Sergio Rizzo, Corriere della Sera 26/10/2012, 26 ottobre 2012
ASSALTO ALLA DILIGENZA DELLO STATO. COSI’ I PARTITI VANIFICANO I TAGLI
L’odore delle urne è forte e penetrante. Tanto forte da far resuscitare in Parlamento lo spirito del Far West. Quello dell’assalto alla diligenza delle vecchie leggi finanziarie, che l’ex superministro dell’Economia Giulio Tremonti all’inizio di questa legislatura aveva tentato di scongiurare per sempre con l’anticipo estivo della manovra annuale. Non c’è stato nulla da fare: non è servito nemmeno ribattezzarla «legge di Stabilità». Ancora prima che varcasse la soglia della Camera i partiti hanno cominciato a smontarla. Pezzo per pezzo. Dal taglio di 600 milioni alla spesa sanitaria, all’aumento dell’Iva con contestuale riduzione dell’Irpef, alla retroattività del giro di vite alle detrazioni, all’aumento dell’orario di lavoro per gli insegnanti…
Molte delle misure proposte dal governo possono essere considerate discutibili, ma sarebbero sottoposte a un simile martellamento se il Paese non fosse già in campagna elettorale? Sembra di assistere alle stesse scene che tenevano le Camere impegnate da ottobre a dicembre sotto un diluvio di migliaia di emendamenti, con le lobby scatenate per piegare a loro vantaggio ogni singolo comma della finanziaria. Diluvi tanto più violenti quanto più le elezioni erano vicine. E sotto quello scatenatosi ora non regge niente. Perché il ciclo elettorale nel quale siamo piombati non è uno dei tanti. Fra qualche mese si vota per il rinnovo del Parlamento. Con tanto di primarie al curaro. Ma si vota anche per le due Regioni politicamente più importanti: la Lombardia e il Lazio, i cui consigli regionali sono stati prematuramente azzerati dalla cronaca nera. Questione di giorni e pure i cittadini siciliani dovranno scegliere il loro nuovo governatore, nell’incertezza più assoluta. L’unica cosa sicura è che niente sarà più come nei vent’anni appena trascorsi. Lo sanno tutti. Ne sono coscienti i moltissimi parlamentari che temono di dover dare l’addio definitivo al seggio come pure i politici locali travolti dagli scandali in periferia. E nessuno è rimasto con le mani in mano in attesa della ghigliottina. Lo dimostra il fatto che mercoledì la Commissione parlamentare per le Questioni regionali presieduta dal leghista Davide Caparini ha bocciato il decreto legge del governo di Mario Monti che dovrebbe sottoporre gli atti delle Regioni alla verifica della Corte dei conti affidando alla magistratura contabile anche il controllo dei bilanci dei gruppi politici e delle assemblee degli eletti. Un provvedimento preso d’urgenza, dopo lo choc provocato nell’opinione pubblica tanto dalle sconcertanti vicende del Consiglio regionale del Lazio, con i fondi pubblici usati per comprare auto di lusso o pagare viaggi di piacere e cene pantagrueliche, quanto dalle inchieste sulla sanità lombarda e dagli illeciti perpetrati in molte altre realtà, dal Nord al Sud. Poco importa che il decreto avesse avuto il benestare degli stessi vertici delle Regioni, a partire dal presidente della Conferenza Vasco Errani, governatore democratico dell’Emilia-Romagna. Il relatore Luciano Pizzetti, democratico e bersaniano come lui, è arrivato a sostenere che i presidenti delle Regioni «non appaiono in grado di salvaguardare le proprie prerogative costituzionalmente riconosciute»: testuale. E se si considerano «apprezzabili le misure tese a determinare una riduzione dei costi della politica nelle Regioni», i controlli della Corte dei conti, quelli non sono proprio accettabili. Per quale motivo? Semplicissimo: «comprimono eccessivamente la sfera di competenza propria delle autonomie regionali». Tutti d’accordo con questo principio, enunciato dal leghista Gianvittore Vaccari. Perciò il decreto legge va rispedito al mittente. Non conta che proprio la mancanza di controlli sia responsabile non soltanto di enormi sprechi di denaro pubblico, gigantesche inefficienze e inaccettabili clientelismi, ma anche degli scandali che stanno trascinando la politica nella melma del discredito alimentando la sfiducia dei cittadini? Nossignori. L’autonomia… Un principio nobile e sacrosanto. Purtroppo ridotto, in molte circostanze, a far da scudo ai rimborsi chilometrici per l’auto incassati pure se si viaggia in treno, ai contributi senza obbligo di rendicontazione, alle assunzioni di amici e parenti nelle società controllate, alle nomine nelle aziende sanitarie non per merito ma per tessera. Che cosa c’entra tutto questo con l’autonomia, ce lo dovrebbero spiegare… Si narra che la bocciatura parlamentare sia maturata dopo un’interminabile processione di questuanti: chi ha il mutuo da pagare, chi non può «assolutamente» rinunciare al vitalizio, chi deve mantenere due famiglie. Se la carne è debole, questa politica lo è ancor di più. Chi aveva creduto per una volta tanto in un sussulto d’orgoglio di una classe dirigente tristemente avviata al crepuscolo, atto doveroso nei confronti di un Paese stremato dalla sua inettitudine, si deve ricredere. Non cambiano. Durante il dibattito in Commissione il relatore Pizzetti ha detto di considerare «un grave errore assecondare, nelle sedi istituzionali, le istanze di un’opinione pubblica esacerbata e indignata dai recenti scandali promuovendo misure che stravolgono l’impianto complessivo della Costituzione». Giudicate voi.
Sergio Rizzo