Tommaso Cerno, l’Espresso 26/10/2012, 26 ottobre 2012
30.000 POLTRONISSIME
Megastipendi. Auto blu. Parenti assunti. Poltrone salva-trombati. Consulenze inutili. Mogli, amiche, amanti. E conti in rosso. Sembra la politica, ma non lo è. Almeno ufficialmente. Perché c’è un esercito fantasma nell’Italia degli sprechi, che non siede in Parlamento, in Regione o negli enti locali. Ma spende e spande quanto la casta. È la costellazione di società partecipate, municipalizzate, ex controllate, holding regionali e agenzie provinciali che mangiano all’ombra del palazzo. Da Formigoni ad Alemanno, da Cota a Lombardo, sindaci e governatori hanno costruito una cassaforte miliardaria, che si muove come un privato, ma a spese del pubblico. Basta un dato per farsi un’idea dei privilegiati nascosti nel bilancio in rosso dell’Italia: più di 30 mila poltrone fra Cda e collegi sindacali. Il triplo di onorevoli, consiglieri regionali e sindaci messi insieme.
Esagerazioni? Macché, il bello è che potrebbero essere di più. Se l’Anci parla di 3.662 partecipate dai Comuni, cui vanno aggiunte 450 Spa solo regionali, per l’Irpa (Istituto di ricerca sulla pubblica amministrazione) oscillano fra 3 e 6 mila: «La zona grigia dipende dalla precarietà delle informazioni fornite dagli enti locali», spiegano. Anche tenendosi bassi, dunque, c’è da avere paura: nel paese dei tagli di Monti c’è una società pubblica ogni 17 mila abitanti e una poltrona ogni 2 mila. Più la politica.
POLTRONE DI FAMIGLIA
Quel che dev’essere capitato, è che Comuni e Regioni abbiano preso troppo alla lettera lo slogan che l’allora ministro Renato Brunetta coniò: «Le partecipate devono assumere con gli stessi criteri degli enti pubblici». E infatti, eccoli i criteri: parenti, amici e compagni di merende. Da Nord a Sud. Come Giorgio Pozzi, ex deputato lombardo del Pdl che, per dirla come il film, visse due volte. Prima si fa due anni al Pirellone senza dimettersi da presidente di Nord Energia, di cui la Regione è primo azionista. Poi la Cassazione lo fa decadere e al suo posto entra Paola Maria Camillo, eletta con 309 preferenze, che valgono un tesoro: circa 800 mila euro pubblici. Perché? Semplice, non solo eredita stipendio e vitalizio del collega, ma chiede al tribunale pure gli arretrati di due anni. Intanto, a Pozzi arriva un secondo incarico compensativo: il cda dell’Arpa, l’agenzia dell’ambiente, rifugio di molti trombati. Dall’ex presidente (fino a poche settimane fa) Enzo Lucchini (Pdl), poi spostato all’Asl di Lecco, fino a Giovanni Bozzetti, assessore in era Moratti poi messo ai vertici di Infrastrutture Lombarde Spa.
Di politici paracadutati se ne trovano a bizzeffe. Stefano Maullu, in Lombardia, si era dimesso da assessore della giunta Formigoni per dissidi interni. È rimasto disoccupato la bellezza di due giorni, piazzato poi alla nuova Tangenziale esterna (Tem) con 120 mila euro. La vittoria di Pisapia a Milano aveva, invece, declassato a consigliere semplice l’ex assessore morattiano Andrea Mascaretti, soccorso con un incarico da direttore generale di Milano Metropoli da 140 mila euro. E se Roma è capitale anche della poltronopoli italiana targata Gianni Alemanno, con lo scandalo delle assunzioni facili all’Ama e all’Atac, che tra il 2008 e il 2009 sono valse contratti "anomali" (tra cui quelli alla figlia e al figlio del caposcorta di Alemanno) a decine di parenti, amiche e fidanzate di big locali del centrodestra, tiene bene il passo la Sicilia. Dove il governatore uscente Raffaele Lombardo ha lanciato una campagna di nomine nelle partecipate per condizionare il voto regionale e garantire stipendi da nababbo agli eventuali sconfitti.
Campo di battaglia l’Irfis, istituto di credito della Regione. Direttore generale l’ex ragioniere della Sicilia, Enzo Emanuele, indagato per abuso d’ufficio per la gestione commissariale di Catania. Alla presidenza, Francesco Maiolini, che aveva assunto Saveria Grosso, moglie di Lombardo, a 200 mila euro l’anno. E avanti con Claudio Raciti alla guida di Arsea, ente per i pagamenti in agricoltura. Coincidenza è l’agronomo dei Lombardo, quello che firma le perizie per l’impresa agricola della signora. Per non farsi mancare nulla, poi, ci sono pure le nomine alza-vitalizio, come in Toscana. Marco Susini, livornese, parlamentare per due legislature, vivrebbe già con la pensione di Stato, ma non basta. E così gli hanno affidato la presidenza dell’interporto di Guasticce da 30 mila euro per le spesucce.
