Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore 26/10/2012, 26 ottobre 2012
RIMBORSI? NO UN «TESORETTO» PER I PARTITI
La festa (forse) è in parte finita. Il giro di vite deciso sui lucrosi rimborsi elettorali al sistema dei partiti, dovrebbe ristabilire sobrietà nella politica oggi spendacciona. Già perchè per oltre tre lustri gestire un partito in Italia (grande o piccolo non importa) era una sorta di "Albero della Cuccagna". Un business ricco, con pochi rischi e che ha permesso un po’ a tutti di crearsi il tesoretto in casa, buono per tutti gli usi, non necessariamente per l’attività politica cioè il core business di quell’impresa particolare che è un partito. I ricavi grazie al perverso meccanismo dei contributi pubblici (5 euro per elettore per ogni anno di legislatura sia politica che regionale che europee) sono stati fino a ieri garantiti e crescenti. Basta spendere il meno possibile per le campagne elettorali e ci si ritrova d’incanto con un mare di denaro liquido.
Contributi per 2,2 miliardi
Così ha funzionato dal ’94 a ieri il sistema costato, come ha rivelato la Corte dei Conti, ai cittadini italiani la bellezza di 2,2 miliardi di euro in soli 18 anni. Con una media annua di 120 milioni di euro. Questa la torta dei ricavi garantiti dallo Stato al sistema dei partiti. Nel migliore dei mondi possibili un partito non dovrebbe fare profitti: tanti ricevi dallo Stato tanto dovresti spendere per propagandare le tue idee. E invece eccolo qui l’artificio: per le spese elettorali i partiti hanno impiegato di quei 2,2 miliardi (lo certifica sempre la Corte dei Conti) solo 580 milioni. Mancano all’appello 1,6 miliardi. Dove sono finiti? In parte si pagano stipendi e affitti, in parte consulenze non meglio specificate contributi ad associazioni. In fondo nessuno ti chiede conto dei giustificativi di spesa. C’entra con la politica? Solo in parte. E i bilanci del 2011 riconfermano il giochino. Il Pd ad esempio ha ricevuto 58 milioni di denaro pubblico nel 2011 e 51 milioni nel 2010. Le spese elettorali vere e proprie l’anno scorso sono state di soli 16 milioni, un terzo del contributo statale. Certo, pesano stipendi per 11 milioni e altri 15 finiscono alle strutture sul territorio. Il Pdl ha incassato 31 milioni dallo Stato (32 milioni nel 2010). Eppure lo stesso tesoriere del Pdl scrive che le spese elettorali sono diminuite di 11 milioni nel 2011. Ecco la fisarmonica. Nei momenti di crisi puoi ridurre al minimo l’attività, comprimi le spese e metti da parte la cassa. Puoi anche come nel caso del Pdl darti alla beneficenza politica. Ed ecco i 2 milioni girati alle associazioni tra cui i Liberal democratici per il Rinnovamento o l’associazione italiana per la Libertà. E puoi permetterti di accumulare un piccolo tesoretto. Pd e Pdl avevano liquidità a fine 2011 per 24 milioni ciascuno. La Margherita nonostante le incursioni truffaldine dell’ex tesoriere Lusi aveva cassa per 19 milioni. Sette in meno del 2010. E la gestione Lusi ha lasciato in eredità un disavanzo di 10 milioni con un calo di patrimonio da 25 milioni del 2010 ai 15 milioni del 2011. Anche la Margherita ha incassato (nel 2010) 12 milioni di rimborsi pubblici. Dove finiscono? Per le campagne elettorali? Non proprio. Quattro milioni sono nel fondo rischi per il buco del quotidiano Europa il cui capitale è azzerato; 5 milioni sono il nuovo fondo rischi per gli organi sociali se verranno chiamati in causa per l’affaire Lusi. L’Idv di Di Pietro ha incassato in due anni 14 milioni di rimborsi pubblici: ne ha spesi per l’attività elettorale solo 7,5. E il passivo di 6,5 milioni dell’anno scorso non deve preoccupare Di Pietro che ha una discreta cassaforte in casa: 9 milioni di cassa e 35 milioni di patrimonio. Fieno in cascina per gli anni a venire. La Lega è ricca e militante. Conta per 22 milioni sui soldi pubblici, ma i tesserati ne aggiungono 9 di tasca loro. Tutti, compresi i dirigenti. Solo Umberto Bossi non versava nulla nelle casse del partito. La Lega ha patrimonio per 46 milioni e aveva cassa per 32. Poi l’ex tesoriere Belsito ha usato 20 milioni della cassa per i suoi investimenti strampalati in titoli.
Il buco dei Ds e Forza Italia
Ma il dramma della politica che prende denari dallo Stato e fa poi quel che vuole con i soldi pubblici è nel bilancio (l’ultimo) dei Ds e Forza Italia. Il partito-azienda aveva Silvio come banca d’appoggio. Provvedeva lui ai 61 milioni di debiti, al buco patrimoniale di 42 milioni con una mega-fidejussione da 177 milioni per coprire crediti per 123 milioni. Per i Ds provvedavano invece le banche che si sono ritrovate creditori a perdere per 150 milioni con pignoramenti sui futuri rimborsi elettorali. Mentre i Ds mettevano al sicuro gli immobili sotto il cappello delle Fondazioni. Un partito che ha chiuso la sua carriera con un buco patrimoniale di ben 145 milioni. Nonostante i ricchi e copiosi rimborsi dallo Stato. La politica sprecona è in questa amara fotografia.