Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 26 Venerdì calendario

ALLEATI SOLO SE CEDONO LA LOMBARDIA


[colloquio con Flavio Tosi]

Eccola, la nuova strategia della Lega per prendersi il Nord sulle ceneri del Pdl. Comincia a delinearsi a sei mesi dal voto, nonostante l’incertezza sulla legge elettorale e nella vaghezza, almeno finora, delle dichiarazioni ufficiali («A Roma in Parlamento? Forse, ma potremmo anche non presentarci, decideremo. Alleanze? Col Pdl, ma non a tutti i costi, vedremo»). E passa per Verona: per l’esperienza della “lista Tosi” che alle amministrative dello scorso maggio mise insieme delusi del Pdl e altri, prese il 37 per cento, con l’11 della Lega consentì al sindaco un secondo mandato senza alleati. La strategia nazionale è già operativa, la coordinano in loco il vicesindaco Vito Giacino e un paio di assessori ex-Pdl area Forza Italia. E vari gruppi hanno iniziato a lavorarci in Lombardia e Piemonte. A illustrarcela è proprio Flavio Tosi, che con Maroni ha diviso tutte le battaglie interne alla Lega, con lui ha rischiato l’espulsione nel momento più acuto dello scontro coi bossiani del cerchio magico, e dal congresso di giugno è anche segretario della Liga Veneta.
State lavorando ad allargare il modello Verona alle prossime regionali in Lombardia e poi alle politiche 2013, è così?
«Il motto “prima il Nord” significa proprio questo. Roberto Maroni ha sempre parlato del “modello Verona”. Cioè, se immodestamente posso dirlo, un candidato giusto con il simbolo Lega e una o più liste civiche che esprimano la società, l’economia e altri mondi della politica non rappresentati dai partiti».
O prima rappresentati da un Pdl ora evanescente, come a Verona la maggioranza degli eletti della sua lista Tosi...
«Sì, ma non solo: alcuni non facevano politica, uno viene dal centrosinistra. Una larghissima parte dei cittadini del Nord, non di osservanza leghista, pensa come noi che il Nord sia penalizzato e lo Stato centrale una macchina di sprechi. Noi miriamo a esportare il modello Verona ovunque sia possibile. Cercando nei diversi territori le figure giuste, persone che condividano questa impostazione».
Già in vista delle politiche di primavera?
«Le cose vanno fatte seriamente, o ti ritrovi con una coalizione raffazzonata e disomogenea. Certo, l’attuale legge elettorale non favorisce una strategia del genere, che diverrebbe più praticabile se il sistema di voto venisse modificato in senso un po’ più proporzionale».
Con una simile strategia avete preso Verona, ma difficilmente potreste prendere il Piemonte o la Lombardia. Senza il Pdl, il Pirellone rischiate di perderlo.
«Ne è sicuro? Dicono i sondaggi che Maroni è di gran lunga il candidato più gradito e stimato dagli elettori, badi, del centrodestra, non solo della Lega. Se per qualche motivo il Pdl si disgregasse...».
Se succedesse o sta già succedendo?
«Il simbolo Pdl non si capisce esattamente che cosa rappresenti, né che fine farà, lo spartiacque delle elezioni siciliane potrebbe ridisegnare gli scenari interni, nel Pdl tutti si stanno riorganizzando per gruppi e gruppetti. Ero giorni fa a un’assemblea a Padova, centinaia di dirigenti Pdl si guardavano intorno consci del fatto che il loro partito è ormai ognuno per sé e Dio per tutti. Non resta che ragionare sulle persone».
Cioè? Con Alfano sì e con altri no?
«Potrebbe essere, lo deciderà il nostro consiglio federale. Ma il punto è quante parti del Pdl si creeranno e dove andranno a confluire. Vale per la Lombardia come sul piano nazionale».
Distinguiamo. In Lombardia Formigoni alle corde s’è messo a ballare da solo spiazzando Maroni e la Lega.
«Formigoni tende alla continuità, cosa umanamente comprensibile ma politicamente assai meno. Maroni ha imposto l’azzeramento della giunta. Se si vota a primavera risparmiando 40 milioni di euro non succede nessuno sfracello».
Ora o a maggio, perché il Pdl dovrebbe cedere il Pirellone a Maroni?
«Mettiamola così: se tu Pdl ci dai la Lombardia, mi alleo con te alle politiche. Tanto a noi di quello che succede a Roma non ce ne frega più niente. Siamo stati al governo con Berlusconi per otto anni fra il 2001 e il 2011 e non abbiamo portato a casa un fico secco, bloccati dall’apparato di potere romano. E allora il cambiamento lo perseguiamo partendo da tre governatori che in Veneto, Piemonte e Lombardia si battano per conquistare risorse e autogoverno dei loro territori: in un disegno di eurozona cui mi auguro si possano associare, al di là dell’appartenenza politica e indipendentemente da chi le governa, Liguria, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana...».
E se il Pdl o quel che ne resta la Lombardia non è disposto a darvela?
«Allora mani libere. Su tutto. In Lombardia e alle politiche».
L’alleanza dei moderati sventolata da Berlusconi e in altro modo da Schifani?
«Moderati è parola altisonante, ma bisogna vedere cosa dicono e fanno le persone. L’alleanza va fatta con chi ha a cuore la riduzione della spesa pubblica e del debito, il federalismo, il buon governo, la buona amministrazione, il cambiamento...».
In questi termini potreste allearvi anche con un Pd di Matteo Renzi, per dire?
«Sarebbe bello il ritorno a un sistema elettorale più proporzionale che con maggiore libertà consentisse di sostenere le proposte giuste e di arrivare anche in Italia a ragionare sui contenuti e non sulle bandiere. Una volta fatte le elezioni, se ci fosse in Parlamento un Matteo Renzi a portare avanti proposte giuste non vedo perché non dovremmo sostenerle. Personalmente non sono per rottamare nessuno, ma condivido la battaglia di rinnovamento che Renzi sta conducendo all’interno del Pd».
E Casini, con l’ancora fumosa alleanza di centro che sta provando a nascere?
«Casini è l’unico che ha avuto il coraggio, nel senso di incoscienza, di votare contro il percorso del federalismo fiscale. E sta sostenendo Mario Monti qualunque cosa faccia, in particolare nello scippo di poteri che il governo sta mettendo in atto ai danni delle Regioni, incrementando il centralismo quando il massimo di inefficienza è proprio dello Stato centrale, divoratore di risorse senza dar nulla in cambio. No, al momento Casini mi sembra in assoluto il più antitetico a noi. Molto più distante che non il Pd».