BUCO MILIARDARIO
Gestite in questo modo, le partecipate si sono riempite di debiti. Buchi che sarà il pubblico a ripianare. La Corte dei conti, poche settimane fa, è stata impietosa: per le sole società regionali, fra perdite e ammanchi, i governatori staccano assegni attorno agli 800 milioni di euro, con una tendenza a crescere che li avvicina al miliardo. Poi ci sono i Comuni, dove regna il caos. Al ministero dell’Economia, spiegano che i debiti delle municipalizzate, circa 45 miliardi, non sempre sono iscritti nei bilanci, spesso apposta, per non dichiarare il dissesto finanziario e il default. Risultato: lo sperpero è fuori controllo e non c’è modo di sapere per quanti miliardi. Così i debiti spuntano da sotto il tappeto, all’improvviso come a Palermo. Immaginate la faccia del sindaco Leoluca Orlando, costretto a inviare al ministro dell’Interno un rapporto sui conti che ha trovato. È un elenco di disastri. «L’Amia, in concordato preventivo fallimentare, ha un patrimonio netto negativo di 55 milioni», annota il sindaco. «E continua a perdere circa 2 milioni al mese». Nel 2011, l’altra controllata, l’Amat ha perso circa 5 milioni e i debiti sono di oltre 117 milioni. E via elencando. In Campania non sanno nemmeno quante società hanno. Per la Corte dei conti sono 29, per la Commissione Trasparenza 46. Fatto sta che le sole controllate della Regione, una decina, alimentano un buco di 107 milioni di euro. A Latina, poi, il danno e la beffa. Il sindaco Giovanni Di Giorgi dovrà fare i conti con un buco da 18 milioni della società che raccoglie i rifiuti. E con il rischio di ricoprire le strade di immondizia.
Ma l’elenco è lungo. Dai 10,5 milioni di buco dell’Expo, ai 30 milioni della Co.Tral nel Lazio. Fino allo sperpero degli sperperi, l’utilizzo delle partecipate come fossero banche d’affari. E gli affari, neanche a dirlo, li fanno i privati, con fiumi di soldi che escono dalle casse pubbliche: Filippo Penati con l’autostrada Serravalle è un po’ l’emblema, con i pm convinti che solo una maxi-tangente possa spiegare i regali al gruppo Gavio, svuotando proprio le casse della Provincia per l’acquisto a peso d’oro del 15 per cento delle azioni dal gruppo, garantendo al venditore plusvalenze per 176 milioni. Ma, caso specifico a parte, è il sistema Provincia che è saltato. Anche il successore Guido Podestà ha mantenuto ben vasto il firmamento delle controllate e ben alto il deficit costi-benefici. Il pezzo forte è l’Asam, che chiude il bilancio 2011 con perdite per 200 milioni. A vigilare sulla cassaforte provinciale, in qualità di presidente, è stato chiamato Stefano Pillitteri, ex assessore dell’era Moratti e figlio dell’ex sindaco di Milano Paolo.
VI PRIVATIZZO L’APPALTO
C’è pure un gioco di prestigio che sindaci e governatori si sono inventati grazie alle controllate: aggirare le norme europee sugli appalti per dare i soldi a chi gli pare. In Piemonte, la Scr (che fa un dirigente ogni sei dipendenti), è la società che gestisce gli appalti regionali. «Uno scandaloso esempio di spreco», accusano i sindacati. Che fa la Regione? La Commissione d’inchiesta denuncia il marchingegno per dribblare i bandi. In gergo si chiama "sesto quinto" e funziona così: tu appalti una fornitura, poi la legge ti consente di prorogarla per aumenti massimi del 20 per cento. Ed ecco che in Piemonte, magia, tutti gli incrementi sono proprio del 20 per cento: «C’è uno sproporzionato ricorso a proroghe di forniture esistenti, senza gara d’appalto», spiega Alberto Goffi che presiede la commissione. E i dubbi riguardano soprattutto la sanità, così il problema si sposta dalla partecipata in questione al ben più ricco sistema delle Asl. Tanto che, sarà un caso, sempre in Piemonte è stato creato il sosia partecipato dell’assessorato alla Sanità. Si chiama Aress, è un’azienda regionale e costa 6 milioni e 800 mila euro nel 2011. La stessa, per capirci, dove un dirigente ha assunto il figlio come guardiano notturno, nei registri sempre presente al lavoro, anche quando se ne stava a casa con papà.
