostrare un rialzo dello spread.
Lo stesso timore serpeggia - secondo indiscrezioni raccolte dall’Huffington Post - anche negli ambienti della finanza. "Vedrete, da lunedì lo spread risale". Non a caso il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto è stato chiarissimo: "Bisogna evitare che una crisi politica provochi una esplosione degli spread realizzata anche strumentalmente".
L’ex ministro degli Esteri Franco Frattini all’Huffington Post parla di "possibili effetti devastanti". Spiega che "anche solo pensare di rompere con Monti è sciagurato. Sono fieramente contrario. Vanificherebbe gli sforzi fatti finora e produrrebbe effetti devastanti sullo spread. Sono sicuro che Berlusconi non lo ignorerà"
Dunque, per i due pidiellini, nessuna intenzione di staccare la spina a Monti, al contrario di quanto l’ex premier vorrebbe fare. Quando il governo Berlusconi lo scorso novembre lasciò spazio ai tecnici lo spread era a quota 550. Il differenziale a venerdì, prima del nuovo verdetto di lunedì, era fermo a 326.
HUFFINGTON RETROSCENA
"Adesso la facciamo finita con questo governo. Mi hanno tradito. Quindi liberi tutti. Chi ci sta, ci sta". Solo un tentativo in extremis di Marina e di Fedele Confalonieri rallenta l’ordalia finale. Perché Silvio Berlusconi aveva deciso di sfiduciare Monti in conferenza stampa. Ha spiegato che si sente tradito. Dal premier e dal capo dello Stato. Secondo il Cavaliere avrebbero una responsabilità enorme nella sentenza su Mediaset. Non hanno mosso un dito per arrivare a una tregua, anzi hanno assistito in silenzio alla sua distruzione. I patti - è la teoria di Berlusconi - erano altri: "Ho fatto il passo indietro, ho detto che non mi sarei candidato. E questi sono i risultati".
Se la tregua prevedeva il passo indietro politico in cambio della salvezza giudiziaria, la condanna la rompe in automatico. Ecco perché, per la prima volta dal suo passo indietro dello scorso anno, Silvio Berlusconi di fatto rompe con Monti. Tre giorni fa, nella cena a palazzo Chigi, gli aveva offerto la leadership dei moderati e si era detto disponibile al bis del Professore. Oggi gli recapita una mezza sfiducia e scende di nuovo in campo.
Avrebbe voluto aprire la crisi in diretta tv. Si è trattenuto solo di fronte alla mozione degli affetti del "partito Mediaset". Ha ripiegato, nel suo discorso fiume, su una formula più morbida: "Nei prossimi giorni decideremo con i vertici del mio partito se togliere la fiducia al governo o, vista la vicinanza con la fine della legislatura, se lasciargli finire il mandato". Ma la sfiducia è nei fatti. Il suo discorso è una distillato puro di anti-montismo. Una raffica impressionante: sul rigore, sulla eccessiva lealtà alla Merkel, sulle tasse.
Il Cavaliere apre una campagna elettorale di opposizione dura e pura al governo "Napolitano-Monti". Sul Professore ha picchiato parlando di politica economica. Sul capo dello Stato attraverso tutto il discorso sulla giustizia e sulle riforme istituzionali. È Napolitano il bersaglio polemico quando Berlusconi parla della Corte costituzionale che boccia le leggi. È Napolitano il bersaglio quando attacca la magistratura. Ed è Napolitano il bersaglio quando parla del Quirinale che non firma le leggi perché interpreta la "lettera" o lo "spirito della costituzione". E quella parola fuggita dal seno del Cavaliere - gli "occupanti" del Quirinale - suona come un vero attacco politico.
