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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

MIKE, I FENICOTTERI E GLADIO: ESCE IL FILM DELLE MEMORIE DI ARCORE

Costruiremo una grande città dietro le quinte di questi alberi”. La brughiera dove non si vede a un passo dal finestrino, la voce fuori campo , un ordine all’autista: “Rallenta”. Erano i tempi in cui a Silvio Berlusconi non serviva stare in primo piano per accelerare e parole come addio o rinuncia confinavano con l’eresia. Il Milan vinceva lo scudetto con Rivera e l’agenda della domenica prevedeva Tennis con l’avvocato Dotti a Villa San Martino, lezioni di diritto fallimentare e dopocena ad alto tasso di pornografia imprenditoriale. Eccole in fila, le memorie di Arcore. Nella fitta memorialistica anche cinematografica sul più esplorato vivente d’Italia, il lavoro di Giovanni Fasanella e Giacomo Durzi, prodotto da Simone Gattoni, fa emigrare il punto di vista. Non distruzione delle nequizie, ma analisi delle mancanze. Non esercizio di sottrazione, ma somma delle contraddizioni. Il conto di un’epoca saldato da chi plaudendo alla rivoluzione liberale accompagnò Berlusconi per un tratto di strada e oggi, in un’autoanalisi involontaria, vuota la bisaccia del dubbio. Tiziana Parenti e Giuliano Ferrara, Paolo Pomicino e l’altro Paolo, Guzzanti: “Un giorno mi invitò a casa. Nel giardino, come trampolieri all’orizzonte si muovevano figure allampanate. A un tratto disse ‘vedi quelli, sono i miei liberali’. Sembrava il guardiano dello zoo, il tono era quello. Mi stava mostrando la sua collezione di fenicotteri”. Poi registi, dirigenti di Publitalia, ex responsabili della guerra psicologica all’interno di Gladio, generali degli Alpini con il kit del candidato al posto della mostrina , socialisti circondati dai ritratti di Kennedy e Craxi di nome Pillitteri. Tutti in video, per un documento inedito, impreziosito da filmati inediti della tv svizzera e francese. Berlusconi galante mentre spiega nascita e prospettive di La5, circondato da Dell’Utri, da Mike Bongiorno che nel ’90 gli chiede: “Non ti è mai venuto in mente di fare politica?” o dalla valletta Carminati. Silvio che abbraccia il pupazzo Uan di Bim bum bam o chino, apparentemente serio, nel giurare fedeltà alla Repubblica. Giovane, vecchio, aggressivo, crepuscolare. Anche per questa polifonia senza spartito, per l’allitterazione tra confessione e testimonianza visiva S.B. io lo conoscevo bene sarà ospitato dal Festival di Roma. Tre proiezioni, un viaggio tra le pieghe della maschera, nel dolore delle rughe, nella disillusione che precede la fine. Se Guzzanti racconta le riunioni propedeutiche a Forza Italia con ironia in linea con la sua recente autobiografia: “Mi disse come voleva chiamare il partito e non mi trattenni: ‘ma è un nome orrendo’” e Ferrara non nega che con il mezzo preferito: “Silvio abbia anche un po’ rincoglionito gli italiani” è nel monito di Pomicino: “Dietro la cortigianeria si nasconde la mediocrità” o nelle deduzioni a posteriori di Dotti: “Chi c’è di meno liberale di lui?” che l’effetto ottico confonde definitivamente. I folgorati sulla via brianzola al dominio, trasfigurati. Su posizioni distanti dal passato, anzi, all’opposizione. Quasi doppiati dalle loro stesse voci. Da concetti che fino a un decennio prima avrebbero meritato la scomunica. Liberi adesso. Liberati. Perché come ricorda Guzzanti in una sentita imitazione di Agnelli, l’avvocato aveva capito tutto: “Se Silvio vince, vince pev tutti. Se pevde, pevde da solo”. Se Fasanella, attento studioso degli anni 70 ed esegeta del Caso Moro, con la curiosità al largo e l’anatema degli scettici: “Dietrologo!” parla di fenomeno da “storicizzare”, di “precise responsabilità della sinistra” e di “teledegenerazione del costume del Paese, inevitabile prodotto di una storia malata”, il collega Durzi, bolognese, spiega il punto di partenza condiviso: “Far capire quando e perché ogni cosa iniziò”. Paolo Pillitteri, ex sindaco della Milano seppellita dai garofani ha una sua non del tutto esaustiva teoria: “Come era inevitabile, Berlusconi fu aiutato e protetto dalla politica”. Perché Berlusconi “era democristiano” con il palazzo e nordcoreano negli scantinati di Cologno Monzese. Un giorno, Alessandro Meluzzi, imbarcato sull’Arca, fu mandato a fare un provino. Silvio aveva decretato: “Ci vuole gente che buchi il video”. Lo psichiatra eseguì e poi terminata la corvèe, salutò. Sulla porta, la cassetta dell’esibizione aveva già un’etichetta: “C’era scritto ‘Sgarbi 2’. Parlava di me. Avrei dovuto capire”. Oggi Meluzzi onora un altro dio. L’altare di ieri è vuoto. Il prete bello garantiva: “Vi dico che possiamo costruire un nuovo miracolo italiano". Il predicatore è stanco, la chiesa deserta, il gregge disperso: “Ma davvero non si ricandida?”.