Arianna Ravelli, Corriere della Sera 27/10/2012, 27 ottobre 2012
L’INDIA CONTRO LA FERRARI PER LA BANDIERA DEI MARO’
La Ferrari ha un nemico in più: è l’India, che non ha gradito la scelta di mettere sulla F1 rossa lo stemma della Marina italiana per portare l’attenzione sui marò detenuti con l’accusa di omicidio: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause di altra natura significa non essere coerenti con lo spirito dello sport».
Stefano Domenicali, il capo della Scuderia Ferrari, avrebbe solo voglia di pensare a quei 6 decimi che la Rossa ha rimediato dalla Red Bull nelle prove. Un dato non definitivo, ma che sembrerebbe indicare nuvole grigie sulle speranze di Mondiale. Quello sarebbe il suo mestiere, in fondo. Invece Domenicali si trova a dover rispondere a domande su Marina militare, politica estera e marò accusati dell’omicidio di due pescatori. Perché questo è diventato il secondo Gp dell’India: un’occasione per parlare del caso diplomatico che da febbraio contrappone i due Paesi. È su quel terreno che cercano di spingere Domenicali tutti i giornalisti indiani presenti al circuito di Greater Noida, che non hanno apprezzato per niente la presenza, sulla macchina rossa, della bandiera della Marina militare italiana. Così come aveva già dichiarato in mattinata Syed Akbaruddin, il portavoce del ministro degli Esteri indiano: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause di altra natura significa non essere coerenti con lo spirito dello sport».
E ancora più vigorose erano state le proteste di un’organizzazione di pescatori. «Ma il nostro non è un gesto politico — la difesa di Domenicali — è un’iniziativa simile a tante altre in passato» e si riferisce, per esempio, al segno di lutto per gli alpini uccisi in Afghanistan. Posizione ribadita in serata anche da un comunicato: «Il tricolore della Marina militare sulle monoposto al Gp dell’India rappresenta un omaggio a un’eccellenza del nostro Paese. Nel massimo rispetto delle autorità indiane, la Ferrari ribadisce che quest’iniziativa non ha e non vuole avere alcuna valenza politica». Ma l’equilibrio è sottile e la sensibilità sul tema particolarmente acuta.
La Ferrari si è trovata in una situazione complicata. Una parte dell’opinione pubblica italiana sollecitava una presa di posizione.
Così a Maranello (d’accordo con i ministeri di Difesa ed Esteri, ben felici di rispondere a chi li accusava di fare troppo poco per i due marò) avevano pensato che apporre la bandiera della Marina militare sulla macchina fosse il modo giusto per non mostrarsi insensibili, senza prendere le parti di nessuno. Un equilibrismo.
Avevano presentato l’iniziativa come un modo «per rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese» auspicando poi «che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina». Quella che era parsa una buona via d’uscita aveva ricevuto mercoledì commenti soddisfatti sia del ministro degli Esteri Giulio Terzi (che su Twitter aveva scritto: «Congratulazioni alla Ferrari. Testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò»), sia del sottosegretario Staffan de Mistura che da febbraio segue la vicenda: «Il messaggio è giusto. È bello che la Ferrari, un simbolo dell’eccellenza italiana, dimostri attenzione verso un’altra delle eccellenze dell’Italia che è la Marina militare».
Ma si sono sottovalutate la reazione e la sensibilità locali. L’ultimo effetto che si voleva ottenere era quello che si è ottenuto, cioè l’irritazione delle autorità indiane. Proprio per questo la Ferrari aveva subito scartato l’esposizione di un nastro giallo che sarebbe stato interpretato come una protesta. Non è bastato.
Un gesto che sembrava piccolo ha suscitato una tempesta. Per i media locali anche solo l’omaggio alla Marina è una provocazione o, quanto meno, una chiara presa di posizione politica e sottolineano, non a caso, è stato espresso in India e non altrove.
Qualche ricaduta questa storia l’ha avuta anche nel (piccolo) mondo della F1: Bernie Ecclestone si è mostrato infastidito («La F1 non è un’organizzazione politica, ne parlerò con le Federazioni nazionali»), la Fia di Jean Todt sembrava pronta a pronunciarsi ma poi non l’ha fatto. Ma quel che capita nel Circus non è mai stato meno importante.
Arianna Ravelli