Luciano Ferraro, Corriere della Sera 27/10/2012, 27 ottobre 2012
IN PRINCIPIO FU IL NEBBIOLO. IL DNA SVELA I VINI
Ci sono antenati e pronipoti, stirpi conquistatrici e razze annientate dalla storia anche nel vino. Come in uno scavo archeologico verso le origini, una donna con l’idea fissa della diversità botanica ha riscritto la genesi e il presente del vino del mondo. Jancis Robinson, critica del Financial Times, lavora da trent’anni per catalogare, analizzare e spiegare la storia dei vigneti. Non tutti i tipi, perché sono circa 10.000. Si è dedicata negli ultimi quattro anni ai più importanti. Anche con questa limitazione il risultato sono le 1.240 pagine di «Wine grapes», un enciclopedico compendio su 1.368 varietà. Un volumone di tre chili di peso, pubblicato pochi giorni fa in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (Allen Lane ed Ecco gli editori, 120 sterline o 175 dollari) e che sarà presentato in Italia al Vinitaly, nel prossimo aprile.
Robinson si è aggirata tra le vigne come un antropologo moderno, usando i test del Dna sulle piante. Il punto di partenza: ogni vitigno ha un padre, una madre, nonni e avi che si perdono nei secoli. Per misteri campestri e incroci accidentali o sapienti, le stesse vigne in diverse ere si sono sparse sul pianeta, smarrendo il nome originale o adattandolo ai costumi locali, come accade alle famiglie degli emigranti. Seguendo le tracce genetiche si arriva ai vitigni assoluti, i padri fondatori di ciò che centinaia di milioni di persone stanno bevendo ora.
«Wine grapes» è un’opera destinata ai cultori del vino, ma anche a semplici appassionati, produttori e collezionisti, resa possibile grazie al sapere della botanica e Master of wine Julia Harding e del genetista José Vouillamoz. È un lungo inseguimento di viti e molecole, come in una Pandora del vino in cui avatar e cloni prendono forme diverse ma vengono da pochi ceppi comuni. È affascinante scoprire, in questo libro, che è proprio l’Italia il Paese con il numero maggiore di varietà di vitigni, 377 contro i 207 francesi e gli 81 della Spagna. «Il Nebbiolo — racconta Jancis Robinson — è probabilmente il più vecchio, il più complesso e il più ramificato vitigno per gli intrecci con le varietà italiane che oggi producono buon vino (varietà più antiche sono scomparse). Il vitigno contenuto nella maggiore quantità di vini è probabilmente il Sangiovese».
Se le viti fossero popoli, si potrebbe parlare del meticciato, l’incontro e la fusione dei mondi su cui riflette il cardinale Angelo Scola. Sono 300 le relazioni inedite scoperte. Il Primitivo, il tosto pugliese alimentato del salmastro adriatico, è geneticamente identico non solo allo Zinfadel californiano (come ha scoperto Vouillamoz), ma anche al croato Tribidrag, che cresce in Dalmazia. Nel giardino di una anziana vicino a Spalato è stata trovata una vigna progenitrice di Zinfadel e Primitivo, di una varietà già nota nel XV secolo.
«Il Tribidrag è uno dei padri fondatori di molte uve che conosciamo, assieme a Pinot, Cabernet Franc, Savagnin, agli italiani Nebbiolo (il vino di Barolo e Barbaresco), Garganega, Teroldego e all’italo-ellenico Moscato e pochi altri», descrive Robinson.
Certezze d’orgoglio francese vacillano alla notizia che Grenache Noir e Mourvèdre, contenuti nei vini secolari di Châteauneuf-du-Pape vengono in realtà dalla Spagna, dove si chiamano Garnacha e Monastrell. E dalla Spagna arrivano anche, attraverso il Tempranillo, Malvasia Nera di Lecce e di Basilicata. Spagnolo è il vitigno più coltivato fino a poco tempo fa in Francia, il Carignan, (Cariñena, Mazuelo e Samsó) che in Sardegna prende due nomi diversi: Carignano e Bovale Grande. Così come hanno lo stesso pedigree genetico Vermentino, Pigato e Favorita.
Gli intrecci sono stupefacenti. «Già si sapeva che il Cabernet Sauvignon, usato per i più grandi rossi del mondo, Châteaux Lafite, Latour and Margaux, discende dal molto meno venerato Cabernet Franc e dal Sauvignon Blanc e che un vitigno semi sconosciuto come il Gouais Blanc è legato al Pinot e ad altri 16 vitigni come il Chardonnay preferito da Bridget Jones», illustra Robinson. Ora si scopre che un vigneto trovato casualmente in Bretagna, Magdeleine Noire des Charentes, è il genitore del Merlot e pure del Malbec, varietà molto nota in Argentina.
Tutto viene illustrato con una serie di alberi genealogici, come quello sulla Garganega, l’uva bianca del Veneto centrale, che ha generato sia il Marzemino trentino sia il Catarratto trapanese. Il libro è diviso per ordine alfabetico dei vitigni, dall’Abbuoto a Zweigelt. Per ognuno ci sono la storia, lo sviluppo e persino gli ettari coltivati nel mondo (con l’eccezione dell’Italia, i dati non erano disponibili), oltre a caratteristiche botaniche, di coltura e informazioni sulle degustazioni. Ma la ricerca è solo all’inizio: la passione per gli autoctoni e le nuove ricerche sui vitigni conquistatori e su quelli perdenti e scomparsi appesantirà sicuramente la seconda edizione.
Luciano Ferraro