SPRECO FEDERALE
Nate con l’alto obiettivo di portare l’efficienza privata nel pubblico, le partecipate, insomma, stanno morendo del male opposto: sono diventate la camera di sfogo dei vezzi dei partiti, blindati dal patto di stabilità. E così la Lega s’inventa sedi federali per garantirsi posti e voti. Come a Lombardia Informatica, carrozzone da 600 dipendenti, che gestisce il call center sanitario. Puff, s’è moltiplicato ed è diventato un pozzo senza fondo. Nel 2007 aveva sede a Paternò e Biancavilla, terre d’origine e d’elezione dei potenti La Russa, con Ignazio ministro e il fratello Romano assessore regionale, ma tre anni dopo i padani sbancano alle elezioni e piazzano al vertice Lorenzo Demartini, ex consigliere non rieletto. Obiettivo? Un centralino "lumbard", con una spesa di altri 3,5 milioni per la succursale di via Juvara. Alla fine, il call center uno e trino costa 25 milioni l’anno e i cittadini, per far fronte ai costi di gestione, saranno costretti a pagare un servizio che prima era gratuito: 0,50 centesimi dal cellulare.
AFFITTOPOLI SPA
Sotto l’ombrello delle partecipate, poi, c’è pure una nuova affittopoli. Prezzi di favore nel lussuoso patrimonio dell’Istituto dei Ciechi a Milano, per esempio, emergono da un’inchiesta sugli appalti delle colonie per i bimbi. Beneficiari bipartisan: la figlia dell’ex assessore morattiana Mariolina Moioli, l’ex dirigente comunale Carmela Madaffari, il figlio del prefetto Gianvalerio Lombardi, l’assessore della giunta Pisapia, Daniela Benelli. Anche l’inchiesta che ha costretto Roberto Formigoni ad azzerare la giunta ha avuto la sua piaga immobiliare: Domenico Zambetti, assessore alla casa sotto scacco della ’ndgrangheta, pare ripagasse il debito offrendo lavoro e appartamenti dell’Aler, l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale. Del resto lui stesso si era assicurato un appartamento del patrimonio del Pio Albergo Trivulzio, già nel 2008, in corso Sempione. Un vero affare quei 110 metri quadri a 50 metri dall’Arco della Pace. Ma lì vicino, in via Guerrazzi, abitava anche l’ex assessore regionale alla sanità Antonio Simone arrestato per i fondi neri alla Fondazione Maugeri. Anche il suo appartamento era un lascito ceduto del Pat, uno degli ultimi favori concessi da Mario Chiesa, presidente della Baggina, nel febbraio 1992. Simone vi si stabilì con tutta la famiglia e, vent’anni dopo si scopre che l’appartamento è stato acquistato dalla moglie, Carla Vites.
Nell’autonomo Friuli Venezia Giulia, invece, la Regione che ha creato una vera e propria holding pubblica, Friulia, che gestisce tutte le partecipate, dalle Autovie venete (ultima nomina "tecnica" nel cda, il segretario regionale della Lega, Matteo Piasente) alle più piccole agenzie regionali, si buttano milioni per sciare. Nell’autonomo territorio a Nord-est opera, infatti, sotto il Pramollo una società pubblica che si chiama Promotur. Obiettivo: riempire le piste di sci. Risultato: mamma Regione ha speso 16 milioni per ripianare il bilancio e, a distanza di un anno, il buco è già tornato: 2,5 milioni di euro. Eppure la società va avanti, pronta ad aumentare i prezzi degli sky pass, anche se forse spenderebbe meno a pagare direttamente le vacanze ai turisti.
A Parma, invece, c’è il record di partecipate. Nemmeno 200 mila abitanti e 35 società. Durante la stagione del centrodestra, attraverso la Stu area stazione (società di trasformazione urbana) il Comune ha messo in fila progetti faraonici di riqualificazione lasciando in eredità quasi 100 milioni di debiti. Ora per negoziare la ristrutturazione con i creditori, in poche settimane ha staccato assegni per 800 mila euro. Tutti a favore di consulenti.
COMPARI DI MONNEZZA
Ci ha puntato molto, su queste slot-machine alimentate dalle casse pubbliche, pure Luigi Cesaro, deputato Pdl e presidente dimissionario della provincia di Napoli, un passato di rapporti con il clan di Raffaele Cutolo. Ha creato la Sapna, partecipata che doveva risolvere lo scandalo rifiuti portandoli fuori dalla Campania. Invece è saltata fuori una macchina mangiasoldi, che regala consulenze a studi legali, a contabili, a personale esterno per un danno che supera il milione e mezzo di euro. Tanto che la Corte dei conti ha disposto un sequestro di 700 mila euro. In più, le partecipate napoletane servono per assumere dipendenti in violazione del patto di stabilità. La Procura indaga su 38 contratti firmati a pochi giorni dalle ultime elezioni. Contratti di cui nemmeno gli assunti hanno saputo spiegare le modalità di selezione.