Monti e Napolitano, Napolitano e Monti. Difficile prevedere se o quanso si passerà dalle parole ai fatti, perché, dicono nell’inner circle, non è facile aprire una crisi, visto che mezzo partito è filomontiano. Ma la nuova linea serve anche, e soprattutto, a ribadire che è ancora lui il Capo e non ha alcuna intenzione di andare ai giardinetti. E le bordate sul governo servono anche a ristabilire chi comanda : "Diciamoci la verità - spiega uno dei presenti a Villa Gernetto - ha distrutto Alfano".
Già, distrutto. E non solo perché d’un sol colpo lo ha gettato in cono d’ombra, polarizzando l’attenzione sul suo ritorno. Da oggi è difficile vedere come dirimenti per le sorti del centrodestra le elezioni siciliane cui tiene tanto il segretario. Silvio Berlusconi ha rottamato la leadership di Angelino, non riconoscendola neanche in un passaggio rituale del discorso, anzi neanche nominandolo. Il passaggio della rottura vera è sulle primarie. Si capisce che per Berlusconi non servono. Se si dovesse candidare lui, dice, sono inutili. Se cambia la legge elettorale, lascia intendere, sono ugualmente inutili. Servono solo se c’è una coalizione. Praticamente un passatempo per Angelino. E un passatempo per Angelino diventa anche la costruzione della casa dei moderati. Neanche il tempo di mettere il primo mattone, con Casini, che è già crollata con uno dei discorsi più radicali che abbia mai fatto.
Chi lo conosce bene spiega che questo è un segnale che è davvero furibondo con il suo ex delfino: "Berlusconi è così - dice un ex ministro - se non ti attacca nemmeno significa che ti sta massacrando". Raccontano che stavolta non lo tiene più neanche Gianni Letta. Perché il vecchio leone si sente di fronte alla battaglia della vita. Non ha nascosto ai suoi quanto gli abbia fatto male vedersi descritto come un delinquente sui giornali di tutto il mondo.
Tanto che con più di un amico ha ripercorso le tappe della costruzione del suo impero, i consigli della mamma, le gioie dei primi successi, parecchi ricordi della giovinezza. E non è un caso che ha esorcizzato il dolore nella tensione del discorso di oggi. Da tempo, raccontano nella cerchia ristretta, non si vedeva così in palla. Lo stesso discorso sul partito, dove ha toccato con mano in questi giorni l’ingratitudine dei suoi. E non è un caso che stavolta non tutto lo stato maggiore del Pdl lo segue. Stavolta il rischio che si sfasci tutto è davvero concreto. Quelli più vicini ad Angelino tacciono. Alcuni dei suoi, alla Bondi, provano a archiviare il discorso alla voce sfogo. Daniela Santanchè, che è rimasta a parlare col Cavaliere a Villa Gernetto, chiede le dimissioni del segretario. E adesso c’è davvero chi scommette che Alfano possa reagire dopo le elezioni siciliane: "Un disastro - dice un ex ministro a microfoni spenti - con Alfano che si fa una ridotta con gli ex An e Berlusconi che fa una cosa nuova".
ELEZIONI SICILIANE (REPUBBLICA.IT)
PALERMO - Con lo spettro dell’astensione, e con l’incognita 5 stelle temuta dai maggiori partiti, va in scena oggi l’appuntamento elettorale più incerto degli ultimi anni. Chi vincerà la sfida degli aspiranti governatori, stando alle previsioni della vigilia, lo farà sul filo di pochi voti. E per la prima volta, nella storia della Regione, non avrà una maggioranza all’Ars. Questo perché la legge elettorale siciliana assegna alla coalizione collegata al presidente più votato un "bonus" di otto seggi (attribuiti ai candidati del listino) che non garantisce il raggiungimento di quota 46. Saranno decisivi gli accordi post-voto. Crocetta o Musumeci: a sentire i leader di Pd e Pdl, Bersani e Alfano, la sfida è solo fra questi due candidati. Entrambi stimati sotto il 30 per cento. Ma Micciché non ha dubbi: "Stanno facendo di tutto per far credere che non sia in corsa. Ma vinco io, lo dico con assoluta certezza".
