Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 27/10/2012, 27 ottobre 2012
OBAMA E IL MONDO ARABO LE INTENZIONI E I RISULTATI
Quale bilancio traccerebbe della presidenza Obama in relazione alla politica intrapresa dagli Stati Uniti nei confronti del mondo arabo?
Davide Rocchi
davide@neteservice.it
Caro Rocchi, credo che occorra anzitutto tornare al secondo mandato di George W. Bush, quando la presidenza americana decise di rinfrescare la propria immagine lanciando una sorta di crociata per la diffusione della democrazia nel mondo arabo-musulmano. A me sembrò che la Casa Bianca si servisse della missione democratica per cancellare il ricordo degli argomenti pretestuosi con cui aveva invaso l’Iraq di Saddam Hussein e per giustificare moralmente una guerra divenuta molto più lunga e difficile del previsto. Ma l’eloquenza e il fervore del segretario di Stato Condoleezza Rice nel discorso che pronunciò all’Università americana del Cairo il 20 giugno 2005, sembrarono provare che gli Stati Uniti stavano facendo sul serio. Pochi mesi dopo, tuttavia, le elezioni egiziane dimostrarono che la democrazia, se praticata con maggiore correttezza, avrebbe favorito soprattutto la Fratellanza Musulmana, vale a dire una forza politica per cui Washington nutriva una vecchia diffidenza. La presidenza Bush, da quel momento, decise che la stabilità era più importante della libertà.
Anche Obama, sostanzialmente, dovette giungere alle stesse conclusioni. Come osserva Ömer Taspinar, uno studioso turco che insegna negli Stati Uniti, Barack Obama, nel discorso pronunciato al Cairo il 4 giugno 2009, mise l’accento sulla promozione dei diritti umani e civili piuttosto che sulla riforma democratica dei regimi arabi. Secondo Taspinar, il presidente americano desiderava fortemente, in quel momento, la soluzione della questione palestinese e pensava che i leader autoritari della regione potessero dargli una mano a trovare un’intesa. Il calcolo si dimostrò doppiamente sbagliato. Il governo Netanyahu boicottò qualsiasi possibilità di accordo e i regimi autoritari, su cui Obama aveva fatto affidamento, furono spazzati via da rivolte che il Dipartimento di Stato non aveva previsto. Da quel momento gli Stati Uniti, come l’Europa, hanno navigato a vista in attesa di sapere quali sarebbero stati i loro nuovi interlocutori. Vi è stato un intervento militare in Libia, ma Obama ha fatto, non appena possibile, un passo indietro. Si dice che lo abbia fatto nel timore che l’abbattimento di un aereo americano e la morte dell’equipaggio avrebbero gettato un’ombra sulla sua campagna elettorale per il rinnovo del mandato presidenziale. Come è stato implicitamente confermato dal loro terzo dibattito, per Obama, come per Mitt Romney, la politica estera, nella prossimità delle elezioni, è destinata a restare in sala d’aspetto.
Sergio Romano