Nicola Lombardozzi; Sergio Cantone, il Venerdì 26/10/2012, 26 ottobre 2012
LE RIVOLUZIONI TRADITE. UCRAINA E GEORGIA
[Georgia e Ucraina]
GEORGIA
QUEL MILIARDARIO CHE PARLA RUSSO E SI CHIAMA "BORIS"–
MOSCA. C’è un Grande Pennello grigio che sta rimettendo a posto le cose nel mondo delle "rivoluzioni colorate". Dal suo ufficio del Cremlino, Vladimir Putin, che non ha mai amato le tinte forti, si gode la fine delle rose di Georgia dopo aver assistito con sottile piacere all’inesorabile spegnimento delle bandiere arancione ucraine o dei tulipani insanguinati del povero Kirghizistan. La Georgia, la più amata e più odiata delle ex repubbliche socialiste sovietiche, è comunque il trionfo più atteso e desiderato, dopo i giorni dolorosi delle entusiasti che aperture di Tbilisi all’Occidente fino all’agosto terribile del 2008 con la guerra vera tra i due Paesi, fatta di tank e di colonne armate.
A dieci anni dalla Rivoluzione delle Rose che aveva allontanato dalla sua orbita abituale il focoso "popolo fratello ", adesso la Georgia sembra come tornata a casa. Il nuovo premier parla un ottimo russo, si fa chiamare Boris, è un fedelissimo ortodosso, e a Mosca ha i suoi migliori amici e soci d’affari. E, cosa che non guasta mai, ha un grande carisma e un invidiabile patrimonio personale di oltre sette milioni di euro. Patrimonio e carisma che si sono rivelati fondamentali per battere alle elezioni il partito del Presidente Mikheil Saakashvili e per dare la sterzata giusta agli umori dei georgiani divisi tra la voglia di cambiamento e la nostalgia per quei giorni del 2003, quando pensavano di essersi finalmente affrancati dall’opprimente controllo russo sui loro affari.
Certo, Boris non è così scopertamente asservito a Mosca come dicono i maligni. A Tbilisi usa il suo nome vero di Bidzina Ivanishvili, lascia aperti tutti i contatti con l’Unione Europea e con la Nato, e annuncia perfino che il suo primo viaggio ufficiale all’estero sarà negli Stati Uniti. Né, dopo essersi presentato agli elettori come fiero nazionalista, ha alcuna intenzione di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche filo russe di Ossezia del Sud e Abkhazia sorte, con i loro governi fantoccio, subito dopo la guerra. Ma, dopo la grande paura degli ultimi anni, a Putin va già bene così. Gli basta sentirgli dire che "la Russia resta un mercato fondamentale e un punto di riferimento politico per tutti noi".
Mosca si fida comunque di questo miliardario venuto fuori dal nulla sulla scena politica georgiana. La sua discesa in campo ha meccanismi e modalità che agli italiani ricordano qualcosa. Prima ha dichiarato di non amare la politica ma di volersi "sacrificare per il suo Paese". Poi ha messo sul piatto della campagna elettorale tutta la forza dei suoi milioni e delle sue reti televisive. E pure un noto ex calciatore del Milan, Khaka Kaladze, che adesso gli farà da popolarissimo ministro dello Sport. Una macchina imbattibile, a cominciare dalla scelta del nome della coalizione, Sogno Georgiano, elaborato da esperti di marketing. Subito dopo, un esercito di giovani reclutati e finanziati a dovere si è mobilitato con furore per conseguire il risultato. Una campagna porta a porta, striscioni pubblicitari negli angoli più remoti del Paese, schieramento improvviso di notabili locali dalla parte di Ivanishvili dopo un martellante battage di coinvincimento. A fare la parte del leone, come da copione, le televisioni. Proprio un documentario mandato in onda da Channel 9, una delle reti di proprietà di Ivanishvili, avrebbe dato la svolta decisiva a favore del magnate. Una cruda ripresa dal vivo di torture e violenze messe in atto da nerboruti secondini nel carcere di Gldani. Lo scoop di Channel 9 ha fatto vedere orrori e soprusi perpetrati non ai danni di detenuti politici ma, peggio, contro giovani in carcere per furtarelli nei supermercati o comunque per reati minori. Ideale in un momento di grave crisi economica per fomentare la rabbia contro un governo che non è riuscito ad alzare la soglia di povertà né tantomeno a vincere l’eterna battaglia contro la corruzione.
Trionfo annunciato che il miliardario ha seguito minuto per minuto dal suo palazzo imperiale personale. Un ardito complesso, vetro acciaio e cemento, realizzato senza badare a spese dall’architetto futurista giapponese Shin Takamatsu, proprio di fronte all’ufficio del rivale Saakashvili. Che adesso si prepara a vivere due difficilissimi anni di coabitazione minoritaria con il suo vicino diventato capo del governo. E per di più con ancora maggiori poteri rispetto al Presidente, come prevede una legge che entrerà in vigore dal 2013 e che proprio Saakashvili aveva voluto in un momento di ottimismo.