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E poi c’è appunto l’effetto Grillo, quell’onda che - partita dallo Stretto con la traversata a nuoto del comico- santone - ha raggiunto una quarantina di affollate piazze della Sicilia. Convincendo i sondaggisti a tenere in considerazione M5S anche come possibile primo partito nell’Isola. E qualcuno addirittura pensa che la crescita dei consensi nei confronti di Grillo possa consentire al suo candidato presidente, Giancarlo Cancelleri, un inserimento nella corsa per Palazzo d’Orleans. Fantapolitica? Poi c’è la partita della sinistra, e della sua candidata Giovanna Marano, una corsa ad handicap nata dalla forzata rinuncia di Claudio Fava e proseguita su un terreno dell’opposizione dura e pura su cui hanno imperversato i grillini.
La posta in palio è alta. Per una Regione sull’orlo del crac finanziario (con un indebitamento sul mercato che viaggia verso i 6 miliardi) e afflitta da emergenze sociali già esplose in questi giorni. E per un sistema politico che mostra tutte le sue crepe. Il test siciliano, che anticipa le Regionali in Lazio e Lombardia e le Politiche, avrà un rilievo nazionale. Nel campo del centrodestra e nell’area progressista.
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Angelino Alfano, venerdì mattina, ha invitato a non fare delle elezioni siciliane "una questione di vita o di morte per il Pdl". Ma ha anche fatto un invito piuttosto emblematico: "I siciliani votino il Pdl incoraggiando lo sforzo di grande cambiamento voluto da Berlusconi. I siciliani dimostrino che il Pdl c’è, che è in campo e può dare un buon risultato". Il segretario del Popolo della libertà mette le mani avanti, ma è difficile non attribuire alle elezioni nella sua regione un peso determinante: sia per la leadership e sia, di conseguenza, per le chances di successo alle primarie del 16 dicembre. Impresa ardua, quella affidata a Nello Musumeci, dopo le defaillances del Pdl nelle amministrative di primavera, il passo indietro di Berlusconi e la condanna del Cavaliere nel processo Mediaset. Non a caso, Musumeci in questi giorni ha invitato al voto disgiunto.
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Nel Pd la prospettiva è diversa. Un successo di Crocetta potrebbe spianare la strada a un (difficile) accordo fra Pd e Udc anche in vista delle Politiche. Ma l’obiettivo, ha detto Bersani, è quello di ricomporre l’area fra progressisti e moderati. "Questa è la prospettiva per la quale noi lavoriamo - afferma Massimo D’Alema - e naturalmente il voto siciliano può incoraggiarla". C’è da dire che, se Bersani guarda principalmente a Vendola, l’Udc pensa a una lista per l’Italia che andrebbe in direzione opposta, quella delle forze che sostengono Monti.
La posta è significativa anche per l’area autonomista, che sostiene Micciché e che ha potuto disporre, in campagna elettorale, anche della gestione amministrativa della Regione. Raffaele Lombardo (l’udienza preliminare del suo processo è fissata proprio per lunedì) si è fatto da parte ufficialmente ma vuole dimostrare quanto ancora conti attraverso la candidatura all’Ars del figlio Toti. Rischia di essere, ancora una volta, l’ago della bilancia Lombardo - con il nuovo Pds-Mpa di Pistorio - in una competizione in cui tutti ormai invitano al voto disgiunto. Altro segnale della crisi dei partiti.
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Se l’esito del voto è incerto, ancor di più lo è il dopo-voto. Come lo scenario delle alleanze possibili. Se vince Crocetta un interlocutore per il governo può diventare l’area autonomista, con la quale Musumeci sospetta ci sia già un accordo. Ma da Roma l’input è quello di dialogare anzitutto con la sinistra, se supererà lo sbarramento del 5 per cento. Il candidato del centrodestra dice di voler privilegiare le forze che appartengono alla sua "area culturale " ma negli ultimi giorni ha fatto chiare aperture a Grillo. Confermando gli unici dati che si possono indicare senza timore di prendere una topica: dalle urne verrà fuori un presidente senza maggioranza e un boom di 5 stelle. La Sicilia ripartirà da qui.
