il Fatto Quotidiano 24/10/2012, 24 ottobre 2012
SARÀ FICTION, MA IL PIZZO È VERO
Tu domani sei rovinato. Ti devi mettere 100 carabinieri accanto. Del carcere non ci spaventiamo, faccio il mafioso e faccio pure altre parti, non ti preoccupare”. Non è la battuta del protagonista di una fiction televisiva sulla mafia, ma la minaccia di un vero mafioso nei confronti di un produttore. A parlare è Tommaso Castagna, intercettato dagli uomini della Procura di Palermo nella primavera del 2010 mentre intima di far lavorare i suoi uomini a Marco Greco, responsabile di produzione della Magnolia Fiction (allora ancora presieduta da Giorgio Gori) per lo sceneggiato Il segreto dell’acqua, andato in onda lo scorso inverno con Riccardo Scamarcio tra gli interpreti.
CASTAGNA è uno dei 41 arrestati nella maxi-operazione antimafia condotta ieri dalla squadra mobile di Palermo. La retata ha consentito di ricostruire l’organigramma e i vertici di tre famiglie: Noce, Altarello e Cruillas-Malaspina. Associazione mafiosa, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, interposizione fittizia, possesso e uso illegale di armi da fuoco le accuse. L’indagine ha portato alla luce agenzie di scommesse illegali, richieste di pizzo, pestaggi e danneggiamenti nei confronti di negozianti e imprenditori.
Ma la grande mole di intercettazioni telefoniche e ambientali ha evidenziato anche la passione dei boss per il mondo del cinema. Chi voleva girare un film a Palermo, soprattutto le grandi produzioni, doveva necessariamente fare i conti con Cosa Nostra. Le cosche contattavano subito le società cinematografiche imponendo comparse, maestranze, attrezzature, servizi di facchinaggio, catering e perfino il noleggio di carri funebri. Se le richieste non venivano assecondate scattavano le ritorsioni: furti di materiale, danneggiamenti o anche semplici sirene d’allarmi fatte suonare metodicamente allo scopo di mandare in fumo ciak dopo ciak.
Nel 2010, per Il segreto dell’acqua, i produttori di Magnolia subirono proprio questo tipo di pressioni dai Castagna, titolari di un’agenzia di servizi. Gennaro Marchitelli e Marco Greco, responsabili della casa di produzione, denunciarono subito le minacce, ma assunsero comunque alcune delle persone indicate. I fratelli Tommaso e Gaetano Castagna furono ingaggiati come coordinatori del set, mentre Saverio D’amico, anch’egli tra gli arrestati, con mansioni di addetto alla sicurezza.
PER GARANTIRE poi le riprese nel mercato di Ballarò e in piazza Zisa, Tommaso Castagna avrebbe preteso, oltre alle assunzioni di personale non qualificato , anche 8.818 euro.
Quello del cinema, però, non è certo uno dei nuovi filoni di business di Cosa Nostra. I Castagna arrestati sono figli d’arte. Da quarant’anni il padre Enzo, già condannato per associazione mafiosa, è il principe degli impresari di attori e comparse a Palermo. Basso, stempiato, dal portamento dinoccolato alla Broadway Danny Rose, lo sventurato talent scout creato e interpretato da Woody Allen nei guai con la mafia italoamericana, e spavaldo come Joe Pesci in Toro Scatenato, Castagna vanta collaborazioni con Visconti, Pasolini, De Sica e Coppola. Nel 1999 Daniele Ciprì e Franco Maresco gli hanno dedicato il documentario, Enzo,domaniaPalermo!. A un certo punto Maresco gli chiede: “Castagna, se dovesse esserci un’irruzione dei carabinieri, come reagireste?”. “Niente, siamo in regola di tutto. Perché dovrebbero venire i carabinieri?”. “Era, come suol dirsi, una domanda surreale”. “Surreale una minchia!”. Appunto. Michele De Gennaro • COME SONO TELEGENICHE LE COSCHE - Che in terre di mafia sia necessario pagare il pizzo anche per girare un film non è una novità. Lo fece, almeno stando a sentire le accuse del pentito Oreste Spagnulo, anche Matteo Garrone per Gomorra. Lo scenario allora era quello di Scampia, che tanto bene indaga Antonio Pascale nel suo bel saggio Telecamorra, da poco uscito per Lantana. Perché Scampia, esattamente come Secondigliano e Forcella, e altre decine di quartieri satellite nati all’ombra del Vesuvio, sono da sempre incubatrici di quella cultura mafiosa che ha creato all’interno della Regione Campania un’altra regione. Una regione dove il pizzo è all’ordine del giorno, e l’informazione passa attraverso 77 televisioni, 165 radio e centinaia di cantanti neo-melodici, che da soli producono 200 milioni di euro l’anno, con un danno per l’erario stimato intorno agli 80 milioni. Una terra di camorra dove si produce cultura. Quella vera. Quella che forma, alla berlusconiana maniera, le menti degli spettatori e le incanta.
LE INCANTA con sedicenti maghi che a ogni ora del giorno leggono le carte con turbanti di seta e taffetà, e intanto mandano messaggi agli affiliati dentro i carceri locali. Le incanta con i vari Enzuccio, Antonello e Damiano che con completi alla Scarface o con ‘nu jeans e ‘na maglietta gorgheggiano di storie d’amore infinite e dolorosissime, supplicano “un’emozione stasera” e vendono migliaia di dischi fra i vicoli partenopei, diventando dei veri e propri local hero con compensi che sfiorano i 20 mila euro per 45 minuti di esibizione. Il merito di questo stillicidio neuronale è delle autorità locali, colpevoli di non aver censito l’etere in Campania nel 1999, dando il via a una guerra fra clan per accaparrare a costo zero le frequenze.
In fondo, tutti sapevano che un condono ci sarebbe stato, e nel 2006, quando è stata annunciata una nuova rilevazione dei canali utilizzati e l’ennesima sanatoria sugli esistenti, è scoppiata una nuova corsa all’occupazione: i clan sono arrivati perfino a sottrarre oltre 50 canali della banda S, quella riservata al ministero della Difesa.
E COSÌ, se nell’ambiente malavitoso l’affermazione di se stessi passa sempre ed esclusivamente attraverso l’accettazione e il rispetto degli altri affiliati e delle cosche rivali, la televisione diventa il migliore strumento di amplificazione locale per drenare consensi, veicolare un’immagine positiva delle organizzazioni criminali, annullare la coscienza civile, già sovente sopita. Allora viene naturale chiedersi se la Campania con le sue emittenti locali di stampo camorristico – tutte nate su quelle solide basi che sono documenti falsi, estorsioni, minacce, calunnie e mezzette – non possa in piccolo raccontare la storia della nostra Italia catodica, con i talent show zeppi di ragazzini sorridenti e di belle ragazze dalle minigonne inguinali. E allora viene naturale chiedersi – in Campania, ma anche in Sicilia e in Calabria – quale sarà la portata educativa di questo fenomeno. Se non sarà in grado, un po’ come faceva il Maestro Manzi con gli italiani analfabeti, di radicare ancora di più la cultura del malaffare. Flavia Piccinni