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 2012  ottobre 26 Venerdì calendario

ESPLODE LA RISSA TRA TOSI E ZAIA


Ci siamo. La guerra civile a bassa intensità scoppiata nel Carroccio veneto fra Luca Zaia, governatore, e Flavio Tosi, sindaco di Verona e segretario regionale del partito, non è più sottotraccia ed è sotto gli occhi di tutti. A cominciare da quelli di Roberto Maroni che lunedì scorso, al teatro Eden di Treviso, in un’assemblea di sindaci padani e militanti ha sentito pronunciare al presidentissimo veneto parole piuttosto risentite all’indirizzo di Tosi che dell’ex-ministro sarebbe poi un figlioccio politico.
E non parole in libertà, affidate a un capannello di maggiorenti leghisti, in attesa di parlare dal palco o dopo averlo fatto, ma discorsi ruvidi, arrabbiati. E dalla tribuna degli oratori appunto. Due o tre veri sciafòn, come si dice in Veneto. Ovviamente con Tosi presente, secondo i veraci canoni della dialettica della ex-Liga Veneta.
A far arrabbiare il governatore era stato proprio il sindaco-segretario che, intervenendo in precedenza, per l’ennesima volta aveva chiesto alla Regione di farsi interprete del malessere dei primi cittadini veneti contro i Patti di stabilità, per i quali Tosi aveva proposto giorni fa lo sfondamento collettivo. La Regione, aveva appena detto Tosi, potrebbe incaricarsi di fare un ricorso alla Corte Costituzionale. Un suggerimento che ha fatto arrabbiare Zaia e non poco: «Non faccio prove tecniche di rivoluzione per conto terzi», ha sibilato il politico trevigiano, «e di ricorsi ne ho fatti molti senza che siano serviti a niente»
Il gelo è calato sui vertici del Carroccio federale e nazionale, ovvero italiano e veneto, su Maroni e su Tosi, ma anche su Federico Caner, vice di Bobo in Via Bellerio, sede della Lega.
Era chiaro che quelle parole annunciavano una tirata bella e buona, uno sfogo politico e un po’ umano e che non serebbe stato semplice, nei giorni a seguire, ricondurre tutto a dialettica.
E infatti Zaia, come ha riportato il Corriere Veneto, c’era andato già duro. «Qui mi pare d’essere in un consiglio di guerra dove, sotto la tenda, si dice: vai avanti tu che mi viene da ridere». Sarà perché giocava in casa, fra la gente che l’aveva voluto trionfalmente presidente di Provincia, prima di vederlo volare a Roma per fare il ministro dell’agricoltura, ma dalla platea si erano levati gli applausi. E neppure pochi. Che erano aumentati, pare, quando aveva rincarato: «Evitiamo di contarci, dicendo quanto siamo bravi».
Due sciafòn appunto. O due slépe, secondo altra vulgata. Riassorbite poi dai duri proclami di Maroni e di Caner sul da farsi: disobbedienza fiscale, annunciata da una raccolta firme ai gazebo da fare entro il 17 novembre. Ma la sparata di Zaia rimane. E per la verità non è stata la primissima. Quando a maggio, da poco rieletto Tosi a furor di popolo nella sua Verona, l’assessore regionale alla Sanità, veronese e tosiano, aveva fatto capire di voler emendare il piano sanitario, Zaia aveva reagito a brutto muso. E commentando le voci che parlavano anche di un giro di poltrone fra i direttori generali della sanità, c’era andato giù pesante: «Non è a Verona che si fa la sanità del Veneto, chi mi conosce sa bene che non amo i manovratori». E s’era arrabbiato molto, il governatore, quando, per stangare il riottoso segretario provinciale di Padova, uno degli ultimi bossiani, Tosi, divenuto a sua volta segretario del Carroccio, aveva in animo di inviare come commissario un assessore regionale. Ma si era trattato appunto di una dichiarazione alla stampa e di una telefonata accalorata, finita essa stessa sui giornali. A Treviso, le bordate sono arrivate in pubblico, dinnanzi a una platea leghista.
Un inevitabile salto di livello nello scontro tra i due che, ormai, solo in Via Bellerio, sede nazionale della Lega, facevano finta di non vedere, perché la Lega 2.0 di Maroni, col Senatur Umberto Bossi relegato a icona del bel tempo che fu e messo sotto una teca di vetro, è sempre stata gelosa del riconquistato carattere unitario. E invece, mese dopo mese, s’è avverata la profezia di Giancarlo Galan, l’ex-governatore forzista del Veneto che, Tosi da poco rieletto, aveva pronosticato che il sindaco avrebbe voluto la Regione. Scenario liquidato in fretta come interessato, in quanto strumentalmente da un pidiellino divenuto ormai concorrente.
Ora far finta di niente non si può più: «Via Bellerio, abbiamo un problema», dice l’Apollo veneto. Lo dimostra la rarefazione dei commenti nei giorni successivi. L’unico pronto a chiosare è stato Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso e segretario veneto prima di Tosi, il bossiano tutto d’un pezzo che aveva chiesto ripetutamente ai vertici del partito la caccia del sindaco veronese per il suo revisionismo e per le sue idee di nuovi soggetti politici come le liste civiche. «Zaia ha parlato bene l’altra sera: basta proclami». E sempre il Corriere Veneto ha raccolto le voci, anonime, di leghisti vicini al governatore che gli rinfacciano di non essersi schierato contro Tosi, al congresso di giugno: «Ora si sveglia? Si sapeva che Tosi avrebbe presentato il conto».
E i conti devono tornare. Sempre.