(28 ottobre 2012)
DICHIARAZIONI DI BERSANI (CORRIERE.IT)
«Tra Renzi e Berlusconi sono preoccupato più da Berlusconi, perché di populismo ne abbiamo avuto giá un bel po’ e il centrodestra su queste posizioni non farebbe bene al Paese». Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani a Domenica In su Raiuno ospite di Massimo Giletti nella rubrica L’Arena commenta il ritorno del Cavaliere sulla scena politica. Bersani spiega il concetto: «Ci rivolgiamo con apertura ad un centro che non si lasci incantare dai pifferi del populismo». Poi aggiunge: «Sono preoccupato da questa posizione di Berlusconi, il Paese ha bisogno di mettersi alle spalle una fase e guardare avanti». La sentenza Mediaset ha pesato sulla mossa di Berlusconi? «In parte, ma anche l’istinto profondo dell’uomo a non mollare la sua creatura; a deve prendere atto che dopo tanti anni i risultati non ci sono stati». E conclude il ragionamento con una frecciata: Berlusconi «ha governato più di De Gasperi, ha il record, potrebbe accontentarsi».
Bersani: «Preoccupa il populismo di Berlusconi»
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MONTI - «Ogni mattina mi misurano il tasso di montismo». Pier Luigi Bersani conferma la fedeltà del Pd al governo Monti dopo le parole di sabato di Berlusconi. «Avremo potuto andare alle elezioni 8-10 mesi fa, ma Monti l’abbiamo voluto noi e abbiamo detto, si voterà alla scadenza», ha spiegato il segretario del Pd. Ma il nome di Mario Monti sarebbe una buona ipotesi per il Quirinale?, chiede Giletti. «Giletti, per quanto io la stimi, non possiamo essere io e lei a decidere il Quirinale. Monti è assolutamente candidabile a tantissime cose, non si può escludere». Bersani ha sottolineato che si aspetta comunque che Monti non ritorni a fare il professore alla Bocconi ma resti a disposizione del Paese.
RENZI - Argomento primarie: «Forse dico una cosa un po’ retorica. Le ho volute per l’Italia. Da quando abbiamo lanciato le primarie il partito sta crescendo», dice Bersani. «A Renzi voglio dire un paio di cose: attenzione che non sia convinto di dare per nuove delle cose che abbiamo già visto negli anni ’80 e ’90. La gente si è stancata di sentire contenuti e meccanismi comunicativi che hanno fatto il loro tempo. E poi bisogna volere un po’ più bene al Pd, a volte sento delle critiche che sembrano fatte dai nostri avversari». Bersani ha rivendicato la scelta di aprire alla partecipazione del sindaco di Firenze alle primarie in deroga allo statuto del Pd: «L’ho fatto per l’Italia, c’è un distacco tale fra cittadini e istituzioni che se la politica non mostra di rischiar qualcosa, di guardare la gente all’altezza degli occhi...». Insomma, «è un segnale», ha spiegato. Quanto al fatto che Renzi «piace a destra», il leader democratico non ha infierito: «La destra è in difficoltà e tanti elettori cercano novità», ha commentato. Il finanziere Serra, che supporta Renzi, dice che Bersani non ha esperienza? Un giudizio che «ha piena cittadinanza, io Serra non lo conosco nemmeno», ma «se quel finanziere paga le tasse a Londra, desse consigli a Cameron non a me». E aggiunge: «Io non ho niente contro la finanza, ma le ricette c’è bisogno che le discutiamo un po’ noi».
