Marzio Bartoloni, il Sole 24 Ore 26/10/2012, 26 ottobre 2012
PRESSIONE RECORD SUL LAVORO IN ITALIA: SECONDI DOPO I BELGI
L’Italia batte tutti. O quasi. Nella speciale hit parade della pressione fiscale sul lavoro siamo ormai al secondo posto tra i Paesi più industrializzati con un cuneo fiscale – il peso di tasse e contributi sulla busta-paga – che ha toccato il 53,5%, subito dopo il Belgio dove è al 55,5 per cento. Una pressione record che ci vede lontani di almeno una decina di punti dalla media europea che è al 41,5% (tra i quindici Ue è 41,9%) e lontanissimi da quella dei 34 Paesi Ocse che scende al 35,3 per cento. Un dato, questo, che parla da solo e che per gli italiani si traduce in una busta paga dove il netto è sempre più sottile.
A stilare l’ultima classifica non proprio invidiabile dei lavoratori più tartassati è stata l’Ocse nel suo ultimo report («Taxing wages») che ha raccolto i dati aggiornati al 2011. La graduatoria realizzata dall’organismo di Parigi in realtà ci vede al sesto posto con un cuneo fiscale al 47,6 per cento. Subito dietro a Belgio (55,5%), Germania (49,8%), Francia (49,4%), Ungheria (49,4%) e Austria (48,4%). Ma se al dato italiano si aggiungono anche l’Irap, il Tfr e la trattenuta Inail – come ha ricordato mercoledì il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, nella sua audizione davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato – ecco che l’Italia schizza appunto al secondo posto con una incidenza di tasse e contributi sociali a carico del lavoratore e delle imprese che vale appunto il 53,5 per cento. In pratica quello che viene incassato come retribuzione netta rappresenta neanche la metà del costo totale sopportato dalle imprese.
La stangata del costo del lavoro in Italia risulta poi quasi equamente distribuita: il 23,3% degli oneri viene trattenuto ai lavoratori – il 16,1% sotto forma di tasse sul reddito e il 7,2% come contributi –, il 24,3% viene invece versato dalle imprese come contributi previdenziali. Un versamento, quello a carico dei datori di lavoro, tra i più alti tra i Paesi industrializzati visto che quello italiano è il quarto livello più elevato dell’Ocse, superato solo da Francia (29,7%), Repubblica Ceca (25,4%) ed Estonia (25,6%). Il lavoratore italiano si colloca, invece, solo al 22esimo posto nella graduatoria del netto in busta paga rispetto a quelli di 34 Paesi Ocse, stimato a 25.159 dollari l’anno (a parità di potere d’acquisto) contro i 27.111 della media Ocse e i 25.990 della media europea. Per retribuzione lorda (tassa sui redditi più contributi a carico del dipendente), l’Italia è invece ventesima, con 36.360 dollari contro 36.396 media Ocse.
Il report fa emergere anche un paradosso. E cioè che il nostro Paese riesce a scalare posizioni nella classifica del peso del cuneo fiscale nel caso in cui il lavoratore abbia anche i carichi familiari. Se il lavoratore single italiano senza figli si piazza – secondo la graduatoria dell’Ocse dei più tartassati – al sesto posto, chi ha famiglia arriva addirittura terzo. Se si considerano i capofamiglia di nuclei monoreddito con due figli, il primo posto spetta infatti alla Francia (40,3%), il secondo al Belgio e il terzo all’Italia (38,6% del salario medio), con la media Ocse che in questo caso è pari al 25,4 per cento.
Gli ultimi dati mostrano anche come la tassazione media e il carico della contribuzione sociale sui redditi da lavoro sia salito nel 2011 in ben 26 dei 34 Paesi appartenenti al club dell’Ocse. Aumento che ha riguardato anche l’Italia dove si è registrato un incremento di 0,4 punti del cuneo fiscale: dal 47,2 del 2010 si è passati appunto al 47,6% dell’anno scorso.
Secondo una recente elaborazione di Assolombarda (effettuata sui dati degli ultimi dieci anni) il cuneo fiscale nel nostro Paese dopo una fase decrescente tra il 2000 e il 2003 – quando ha toccato il punto più basso (45,7%) raggiunto anche nel 2005 – è tornato a crescere rapidamente raggiungendo i livelli record di oggi. Esattamente il contrario di quanto accaduto nella "locomotiva" tedesca dove l’economia ha continuato a crescere nonostante la crisi. In Germania gli oneri a carico di imprese e lavoratori sono stati tagliati di oltre tre punti in dieci anni: dal 52,9% al 49,8 per cento.