Dentro e fuori la "casa di cristallo", come la chiamano gli abitanti di Tbilisi, è tutto un monumento all’eccentricità e alla ricchezza senza limiti di Ivanishvili. In un’apposita area diversamente climatizzata ci sono, tanto per intendersi, colonie di pinguini, zebre, e una spettacolare collezione di tutte le specie di pavoni esistenti al mondo. Nel parco, blindatissimo, si possono ammirare alcuni tra i più prestigiosi capolavori di artisti contemporanei. Le copie naturalmente, perché gli originali sono più prudentemente custoditi in una banca londinese.
Vezzi che Ivanishvili non fa niente per nascondere. Anzi, li considera un giusto lieto fine della sua storia personale cominciata 56 anni fa nel poverissimo villaggio natale di Chorvila, tra le montagne del cuore del Caucaso. Da quella misera infanzia da ultimo di cinque figli di un operaio metallurgico, le tv di famiglia hanno costruito la favola meravigliosa di un self-made man geniale e coraggioso. Ma hanno glissato su alcuni aspetti significativi della storia. La grande svolta nella vita di Boris comincia infatti a Mosca negli anni dell’università. Anni che coincidono, prima con le aperture economiche della perestrojka di Gorbaciov e poi con la fine dell’Urss e il confuso capitalismo selvaggio dell’era Eltsin. È in questo periodo che Ivanishvili, figlio di un operaio della periferia dell’Impero, diventa improvvisamente socio di un altro futuro miliardario. Si chiama Vitalij Malkin, attualmente senatore, legatissimo allo staff di Putin e bandito dal Canada dove è sospettato di riciclaggio di denaro e traffico d’armi. Malkin ci mette capitali e amicizie, Ivanishvili il suo talento per gli affari e le sue indiscusse doti di gran lavoratore. Si comincia con distribuire computer, poi con l’importarli dall’estero. E si prosegue investendo i proventi, comprando e rivendendo aziende sovietiche in disfacimento. Una catena di affari fortunati e di rapporti privilegiati che mettono Ivanishvili in contatto con almeno dieci attuali grandi oligarchi di Russia tutt’ora suoi soci nei settori più disparati dalla metallurgia all’edilizia.
Agganci a doppio filo che adesso tranquillizzano il Cremlino anche davanti alle sparate più autonome e nazionaliste del proprio beniamino. Adesso il miliardario premier dovrà occuparsi soprattutto di amministrare il Paese. Barcamenarsi nel pieno della crisi, affrontare il problema della disoccupazione giovanile. Probabilmente continuerà a chiedere sostegno e aiuti all’Occidente ma, a differenza del suo predecessore, ripeterà ad ogni occasione che "tutto quello che faremo non sarà mai a discapito della Russia". E a Mosca, per il momento basta questo. L’amico Boris fa quello che può.
Nicola Lombardozzi
UCRAINA
QUEL TYCOON CHE HA CAVALCATO LA NOSTALGIA–
KIEV. "Rivoluzione arancione" addio. Anche l’Ucraina torna a guardare a Nord, verso il grande vicino russo. Il caso Timoshenko ha fatto irruzione nell’arena elettorale ucraina e turba la sonnolenta e infinita transizione di questa giovane democrazia dell’Europa orientale. Invece la comunità internazionale nutre dubbi sull’effettiva capacità dell’Ucraina di trasformarsi in uno Stato di diritto compiuto. È tempo di elezioni per questa piattaforma semi-rotante dell’Europa centrale e orientale.
Il 28 di ottobre gli ucraini rinnoveranno la Rada (il parlamento locale) per dare vita a un nuovo governo. Anche se si tratta di una repubblica presidenziale sarà un momento fondamentale per molte ragioni. In primo luogo, il presidente Viktor Janukovich potrà contare gli amici e i nemici in vista dell’elezione del capo dello Stato del 2015. È un tipo diffidente. "Non si fida di nessuno " dice chi lo conosce. Di certo, l’attuale presidente e il suo governo sono riusciti a isolare il Paese. Il tono della comunità internazionale su queste elezioni esprime preoccupazione, e anche scetticismo. L’atto d’accusa della comunità internazionale, Unione europea, Consiglio d’Europa e Osce, descrive uno Stato di diritto in via di deterioramento, un potere giudiziario controllato dal potere politico e da quello economico, corruzione diffusa a tutti i livelli e provvedimenti legislativi restrittivi dei diritti civili approvati beffandosi della stessa Costituzione Ucraina. Per il sarcastico primo ministro ucraino Mykola Azarov è invece una lista di "stereotipi che non hanno nessun riscontro con la realtà ucraina ". Perfino il commissario europeo per la politica con i Paesi confinanti, il ceco Stefan Fu? le, tradizionalmente colomba nelle relazioni con l’Ucraina, tira fuori gli artigli: "I nostri partner ucraini pensano che l’insistenza sui valori non sia poi così importante. E che per noi un rapporto stabile con l’Ucraina sia dopo tutto ben al di sopra dei nostri valori".