VENDOLA - Capitolo alleanze. Bersani risponde a una domanda sull’alleanza con Sel di Nichi Vendola: «Capisco che ci sia un antico riflesso di quando eravamo 11 o 12 partiti. Promettemmo unità e non consegnammo la merce». «Ora c’è il Pd - aggiunge - non ci sono più 12 partiti, ci sono alcuni partiti che si accostano alla nostra proposta politica. Abbiamo oggi un meccanismo nuovo, in caso di dissenso si vota a maggioranza nei gruppi congiunti, quindi c’è la certezza di arrivare alle decisioni».
INTERVISTA A D’ALEMA
«Risponderò a tutte le sue domande ma la prego iniziamo dall’Europa e non da Berlusconi». Quando può raccontare del dibattito politico che si svolge a Parigi e Berlino Massimo D’Alema si sente sollevato. Lì si discute del futuro dell’Europa mentre «in Italia il discorso pubblico è distruttivo e ripiegato su noi stessi, perdendo così di vista scenario e problemi reali». Dal suo recente tour, comunque, D’Alema è tornato ancor più convinto del valore di Mario Monti. «Viene visto come una personalità che ha portato l’Italia fuori dal pantano e il destino dell’Italia alle cancellerie europee interessa perché temono un effetto contagio».
Siamo al paradosso che all’estero c’è maggiore benevolenza verso gli italiani di quella che noi stessi ci concediamo?
«In Germania ci giudicano un Paese industriale più competitivo della Francia, conoscono la forza del risparmio delle famiglie e considerano il nostro Nord largamente integrato con il loro sistema produttivo. E tutto ciò vale oro perché la crisi ha rivelato che non c’è prospettiva senza una base industriale forte e competitiva. Il capitalismo renano si è rivelato assai più robusto del modello finanziario londinese».
Ma la vittoria del socialista Hollande è servita a spostare gli equilibri oppure no?
«Gli sforzi congiunti di Hollande e Monti sono stati importanti ma la resistenza di Angela Merkel rende tutto estremamente lento. Paradossalmente la scelta politica più coraggiosa l’ha fatta la Bce, mentre i progressi politici verso l’unione bancaria e verso una strategia per la crescita sono troppo lenti. L’attesa per le elezioni tedesche, poi, può avere anche un effetto paralizzante».
Visto che Monti è il numero di telefono dell’Italia, le cancellerie europee auspicano un Monti bis?
«Tutti capiscono che l’Italia deve uscire dall’emergenza e che la vera garanzia di stabilità è un governo regolarmente eletto e con una solida maggioranza parlamentare, come avviene in tutti i Paesi europei».
Come si fa a incassare il dividendo legato all’azione di Monti senza un Monti bis?
«Chiedendo agli elettori di scegliere un governo di legislatura che abbia come programma la riorganizzazione del Paese».
Implicitamente lei sta dicendo, come Bersani, che Monti è più facile che varchi il Quirinale piuttosto che torni all’università Bocconi?
«Sono del tutto d’accordo con Bersani».
Come giudica lo stop and go di Berlusconi che nei giorni scorsi aveva ventilato di ricorrere al Monti bis e ieri invece ha minacciato di ritirare la fiducia al governo?
«Siamo tornati al Berlusconi populista e antieuropeo, quello che abbiamo conosciuto fino a pochi mesi fa. È la conferma di un irriducibile fondo estremista che rende, con ogni evidenza, impossibile l’idea di continuare la collaborazione con questa destra nel corso della prossima legislatura. Osservo però che vi sono in Italia poteri e interessi talmente ostili alla sinistra da aver tentato, ancora pochi giorni fa, di rivalutare il Cavaliere presentandolo come un illustre statista».
Ma è stato lei a considerare per primo Berlusconi uno statista da coinvolgere nel ridisegno delle istituzioni.
«Sì, ho cercato un accordo sulle regole per costruire un sistema democratico non lacerato da pregiudiziali, un bipolarismo civile. Era nell’interesse del Paese. Ma sono passati 14 anni e abbiamo dovuto constatare che con Berlusconi non è possibile».
