Maria Giovanna Maglie, Libero 25/10/2012, 25 ottobre 2012
IL MADE IN ITALY CI FA RICCHI ANCHE SE IL PADRONE È STRANIERO
[L’esempio della birra Peroni: la proprietà è di SabMiller ma contribuisce al Pil per più di un miliardo di euro e dà lavoro in Italia a 19.000 persone] –
«Per noi che crediamo nell’Italia». Menomale che qualcuno ancora c’è, se ci riuscisse di non farlo scappare! In giro per il mondo basta dire Nastro e vuol dire birra, come quando si dice Pellegrino, e vuol dire acqua minerale con le bollicine. La Nastro Azzurro di Peroni è infatti e semplicemente la birra più venduta al mondo, esportata in cinquantacinque Paesi, ed è tutt’uno con l’Italia, anche se da quasi dieci anni la Peroni che diventò gloriosa nei caroselli di Armando Testa, la tua bionda, non è più italiana, perché fa parte del gruppo SAB Miller. È tutt’uno con l’Italia perché tutte le birre dell’azienda si fanno in Italia, negli stabilimenti di Padova, Bari e Roma, diciannovemila dipendenti fra direttamente impiegati e generati dalla produzione. È tutt’uno perché all’Italia porta ricchezza: più di un miliardo di euro di Pil tra attività diretta e indotto, che viene dall’industria del packaging, agricoltura locale, pubblicitario trasporti e industria meccanica di precisione; settecento milioni di euro versati nelle casse dello Stato tra ritenute e tributi vari.
A leggere in anteprima il rapporto di sostenibilità presentato ieri sera dall’azienda con Epr comunicazione, si fa rapida pulizia di tanta retorica sulla sacralità della proprietà italiana, decisa o costretta ad andare a produrre in Cina, in Romania o in Marocco; si fa ulteriore chiarezza sulla stupidità di chi ci governa nell’insistere in una politica vessatrice, nell’imporre balzelli e complicazioni burocratiche, nel fare insomma lo Stato vampiro di chi produce, tanto più se benemerito straniero, invece di attirarlo con agevolazioni possibili; si fa infine utile giustizia della condanna che ci vorrebbe un Bel Paese ormai destinato alla deindustrializzazione, solo agriturismo e bed and breakfast, polemiche su monumenti in eterno pericolo di caduta e pochi soldi per tenerli in piedi, ricchezze che sono certamente una risorsa da valorizzare, ma non la sola opzione.
Siamo la seconda manifattura d’Europa, in alcuni comparti la prima. L’Italia industriale migliore, che può aiutarci a superare la crisi è quella che si concentra sul prodotto, sulla qualità, sulla catena del valore virtuosa, che resta saldamente radicata sul territorio nazionale. Aziende così vengono «premiate» a volte dall’acquisizione di grandi multinazionali, che scommettono su brand e industrie d’eccellenza del made in Italy. Per fortuna, questa è la notizia, non lo fanno solo con la moda.
Peroni lancia un messaggio forte nel suo Rapporto di Sostenibilità: credere nell’Italia, come direbbe Totò, a prescindere. Sì, a prescindere dalla crisi e dalla congiuntura economica negativa, perché lo fa da 166 anni, da quando il signor Francesco Peroni aprì il piccolo stabilimento di Vigevano, nel Regno sabaudo, superò le guerre di indipendenza e approdò a Roma a piazza di Spagna, convinto di riuscire a nazionalizzare quella bevanda che al centro e al sud nessuno conosceva ancora. La competizione industriale oggi ha abbattuto i confini degli Stati e qualche volta ha trasformato prodotti originali e straordinari riducendoli a grigie creature di mercato globale tutte uguali in odore e sapore. Per Birra Peroni fortunatamente non è così, basta pensare alle coltivazioni di mais nostrano che dal 2007 è alla base della Nastro Azzurro, basta pensare a iniziative e mostre del Museo Peroni a Roma, tutt’uno con la storia nazionale. L’abito internazionale le ha preservato il cuore italiano. Bella storia, storia rara purtroppo.