Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

QUEST’UOMO STA DIVENTANDO PADRONE DI MEZZO MONDO

[Spende fra 20 e 30 miliardi di dollari ogni anno per comprare aziende, case, terreni in tutti i continenti. In 7 anni ha accumulato proprietà per 627 miliardi di dollari. Anche in Italia ha fatto «shopping», ma adesso vuole alzare la posta] –
Il primo consiglio che si riceve quando si sbarca a Doha, nel Qatar, è che «qui tutte le strade portano al palazzo in marmo bianco dello sceicco Hbj». Dove la sigla sta per Hamad bin Jassim bin Jabr al-Thani, 53 anni, due mogli e 15 figli, una fortuna personale di 3 miliardi di dollari. È cugino dell’emiro Khalifa, è da 20 anni ministro degli Esteri e dal 2007 anche primo ministro. Ma è soprattutto l’amministratore delegato della Qatar investment authority (Qia), il fondo sovrano del piccolo emirato, grande quanto l’Abruzzo ma con il secondo reddito pro capite al mondo dopo il Liechtenstein. Tanta ricchezza deriva dal petrolio (1,4 milioni di barili al giorno, in esaurimento fra 57 anni) e soprattutto dal gas liquefatto (77 milioni di tonnellate l’anno, il 28 per cento della produzione mondiale, in esaurimento fra 300 anni). Non a caso i più maligni della corte sussurrano: «L’emiro Khalifa governa, lo sceicco Hamad è il padrone di tutto».
Lo sceicco è inavvicinabile nel suo emirato, circondato da decine di guardie del corpo. Dicono che lavori anche 12-15 ore al giorno. Di questi tempi è molto indaffarato a risolvere la crisi siriana dopo avere avuto una parte assai attiva nelle primavere arabe grazie a un altro strumento nelle sue mani: la tv all news Al-Jazeera. Quando i tamburi di guerra hanno cominciato a rullare tra Damasco e Ankara, lo sceicco Hamad ha rotto l’impasse all’Onu e ha convocato una riunione urgente a Doha di tutti i gruppi dell’opposizione al presidente Bashar Assad per trovare il leader sunnita in grado di sostituire il sanguinario dittatore e di isolare le frange estremiste legate ad Al Qaeda. Un attivismo che coinvolge anche l’emiro Khalifa: martedì 23 ottobre è sbarcato nella Striscia di Gaza portando promesse di investimenti per 400 milioni di dollari e suscitando proteste e critiche di Israele.
Contemporaneamente lo sceicco Hamad passa diverse ore ogni mattina con Ahmad Mohammed al-Sayed, il giovane (35 anni) amministratore delegato della Qatar Holding, braccio armato del fondo sovrano qatarino, con lauree in economia e master a Doha, Boston, New York, Londra e Parigi. Il fidato Al-Sayed ha l’incarico di proporgli una serie di potenziali opportunità da sfruttare in giro per il mondo soprattutto ora che la crisi economica e finanziaria in Europa e, in parte, anche negli Stati Uniti, fa calare i prezzi a saldi assai convenienti.
Fuori dal Qatar, il primo ministro-padrone, indossati i costosi abiti tagliati dai migliori sarti di Savile row a Londra e qualche volta anche i gessati made in Italy, è molto più disponibile, soprattutto se lo si incontra a Davos durante l’assemblea annuale del World economic forum, assediato dagli amministratori delegati delle principali multinazionali in veste di piazzisti. Il fondo sovrano del Qatar, che attualmente gestisce un patrimonio calcolato attorno a 135 miliardi di dollari, ha in budget ogni anno da 20 a 30 miliardi di dollari da spendere nel mondo in partecipazioni societarie, marchi dell’alta moda, hotel di lusso, aziende industriali, istituzioni finanziarie, infrastrutture, proprietà immobiliari, titoli di stato, oro e soprattutto migliaia e migliaia di ettari di terreni in Asia e in Africa, isole incontaminate da trasformare in resort a 7 stelle, ma anche materie prime da immagazzinare o rivendere alla borsa di Chicago.
