Giovanni Caprara, Sette 26/10/2012, 26 ottobre 2012
L’ITALIANO CHE È DECOLLATO NEL BUSINESS DELLO SPAZIO
«Non poteva finire così. Ero soddisfatto perché, appena laureato, lavoravo già in una società spaziale milanese non molto grande, però dinamica. Ma guardavo agli Stati Uniti, ai segni di vitalità tecnologica che emanavano. L’attrazione era troppo grande e decisi di varcare l’Atlantico, tentare la fortuna». Marco Villa, 37 anni, lo ha fatto e adesso sorride compiaciuto. Siamo infatti a Hawthorne, davanti a un hamburger, e Marco guarda oltre la finestra del luogo di sosta per rapidi rifornimenti alimentari in cui siamo seduti. Accanto scorre il rumoroso traffico di Rocket Road, la strada dei razzi, diretta all’aeroporto di Los Angeles. Poche decine di metri lontano, affacciato sul fiume ininterrotto di auto un imponente edificio squadrato. Non ha finestre e solo una scritta, SpaceX, brillante nella calura californiana e disegnata come il titolo di un film della vicina Hollywood.
È la nuova fabbrica dove lavora Marco Villa, la prima società spaziale americana privata che fornisce alla Nasa razzi e capsule per il trasporto di materiali alla stazione spaziale internazionale. L’unica, per il momento, esistente dopo il ritiro degli shuttle. Il primo rifornimento privato della base cosmica è in corso in questi giorni. La Nasa ha pagato il biglietto e al resto hanno pensato gli uomini di SpaceX. Fra due anni la stessa capsula Dragon oltre ai materiali porterà anche gli astronauti: un servizio completo. Un cambio radicale nella storia dello spazio e nella mentalità. I collegamenti con la stazione a “soli” 400 chilometri d’altezza ormai possono essere un business per imprenditori d’avanguardia. Come Elon Musk, diventato miliardario con il sistema di pagamenti elettronici PayPal da lui inventato e fondatore di SpaceX, ma anche di altre società come Tesla Motor, che produce auto elettriche, o Solar City, che sforna pannelli fotovoltaici.
Da Valsolda a Cape Canaveral. «Ora siamo duemila persone, quando arrivai nel 2007 eravamo soltanto poco più di duecento», nota Villa mentre varchiamo la soglia del grande edificio-bunker, una volta sede di un fornitore della Boeing. Qui fabbricavano parti della fusoliera del jumbo 747 e ora Musk ha concentrato la realizzazione di tutto ciò che serve per andare e tornare dallo spazio in modo economico: il razzo Falcon con i suoi motori innovativi Merlin, la capsula Dragon e i suoi pannelli solari; sfidando con il low cost le grandi società statunitensi e degli altri Paesi. «Oltre questa porta d’ingresso non si può fotografare», mi avvisa. La concorrenza, soprattutto cinese ma anche russa e americana, è agguerrita e bisogna difendersi. Uno sterminato piano diviso in open-space ospita tutti gli ingegneri: Musk ha solo un angolo lievemente più ampio. «Essere qui è un sogno, si respira aria nuova, nuovi metodi di lavoro, di business, nuove tecnologie, insomma innovazione su tutti i fronti», sottolinea Marco che velocemente ha scalato la vetta della nuova company diventando il direttore delle operazioni, cioè di tutto quello che succede alla capsula Dragon quando da Cape Canaveral si alza il razzo Falcon per spedirla verso la stazione orbitale. «E lo facciamo in modo semplice sfruttando ogni nuova possibilità tecnologica: nei momenti più complessi c’è al massimo una dozzina di persone impegnate, non le centinaia come accade nelle altre organizzazioni», aggiunge con un pizzico di soddisfatta polemica.
E tra razzi e capsule che animano con passione le sue parole, Marco ci racconta la sua storia. «Arrivavo dal piccolo comune di Valsolda, sul Lago di Lugano in provincia di Como, e studiando ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano diedi forma alle mie aspirazioni. Attratto dal nuovo, alla Carlo Gavazzi Space milanese presi contatto con i primi oggetti cosmici che avevano riempito la mia fantasia giovanile spingendomi ancora di più a volare negli Stati Uniti atterrando all’Università del Kansas. Ma per poter affrontare il dottorato che desideravo, dovevo arrangiarmi e mentre studiavo insegnavo italiano per ricavare le risorse necessarie».
Dopo Kansas City tornava in volo verso una piccola società della costa Est occupandosi di piccoli satelliti per l’Usaf, l’aviazione americana. «Avevamo dei contatti con SpaceX per spedirli in orbita», ricorda, «e ricevetti la proposta di lavorare con loro proprio mentre ero alle Isole Marshall per lanciarli con il secondo Falcon. Mi affascinava la nuova frontiera che rappresentavano, accettai senza esitazione». Lo spirito della California continua a vivere e adesso Marco Villa governa le navicelle private americane che aprono una nuova stagione della conquista dello spazio. Tornare in Italia? «Solo se si ricreassero le condizioni che ho qui. Mi sembra difficile, ma sarebbe bello».