Tutto comincia con il caso Julija Timoshenko. È infatti dall’arresto dell’ex primo ministro nell’estate del 2011 e la sua condanna a sette anni, confermata in terzo grado, che l’attuale governo ucraino è diventato un paria, in Europa, secondo solo a quello del presidente bielorusso, Lukashenko. Gli osservatori occidentali ricordano che la pasionaria della pomaranceva revoluzia, la rivoluzione arancione del 2004, avrebbe dovuto essere alla guida dell’opposizione in queste elezioni e non in una galera a Kharkiv. E il governo ucraino è sconcertato, ai limiti dell’incomprensione, per il muro occidentale su Timoshenko (non se lo aspettavano e si vede). Anche perché la maggioranza degli ucraini non sembra particolarmente scossa dalla sorte toccata a Timoshenko. Ognuno ci mette del suo, ma c’è un tratto comune nelle critiche: la delusione per il fallimento della "Rivoluzione arancione", per gli anni sprecati in una logorante lotta di potere con l’allora presidente Viktor Jushenko, altro eroe "rivoluzionario" finito nel nulla. Serghej, un artigiano di Kiev lo dice senza mezzi termini: "Timoshenko e Jushenko litigavano e sprecavano i soldi pubblici in monumenti".
Jushenko, in particolare, cercava un’identità ucraina attraverso la celebrazione storica, ma la sua vera intenzione era sottrarre agli ucraini la loro tradizione prima russa e poi sovietica. "Julija Timoshenko ne ha fatte di tutti i colori" aggiunge Serghej, che non risparmia critiche neanche a quelli che sono oggi al governo: "Io non li voto, ma non posso negare che almeno hanno fatto le strade. Comunque, appena posso me ne vado in vacanza in Bielorussia. Lì, grazie a Lukashenko non c’è corruzione, e tutto funziona. Sapete che Lukashenko prende l’elicottero e appena vede una villa con piscina atterra per chiedere personalmente al proprietario come ha fatto i soldi ?".
L’Ucraino medio è angosciato dalla corruzione e dai soldi facili (solo per pochi, ormai quasi tutti in politica) fatti soprattutto negli anni Novanta. E la portabandiera di questi oligarchi senza scrupoli è proprio Julija Timoshenko, che ai tempi d’oro svolgeva un’attività legata al gas. Era parte del cosiddetto "clan di Dnipropetrovsk", opposto in una feroce lotta di potere al "clan del Donbass" (la regione del carbone e dell’acciaio), attualmente al potere e rappresentato dal Partito delle Regioni. Non è un caso se la ragione per cui sconta una pena di sette anni di reclusione è di avere concluso un contratto per l’acquisto di gas dalla Russia a un prezzo superiore a quello di mercato. Per chi l’ha condannata, così facendo ha violato la legge. Oggettivamente, è vero. Ma l’articolo in questione, nell’analisi delle organizzazioni internazionali, "è un retaggio del codice penale sovietico, e non dovrebbe dunque esistere nell’ordinamento di un Paese che ha ratificato la convenzione europea dei diritti umani come l’Ucraina ". Per Elmar Brok, eurodeputato tedesco della Cdu, considerato molto vicino alla cancelliera Angela Merkel, "l’Europa deve molto a quel contratto. Venne firmato nell’inverno 2006, e sbloccò il flusso di gas russo in Europa. Siamo in debito con Timoshenko, un debito d’onore". In quell’operazione l’allora primo ministro "sottrasse spazio a RosUkranergo, la società del suo rivale di sempre, Dmitro Firtash, oligarca vicino all’attuale presidente Janukovich " racconta un diplomatico di un Paese Nato. "Ma favorì i suoi interessi privati fortemente legati alla Russia" dice un esperto di energia ucraino.
Julija Timoshenko controllava negli anni Novanta una società di importazione del gas russo, United Energy System of Ukraine, grande concorrente in un regime duopolistico proprio di RosUkranergo. Come non vedere un conflitto di interessi così pervasivo? Il conflitto che sgomenta questa democrazia giovane e sofferente.
Così, dopo la delusione, le elezioni sono destinate a essere vissute sottotono. Il problema è solo uno: se il partito del presidente possa ottenere la maggioranza assoluta o relativa. Ma al secondo posto avanza, accreditato da alcuni sondaggi, il vero outsider di talento di queste elezioni legislative. Si tratta del campione mondiale dei pesi massimi Vitalij Klichko. Quarantun’anni, colto e popolarissimo è entrato nel ring della politica. Di lui, si fidano in molti, ucraini e esponenti della comunità internazionale. Il suo obbiettivo è quello di raccogliere quote di popolarità per presentarsi alle elezioni presidenziali del 2015. Si è schierato fin dall’inizio contro il giudizio Timoshenko, chiedendo la sua liberazione e quella dell’ex ministro degli interni Lutsenko. Il loro blocco, il Byu, spinge per conquistare il terzo posto.
Sergio Cantone