L’Italia è fra gli obiettivi preferiti, sebbene l’emiro in persona abbia qualche perplessità per la corruzione dilagante e il peso insopportabile della burocrazia: oltre al rigassificatore di Rovigo, con una quota del 45 per cento delle azioni, il Qia ha comprato, fra titoli di stato, azioni e proprietà, l’Excelsior Hotel Gallia di Milano per circa 134 milioni di dollari, il gruppo Valentino Fashion (oltre 700 milioni di dollari), il consorzio Costa Smeralda (700 milioni di euro) e, più recentemente, il Grand Hotel Baglioni di Firenze.
«In questa strategia di acquisizioni c’è una logica di natura squisitamente imprenditoriale più che politica» dice a Panorama Fabio Scacciavillani, capo economista del fondo sovrano dell’Oman, il quale, assieme a Massimiliano Castelli, responsabile delle strategie globali dell’Ubs, ha pubblicato di recente il saggiobibbia sulla materia, The new economics of sovereign wealth funds. «Stiamo parlando di rendimenti attesi a doppia cifra, anche oltre il 20 per cento annuo. I fondi sovrani hanno un orizzonte di lungo periodo che li rende quasi unici nel panorama finanziario internazionale». Nella classifica elaborata dal Sovereign wealth fund institute, con sede a Las Vegas, la massima autorità privata del settore, il Qia si colloca al 12° posto per beni posseduti, ben lontano dal fondo sovrano di Abu Dhabi (Adia), che ha proprietà per 627 miliardi di dollari ed è il secondo investitore istituzionale al mondo dopo la Bank of Japan. Però, mentre l’Adia è attivo dal 1976, il fondo qatarino è stato fondato solo nel 2005 ed è già considerato quello più aggressivo.
Superare la cortina di riservatezza che circonda il Qia è praticamente impossibile. Ecco perché l’istituto di Las Vegas non dà la sufficienza al fondo (voto 5) per quanto riguarda la trasparenza, contro il 10 tondo conquistato dall’ Oljefondet, il fondo pensioni governativo della Norvegia, fondato nel 1990 e proprietario di asset nel mondo per 556,8 miliardi di dollari.
L’opacità e la segretezza si possono superare solo andando a interrogare alcuni esperti finanziari che lavorano nella City londinese, a Zurigo o nel Golfo Persico. Intanto, la prima sorpresa è che il Qia ha un consulente finanziario di tutto prestigio: il Credit Suisse. In questa banca il fondo del Golfo ha investito 3,1 miliardi di dollari nel 2011 e, nel febbraio di quest’anno, ne ha acquistato il quartier generale londinese, in seguito ceduto in leasing allo stesso istituto finanziario. I banchieri di Credit Suisse si sono occupati anche dell’acquisto del 10 per cento della Porsche Holding e del 17 per cento della Volkswagen, per un ammontare di 10 miliardi di dollari, il maggiore investimento mai realizzato da un fondo sovrano in Germania.
Sempre il Credit Suisse ha agito come consulente per il colpo grosso effettuato a Londra nel maggio 2010, quando il Qia, sborsando 2,2 miliardi di dollari, si è impadronito del 100 per cento dei magazzini Harrods. Secondo fonti londinesi, l’ambizione del Qatar è di trasformare quel marchio in una catena di hotel di lusso. A Panorama è stato riferito che i primi a sperimentare l’idea saranno alcuni alberghi del consorzio Qatar-Costa Smeralda con una forte iniezione di denaro fresco: non meno di 400 milioni di euro per la ristrutturazione. «È probabile che, integrando le strategie di marketing fra i vari marchi conquistati, i manager del Qia vogliano imprimere forti sinergie. Non mi meraviglierei, per esempio, se l’immagine di Valentino venisse legata a quella della Porsche» scommette Scacciavillani.
La Grecia è nella lista delle prede da cacciare per le sue isole: la prima a finire fra i tesoretti del Qatar è stata l’isola-gioiello di Oxia, nel Mar Ionio, pagata 5 milioni di euro, completamente disabitata e vicina alla più famosa Itaca.