Ieri però l’ex premier ha rigettato sul centrosinistra l’accusa della mancata regolamentazione del conflitto di interesse.
«È un’operazione ridicola e vergognosa. Quando cercammo di scrivere una legge seria e rigorosa, e fui io come presidente del Consiglio a fare questo tentativo, ci trovammo di fronte a un violentissimo ostruzionismo parlamentare. Per cui se Berlusconi oggi è chiamato a rispondere in tribunale come la persona che ha detenuto l’effettivo controllo di Mediaset, deve sapere che è lui stesso ad averlo voluto. Non si lamenti delle conseguenze. Invece, fa impressione che in un Paese con la pressione fiscale così alta su tanti cittadini, chi ha governato per anni sia condannato per frode fiscale».
Il Cavaliere ha annunciato che guiderà in prima persona la campagna elettorale del suo schieramento. Cosa cambia per il Pd?
«Niente. Berlusconi resta il leader del centrodestra, l’annuncio di ieri non mi stupisce».
Le primarie del centrodestra con il Cavaliere che dà le carte restano credibili?
«Spero che si facciano e abbiano il carattere di una vera consultazione. Sarebbe un’occasione di confronto tra modi diversi di concepire la partecipazione democratica e allontanerebbero, per loro, la tentazione di invadere le nostre...».
Le doppie primarie stanno mettendo in difficoltà Pier Ferdinando Casini, una personalità politica a cui lei ha guardato sempre con interesse.
«Il centro democratico ha lavorato per porre fine alla stagione di Berlusconi e ciò va riconosciuto. Ma oggi l’Udc appare come un partito indeciso, che non ha chiaro quale sia la sua mission. Penso che la strada giusta sia l’alleanza tra progressisti e moderati, un patto di legislatura per le riforme e la ricostruzione del Paese».
Al centro si stanno affacciando nuove figure. È stato presentato un manifesto firmato da Riccardi e Montezemolo e si parla di una discesa in campo del ministro Passera.
«La politica non è un club chiuso e il Paese ha bisogno dell’impegno di personalità nuove, occorre però non disperdere le forze e dunque spero che ci si concentri attorno a un progetto politico condiviso».
Veniamo alle primarie del Pd. Lei si è caricato addosso il peso della battaglia contro Renzi. Alcuni giudicano che sia stato coraggioso, altri masochista.
«Veramente è Renzi che ha fatto di me il suo bersaglio. Difendo una storia e una tradizione che lui vorrebbe rottamare, ma soprattutto sono convinto che per il Paese l’unica prospettiva credibile sia data dalla vittoria di Bersani».
Beppe Vacca, un intellettuale a lei molto vicino, ha detto che se vincesse Renzi il partito lo espellerebbe in breve. Anche lei ha fatto presagire un rincrudimento della lotta politica dentro il Pd. Pensa che sarebbe possibile una scissione da sinistra?
«Dovrebbe essere Renzi il vero destinatario della sua domanda. È lui che vuole rottamare idee e persone. La sua è una violenza distruttiva che non si è vista mai, in nessun partito. Un partito è una comunità di persone che si rispettano e coltivano lo stesso sentimento verso la propria storia».
Vendola però sta rendendo più difficile la vita a Bersani. Un giorno presenta un referendum contro la riforma Fornero e l’altro promette di rottamare Monti.
«Non sono d’accordo con queste posizioni di Nichi e lo dico apertamente. Sono convinto però che Bersani saprà farsi garante dell’equilibrio della coalizione. Anche perché è stato scelto, e voi giornalisti lo avete sottovalutato, un metodo di risoluzione dei contrasti, una sorta di governance della coalizione. Le forze politiche che hanno aderito alle primarie hanno concordato che le decisioni nell’alleanza verranno prese a maggioranza dall’assemblea dei parlamentari eletti».
