Diego Gabutti, ItaliaOggi 25/10/2012, 25 ottobre 2012
I BERLINGUERINI RIPETONO SEMPRE GLI STESSI ERRORI
Democratico ma senza illusioni né devozioni, autore nel 2011 d’un libro importante su politica e scetticismo, Il politico come cinico. L’arte del governo tra menzogna e spudoratezza, Antonio Funiciello pubblica in questi giorni A vita. Come e perché nel Partito democratico i figli non riescono a uccidere i padri, Donzelli, pp. 130, 18,00 euro, una riflessione altrettanto amara e smagata sulle disgrazie della sinistra italiana. È la storia d’una nomenklatura che da quarant’anni occupa il centro della scena politica continuando a ripetere sempre lo stesso mantra prima togliattiano e poi berlingueriano: unità delle «masse» cattoliche e delle «masse» un tempo comuniste, oggi ex e post.
Quarant’anni dopo siamo ancora lì: al «partito nuovo», alla «svolta», alle «alleanze avanzate». Una strategia che era già decrepita, e che era stata giù più volte sconfitta, quando Enrico Berlinguer, nel lontano 1972, la ribattezzò pomposamente «compromesso storico» dopo i «fatti cileni», culminati nel colpo di stato del generale Augusto Pinochet e nel suicidio di Salvador Allende.
«Chiunque abbia preteso di vedere, nel nuovo corso di Berlinguer, una specie di svolta radicale, non ha ben chiaro come funzionava il Pci», scrive Funiciello. «Sin dall’elezione a vicesegretario di Luigi Longo, nel 1969, Berlinguer si adopera per dare compiuta realizzazione all’antico disegno del partito nuovo togliattiano. L’innovazione portata da Berlinguer non sta nell’intuizione del compromesso —già ampiamente intuita da Togliatti — ma nella realizzazione della stessa nel contesto storico degli anni settanta». Berlinguer cerca un accordo con la Dc «per salvare l’Italia dalla modernizzazione imposta dalla terza rivoluzione industriale e tenerla conservativamente legata alle conquiste civili, sociali, economiche e politiche dell’immediato secondo dopoguerra, non può che realizzarsi nell’intesa tra Dc e Pci». È a questo scopo che « si avvia una selezione minuziosa di quadri dirigenti giovani che, spesso senza alcuna precedente esperienza, diventano dirigenti della Fgci, segretari o dirigenti di federazione, giornalisti de l’Unità. Dalla generazione dei baby boomer, vengono selezionati i più adatti a divenire il ceto politico del compromesso storico. (_) Si insediano nei gangli della struttura partitica in maniera tanto profonda, che ancora oggi, dopo una miriade di cambiamenti di ogni specie e una ragguardevole collezione di sconfitte politiche, permette loro di tenere il timone del comando».
Eredi del togliattismo, educati a combattere la modernità in ogni sua forma, vittime della coazione a ripetere berlingueriana, dunque condannati a ripetere in eterno sempre lo stesso mantra sulle alleanze e sulle svolte, i giovani del compromesso storico, che governano tuttora la sinistra italiana, non sono in realtà anagraficamente così vecchi, ma sono di gran lunga la nomenklatura di partito che da più tempo è sulla piazza e che da più tempo, e sempre invano, tenta la scalata al potere. Come gli sfigati delle fiabe, al cui tocco l’oro si trasforma in carbone, non c’è astuzia dei ragazzi di Berlinguer che non gli si ritorca contro. Inclini agl’incidenti, aizzano i magistrati contro i nemici politici e i magistrati li tengono sotto scacco, eliminano i socialisti dal gioco politico e sono travolti da vent’anni di berlusconismo, si autodefiniscono antropologicamente superiori al resto dell’Italia e (come «i puri» di Pietro Nenni, che trovano sempre «uno più puro che li epura») barcollano di volta in volta sotto i colpi dei leghisti, di Tonino Di Pietro, di Fausto Bertinotti, di Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia, di Nichi Vendola, di Beppe Grillo.
Spronati da Berlinguer, che lancia sul mercato politico la «questione morale», tocca ai giovani del compromesso storico tuffarsi nel vuoto con «un salto mortale dallo spazio della politica alla galassia dell’antropologia e all’universo dell’etica». Da allora non fanno che saltare e, a ogni salto, si spiaccicano per terra, come il Vilcoyote nei cartoni animati, e non di meno tornano a saltare perché «nessun cedimento [è] possibile verso una modernità rigettata con vigore e in nome della propria arcaica diversità». Non imparano mai: «Salvo rare eccezioni, la generazione del compromesso storico ha passato l’intero arco della propria vicenda politica a fare e disfare sempre lo stesso compromesso. Non è un caso che oggi cerchi di allargarlo in vista delle elezioni politiche del 2013, proponendo un’alleanza tra progressisti e moderati che altro non è, ancora una volta, che la ricetta togliattian-berlingueriana riveduta e corretta. Poco importa che gli italiani di oggi in quegli schemi di rappresentazione non si riconoscano, come tutte le indagini testimoniano smentendo gli schemi abusati del passato. La generazione del compromesso storico non è disposta a smentire se stessa».