Londra fa gola per il mercato immobiliare. Lo Shard, il grattacielo di 72 piani più alto d’Europa, progettato da Renzo Piano e inaugurato il 5 luglio scorso, il villaggio olimpico, One Hyde Park, il quartiere di appartamenti fra i più cari al mondo, le Chelsea Barracks, Canary Wharf: tutto è finito in parte o in toto ai fondi qatarini, dopo le meno recenti acquisizioni del 20 per cento del London Stock Exchange e del 20 per cento della catena di distribuzione Sainsbury’s.
La Francia è finita nel mirino della famiglia reale di Doha attraverso l’altro veicolo di investimenti: il Qatari Diar, che all’inizio dello scorso giugno ha sborsato 623,2 milioni di dollari per un complesso di lusso sugli Champs Elysées. In precedenza era finita nel portafoglio qatarino la utiliy francese Veolia mentre, quasi contemporaneamente, Qatar Holding è entrata nel settore aeronautico del gruppo Lagardère e ha comprato la squadra di calcio del Paris Saint-Germain, con l’obiettivo di «diventare la numero 1 in Europa». Dopo un anno di laboriose trattative il fondo del Qatar è riuscito infine in un’impresa mai realizzata, che ha profondamente colpito la grandeur francese: un mese fa è stata annunciata la creazione di un fondo misto Qatar-Francia dotato di 100 milioni di euro per finanziare lo sviluppo delle depresse banlieue della capitale, un’iniziativa sollecitata dalle comunità musulmane espatriate a Parigi. «Quali saranno le tappe successive dopo che per la prima volta nella sua storia la Francia si prepara ad affidare a un paese straniero una parte dei suoi doveri?» ha chiesto assai polemico il quotidiano Libération, paventando «puzza di mistero e di «ragion di stato». Un’accusa che Scacciavillani tende a respingere: «In Occidente le frange protezionistiche hanno sempre alimentato le paure del pericolo esterno provenienti dai paesi arabi o dalla Cina per puri scopi di bassa cucina politica interna. Gli studi condotti dal Fondo monetario, dall’Ocse e da altri ricercatori indipendenti hanno dimostrato come in nessuna occasione le scelte dei fondi sovrani siano state dettate da considerazioni extraeconomiche».
Lo sceicco Hamad non è preoccupato più di tanto dalle polemiche. Nella sua testa frulla da tempo un’idea che forse si realizzerà presto: conquistare la casa d’aste Christie’s, che andrebbe a collegarsi con il museo di Doha, attualmente in costruzione e che ha un bisogno disperato di capolavori dell’arte antica e moderna.
Quanto all’Italia, gli acquisti non si fermano qui e potrebbero subire un’ulteriore accelerazione con la missione del premier Mario Monti a Doha, il prossimo 18 novembre: una specie di road-show per dimostrare come il Paese stia cambiando grazie alle sue riforme. È sempre viva l’offerta per il 3 per cento dell’Eni, dopo un tentativo, finora andato a vuoto, di acquistare una quota di minoranza dell’Enel green power. Fra i dossier in evidenza spiccano Snam, un paio di grosse banche (Unicredit e Monte dei Paschi), oltre che una squadra di calcio (il Milan) e possibilmente un’altra maison del lusso (Versace). Anche il gruppo Purenergy, con sede a Bisaccia (in provincia di Avellino), che progetta e installa impianti di energia elettrica da fonte eolica, voltaica e biomasse, è in cima ai desideri dell’emirato. «I fondi sovrani, come quello del Qatar» spiega Scacciavillani «si orientano verso quelle imprese con una forte caratterizzazione internazionale, una reputazione che trascenda le miserie della politica e un brand di forte impatto».
Lo stesso emiro Khalifa, nella sua visita a Roma dello scorso aprile, ha rivelato al sindaco Gianni Alemanno di coltivare un sogno: quello di realizzare il parco divertimenti più grande d’Europa, più tecnologico della stessa Disneyland americana, tutto dedicato ai fasti dell’antica Roma. Promette un investimento iniziale di 600 milioni di euro. Gli ha detto: «Voglio progetti all’altezza della vostra storia e della fama di creatività conquistata nel mondo. Non deludetemi».