So che il termine rottamazione le procura fastidio intellettuale, ma fuori dalla politica suona come ricambio e oggi i giovani chiedono spazio e rinnovamento nella società e nelle professioni. Non può non tenerne conto.
«Ne tengo tanto conto che sono favorevole al ricambio, il Paese ne ha bisogno. È singolare però che la rottamazione dei politici sia pilotata da chi poi ostacola il ricambio nella società. L’establishment vuole che il rito distruttivo si celebri e si esaurisca nel perimetro politico, anzi nel perimetro del centrosinistra. In modo che le classi dirigenti, responsabili dello sfascio non meno dei politici, possano continuare a fare quello che hanno fatto fino a oggi. Ricorda Tomasi di Lampedusa? Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi...».
Dario Di Vico
EDITORIALE DI SALLUSTI SUL GIORNALE
Liberi da uno stato di polizia,dalla politica dell’inciucio: chi vince le elezioni deve poter comandare. Silvio Berlusconi ieri ha aperto le finestre: si cambia aria, via quella stantia, ormai puzzolente, degli ultimi anni, dentro quella fresca.
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C’è voluto lo shock di una sentenza barbara per liberare anche il Cavaliere dal giogo di cattivi consiglieri e mediocri collaboratori che stavano pensando solo alla loro sopravvivenza. Il predellino due non è in piazza, ma nell’aula magna di villa Gernetto, assente lo stato maggiore del Pdl. Finalmente il Cavaliere si è accorto che qualcuno stava vendendo lui, ma soprattutto noi e ciò in cui crediamo, al miglior offerente, che si chiami Napolitano, Monti o Casini poco importa. Berlusconi ritrova il coraggio dei bei tempi, e quei notabili del Pdl che già pensavano di essersi sbarazzati dell’ingombrante signore restano ammutoliti. Altro che passo indietro: qui si fa una duplice piroetta in avanti.Non arrendersi mai è nel dna dell’uomo, tanto che due giorni fa alla notizia di un suo ritiro avevamo titolato con preveggenza: «Arrivederci». Non ci abbiamo creduto neppure un secondo, anche se non speravamo in tanta velocità. Quello di ieri è stato un classico contropiede, di quelli che spiazzano tutti.
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Si riparte dal Nord, dove il vento dell’antipolitica soffia giustamente più forte e dove le misure recessive del governo Monti picchiano più duramente. Meglio, molto meglio ricucire con la Lega che vendersi a Casini. Un Pdl a trazione sudista o romanocentrico è una contraddizione in termini. E finalmente basta con le politiche recessive che una Germania egoista e furbetta impone a Monti e al suo governo. Gli spazi di manovra per cavarcela da soli ci sono e Berlusconi li ha ben spiegati. Il nostro Pil negativo, che ci obbliga a sacrifici in favore dei tedeschi, è figlio di due bugie. La prima è che il reddito sommerso non si vede ma esiste, la seconda è che il risparmio privato è ricchezza vera e va conteggiato. Ora tutti si chiedono che succederà. Non lo so, ma immagino due ipotesi. La prima: il Pdl la smette di prendere strade pericolose per le nostre libertà fondamentali e si riaffida completamente al suo fondatore. La seconda: parte del Pdl preferisce allearsi con le sinistre più o meno mascherate e i partiti delle tasse, e allora potrebbe nascere un soggetto politico completamente nuovo nel nome di Silvio Berlusconi. Come andrà a finire lo sapremo nelle prossime ore. Non tante, perché adesso è concreta la probabilità che il governo Monti ( fischiato ieri da militari e studenti) venga fatto cadere sulle imminenti nuove misure recessive che ha proposto al Parlamento. Allora addio primarie e tatticismi. Si andrà a votare, finalmente. E Berlusconi, in qualche modo, ci sarà.
