Diego Gabutti, Sette 26/10/2012, 26 ottobre 2012
LIZZIE, LA PRIMA TOP MODEL CHE FECE I CONTI CON L’ECCESSO
In una lettera, usando la penna come un pennello, un preraffaellita minore la ritrae «nella piccola camera da letto al piano di sopra con la finestra dai vetri piombati e la massa dei suoi bellissimi capelli d’un rosso acceso dopo che si tolse il copricapo; portava i capelli legati alla bell’e meglio, così ricadevano in morbide e pesanti onde. Era come se una sfumatura rosa giacesse sotto la pelle bianca, producendo un rosa più morbido e delicato. I suoi occhi erano marrone dorato – color agata, questa è l’unica parola che mi sovviene per descriverli – e meravigliosamente luminosi, come si ritrovano nei disegni di Gabriel e nell’immagine che lei ha di se stessa. Le palpebre erano basse, ma senza apatia o sopore, e avevano la peculiarità di coprire appena la luce dei suoi occhi quando guardava in basso». Lei è Elizabeth Eleanor Siddal, per gli amici Lizzie, o Lizzy: pittrice, poetessa, ma soprattutto modella di pittori – se non, addirittura, la prima delle top model – al tempo in cui non c’erano ancora servizi fotografici né sfilate di moda. Quanto a «Gabriel», si tratta di Dante Gabriel Rossetti, figlio del carbonaro e dantista italiano Gabriele Rossetti e di Frances Polidori, figlia di Gaetano Polidori, segretario di Vittorio Alfieri, e sorella di John, medico di Lord Byron e autore della prima storia di vampiri. Dante Rossetti è soprattutto il caposcuola dei pittori preraffaelliti, che nell’Inghilterra della Regina Vittoria, alla metà del secolo XIX, si propongono di rifare il mondo dell’arte dalle fondamenta. Come i romantici prima di loro, o meglio come i danteschi Fedeli d’Amore prima di tutti quanti, è con la retorica della passione amorosa e con la bella calligrafia delle loro tele iperrealiste d’ambientazione medievale chic che i preraffaelliti, artisti allegorici e mélo, mai banali, per metà arte figurativa, per metà letteratura, muovono all’assalto delle idee di bellezza che giudicano superate. Lizzie è la loro icona.
Lucinda Hawksley, pronipote di Charles Dickens e storica dell’arte, racconta la sua storia in una bella biografia: Lizzie Siddal. Il volto dei preraffaelliti, in uscita da Odoya. È una storia d’amore, una storia d’anoressia e di dipendenza dall’oppio, una storia di suicidio e di scandali; insomma, è una storia moderna, come se ne leggono tante nei giornali specializzati in affari del bel mondo, che oggi è notoriamente il mondo dello show business.
Gli albori del divismo. C’è stato un tempo, tuttavia, in cui il bel mondo non era particolarmente bello, né particolarmente ricco o à la page. Rossetti e i preraffaelliti, da John Everett Millais a William Holman Hunt, da William Rossetti (fratello di Dante) a Thomas Woolner, sembrano anticiparlo in qualche modo di decenni. Anticipano l’idea dell’artista come eccentrico e come divo. Ma soprattutto anticipano di decenni le formazioni a testuggine dei movimenti artistici del XX secolo con la loro idea d’una «confraternita preraffaellita» da mettere in campo contro i filistei, con le loro «comuni», con le loro tele già postrealiste e con i loro costumi privati borderline, in parte emancipati, in parte classisti e vittoriani, anche se poi, alla resa dei conti, più vittoriani e classisti che emancipati, come Lizzie finì per imparare. Scoperta nel 1850 da Walter Deverell, «il più bello dei preraffaelliti», al quale fece da modella in una tela ispirata alla Dodicesima notte di William Shakespeare, Lizzie fu subito accaparrata da Dante Gabriel Rossetti che, si dice, quando si trattava di donne fosse assai poco leale con gli amici. Ne derivò un ménage modellato, teoricamente, sull’amore di Dante per Beatrice. In realtà rimasero eternamente fidanzati, lui infedele come una pop star e restio a presentarla in famiglia, dove una ex commessa sarebbe stata accolta gelidamente, lei anoressica e intossicata dal laudano. I due si amavano profondamente come nelle poesie dei trovatori, ma più ancora amavano il melodramma, quindi non fecero che prendersi e lasciarsi, lasciarsi e prendersi, per anni e anni, fino al disastro finale. Nel frattempo, lui e altri preraffaelliti dipinsero Lizzie in tele che resero le sue fattezze immortali (lo stupefacente Ophelia annegata di John Everett Millais, o Beata Beatrix di Rossetti) e lei stessa scoprì la sua vocazione artistica. John Ruskin, il più importante critico d’arte del tempo, acquistò tutte le opere che Lizzie aveva dipinto da dilettante e le fece esporre in mostre e gallerie, dove però passarono inosservate o, peggio, furono derise. A lei, del resto, presa com’era dal laudano, importava ormai poco della carriera artistica. Scriveva poesie belle e tristi, rifiutava il cibo, dimagriva a vista d’occhio, soffriva di gelosia e ricattava l’eterno fidanzato con lo spettacolo dei suoi sbalzi di salute, un giorno sull’orlo della tomba, il giorno dopo rediviva.
Top model originaria, prima della sua specie, Lizzie si metteva in posa. E come sarebbe capitato a molte sue colleghe nei giorni futuri del glamour e dello star system, la posa col tempo diventò la sua vita, quindi la vita si trasformò in un incubo, e l’incubo in una condanna a morte. Nel 1860, quando Rossetti finalmente la sposò dopo dieci anni di fidanzamento, era tardi per cambiare vita: incinta, continuò col laudano e nel 1861 perse una bambina. Un anno dopo (1862) morì “suicida” per overdose. Rossetti, su consiglio dagli amici, bruciò il biglietto d’addio e la seppellì, insieme al taccuino con l’unica copia delle poesie scritte per lei. Qualche anno dopo, ripensandoci, chiese il permesso d’aprire la bara e recuperò il quaderno. E fu, subito, in quell’Inghilterra vittoriana che non aspettava altro, di nuovo scandalo.