Marco Bertoncini, ItaliaOggi 26/10/2012, 26 ottobre 2012
ECCO COME SARÀ IL DOPO BERLUSCONI
Il ritiro di Silvio Berlusconi dalla candidatura ha fornito la stura a una serie di «coccodrilli» storici, per riesumare vent’anni di berlusconismo. È quindi riemerso dall’oblio il vano tentativo operato dal Cav di chiamare a raccolta i moderati italiani sotto l’egida di due politici all’epoca per la maggiore, ossia Mino Martinazzoli e Mariotto Segni.
Si sa bene come andò a finire. Martinazzoli rivelò il proprio acume politico scambiando Berlusconi per un industrialotto di provincia bramoso di entrare in parlamento: quindi, rifiutò le profferte del Cav. Pensava di avere con sé un partito del 30%, capace di vincere col mattarellum: pochi mesi dopo, lo sprovveduto imprenditore raccoglieva il 20% dei voti, mentre i seggi sicuri del neonato Ppi erano meno delle dita di una mano. Segni, in quei mesi il più popolare politico d’Italia, si rivelò capace di dissipare una fortuna di milioni di potenziali seguaci, altalenando fra gli schieramenti e cercando in extremis di allearsi con la Lega: peccato che Umberto Bossi prendesse l’intesa firmata con Roberto Maroni e la buttasse nel cestino. Berlusconi capì che bisognava trovare un’alleanza fra le liste che si opponevano a quelle egemonizzate dall’allora Pds. Fece l’impossibile per mettere d’accordo personaggi e partiti che pretendevano di difendere la propria scolorita identità o il proprio teorico orto elettorale, e in parte vi riuscì. Anche oggi a sinistra domina il partito successore del Pds, che ha acquisito resti della Dc di sinistra, con alleati meno numerosi di allora. C’è un elemento nuovo: la protesta incanalata nel Movimento 5Stelle, che ha saldamente superato, a giudizio unanime, le due cifre percentuali, attirando pure delusi dal centro-destra. Come all’epoca dei colloqui Berlusconi-Martinazzoli-Segni, coloro che non vogliono la sinistra al potere sono divisi, distanti, rissosi. Il Cav crede possibile lasciare la propria eredità a Mario Monti, il quale non vuole schierarsi perché ritiene che soltanto con una maggioranza trasversale potrebbe succedere a se stesso, oppure perché guarda al Quirinale. Le divisioni, però, abbondano. Vi sono personaggi, Luca Montezemolo, Oscar Giannino e una miriade di nomi, che ambiscono a organizzare gli elettori stanchi della destra e del centro presentando liste estranee a chi già militi in qualche partito. Un’identica ambizione nutrono Casini, Fini & C. La loro Lista per l’Italia non accetta, al momento, trattative: al massimo, si postula una listucola dei cattolici di Todi 2 come appoggio. Lo stesso Pdl è frantumato: le primarie possono rinvigorirlo, o spingere a pericolose scissioni. E la Lega se ne sta a guardare. Nel frattempo, il tempo reca acqua al mulino di coloro che vogliono mantenere in vita il porcellum. Così, si ripropone il pericolo che correvano gli elettori moderati vent’anni fa: la maggioranza dei cittadini potrebbe perdere perché divisa, rispetto a una minoranza organizzata.