CRONACA SUL GIORNALE DI ADALBERTO SIGNORE
«Le primarie del Pdl? Non credo ci saranno i tempi se, come temo, si andrà a votare a gennaio...». Conclusa la conferenza stampa fiume a Villa Gernetto e a microfoni ormai spenti, Silvio Berlusconi è ancora più tranchant di quanto lo sia stato davanti alle telecamere.
A chi gli si fa incontro per un saluto e una stretta di mano, il Cavaliere illustra senza troppi giri di parole il timing della sua presa di distanza da Mario Monti. Rottura sul ddl stabilità che arriva in Aula alla Camera fra due settimane e quindi voto a gennaio, eventualmente con election day in Lombardia e, magari, anche nel Lazio.
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Difficile ipotizzare come andrà davvero a finire. Quel che è certo è che Berlusconi è una furia come non lo si vedeva da tempo. Al punto non solo da seguire senza tentennamenti la linea dei cosiddetti «falchi», ma dall’avere perfino un certo fastidio nell’ascoltare le argomentazioni delle «colombe» che predicano cautela. «Reagisce a quella che è e vive come un’aggressione», edulcora lo stato d’animo del premier Paolo Bonaiuti. Il Cavaliere, infatti, è convinto d’essere vittima di un’ingiustizia, di una sentenza politica che non sta «né in cielo né in terra». Con una differenza rispetto al passato, alle tante altre volte che Berlusconi se l’è presa con la magistratura. Quasi un anno fa, infatti, il Cavaliere ha lasciato Palazzo Chigi per far spazio a Mario Monti anche nell’ottica di una sorta di «pacificazione», di passaggio da una fase conflittuale ad un’altra di collaborazione nella quale Pdl e Pd sostenevano lo stesso governo. A questo, secondo Berlusconi, sarebbe dovuto seguire un clima diverso nel quale l’ex premier non era più il «bersaglio mobile delle procure».
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«Se pensano che rimanga inerme davanti a questa persecuzione si sbagliano», ribalta il tavolo Berlusconi. Che dopo una notte a consulto con la famiglia ad Arcore, di prima mattina ha già preso la sua decisione. Sono neanche le nove quando parte il giro di telefonate con Palazzo Grazioli e s’inizia a organizzare la conferenza stampa a Villa Gernetto. Parla rivolto alla platea e alle telecamere il Cavaliere, ma più d’uno ha la sensazione che l’interlocutore sia Giorgio Napolitano.
Nel suo discorso l’ex premier affonda sul Quirinale, prende le distanze da Monti e fa sapere che non escludere di togliere la fiducia al governo, attacca la Germania di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy e - di fatto - smonta pezzo per pezzo il Pdl. «Fate le primarie, io mi occupo di fare campagna elettorale e andare in tv», è il senso delle parole di Berlusconi che in qualche modo mette all’angolo Angelino Alfano e i vertici di via dell’Umiltà. Una presa di distanza implicita, perché Berlusconi snocciola un programma in cinque punti che è quanto di più lontano ci sia dalla linea del segretario, tanto che qualcuno ieri ipotizzava che l’ex Guardasigilli sia arrivato ad un passo dal mollare tutto. Di certo, la telefonata che lui e Berlusconi hanno prima della conferenza stampa non è una passeggiata di salute. Anche se forse serve a evitare che il Cav annunci in televisione quella che è la vera idea che gli frulla per la testa: una lista ad hoc che abbia come core business la riforma della giustizia, qualcosa di diverso dal Pdl e possibilmente con quasi tutti candidati che non abbiano mai messo piede in Parlamento.
Un Berlusconi all’arrembaggio. Così all’attacco che chi lo conosce non si sente di escludere niente. Un Cavaliere questo dice ai suoi interlocutori dopo la conferenza pronto a «una nuova campagna elettorale in prima linea». Un Berlusconi che per ora «congela» la strada della lista autonoma, ma che ieri di fatto ha lanciato un nuovo partito con un programma lontano anni luce da quello del Pdl.