Mattias Mainiero, Libero 25/10/2012, 25 ottobre 2012
NULLA SARÀ COME PRIMA
[Lo statista battute e bandana che ci ha cambiato per sempre. Ha avvicinato Usa e Russia, unito i moderati e reso il nostro Paese più moderno È stato il nuovo contro il vecchio. Ha sbagliato tanto, ma resta un numero uno] –
Ora è ufficiale: la prossima campagna elettorale sarà differente. Nei contenuti, nei toni. Soprattutto, nelle sorprese. Sarà una campagna più smorta. Sobria, per dirla con un aggettivo oggi troppo di moda. E il merito non sarà di Mario Monti e del suo loden. Il demerito, chiamiamolo così, è tutto di Silvio Berlusconi, che non sarà presente, almeno non come candidato Premier.
Dopo 18 anni si torna indietro, se non alla prima Repubblica, a qualcosa che le assomiglierà molto. Perché su un fatto tutti, anche i non berlusconiani, anche i D’Alema, i Bersani, i Fini, e lui, Renzi, dovrebbero convenire: il Cavaliere ha cambiato modo di fare politica. In tutti i sensi, e cominciando addirittura ancor prima di scendere in campo.
Ricorderete. Ricorderà soprattutto Gianfranco Fini, oggi smemorato presidente della Camera, allora solo ex delfino di Almirante. Sono ancora gli anni del Movimento sociale, della destra ghettizzata, stai zitto tu che sei fascista. Berlusconi è ancora e solo un imprenditore di successo che medita di fare politica. È all’Euromercato di Casalecchio di Reno. Sta andando via. Novembre del 1993. A Roma si vota per le Comunali. Fini deve vedersela con Rutelli. Intervistato, il Cavaliere dice quello che fino ad allora nessuno aveva avuto il coraggio di dire apertamente, anche quelli che lo pensavano: sta con Fini. Auspica la vittoria del leader della destra, quella che era ancora la destra italiana.
È una mossa a sorpresa, la prima di tante. A guardarla oggi, dopo diciotto anni, ci dà la misura del Berlusconi politico, di chi ha la vista un po’più lunga degli altri. Di chi, in cuor suo, ha già deciso, e lavora per le alleanze, tesse, organizza. Come quella volta a Milano, giornata del predellino, nascita di un nuovo schieramento che scompagina il quadro politico. Come le tante volte che non ha voluto rompere con Casini, che pure puntava i piedi. Come il legame, stretto, con la Lega di Bossi, che pure aveva tradito affossando quasi sul nascere il primo governo del Cavaliere. Un Berlusconi mediatore, paziente, accanto al Silvio fiammeggiante e imprevedibile. Oggi Matteo Renzi, sull’altro lato della barricata, dice di voler rottamare e di voler costruire il nuovo. Sua Emittenza, era questo il nomignolo all’epoca della discesa in campo, innovò. Masenza dirlo. Semplicemente facendolo.
26 gennaio del 1994. Berlusconi è seduto alla scrivania. La luce è morbida, quasi a voler trasmettere tranquillità. Lui sorride. «L’Italia - dice - è il Paese che amo,qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato fallimentare. Affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che alla sinistra si opponga un Polo delle Libertà capace di attrarre a sé il meglio di un Paese pulito».
Il messaggio televisivo dura nove minuti. È trasmesso integralmente da Retequattro e Italia1, in ampia sintesi da Canale5. I tg Rai sono molto più stringati. La vecchia Repubblica è già rottamata. Da quel messaggio diretto, senza fronzoli, senza bizantinismi. Da un uomo che dice: eccomi qui, queste sono le mie idee, questo è ciò che farò per il mio Paese. Come oggi: «Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza. Ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora. Non ripresenterò la mia candidatura da premier ma rimarrò a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol».
La partita, la rete, la squadra, la discesa in campo. La politica raccontata ai cittadini con le parole dei cittadini, semplici, comprensibili, nella consapevolezza che le astrusità sono state inventate anche per nascondere inganni.
Verrebbe da dire che Matteo Renzi ha avuto un ottimo maestro, e che nel centrodestra non sono stati in molti ad imitare il leader. Ma questa è un’altra storia, un altro voltafaccia. Noi dobbiamo parlarvi del Berlusconi politico, delle sue novità. Di quella domenica, 6 febbraio del 1994, prima uscita ufficiale di Forza Italia e primo discorso di Berlusconi da leader. Palafiera di Roma, sfida alla sinistra e appello a tutti i liberaldemocratici «per una chiamata alle armi». Il programma del partito nuovo è semplice: meno disoccupazione, più tolleranza, riduzione delle tasse.
Fateci caso. A Berlusconi si possono rimproverare molte cose e molte feste, molti incontri sbagliati, che non sono solo quello con Fini. Anche promesse non mantenute perché gli alleati non hanno voluto cedere o perché la situazione non ha permesso di mantenerle o perché lui non ha avuto il coraggio di imporsi. Nessuno potrà mai dire che il Cavaliere è un voltagabbana e abbia cambiato idea. «Una coalizione di sinistra - ha detto ieri - che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del Paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare. Sta al Popolo delle Libertà, al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che riproduca il miracolo del 1994, dare una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva».
Stessi temi, stessi toni, stesse idee. Oggi Berlusconi ha qualche ruga in meno rispetto a diciotto anni fa e qualche capello (e anche chilo) in più. Ma vivaddio: la pensava così e così continua a pensarla. Dobbiamo presumere che almeno lui alle cose che dice creda anche. E pure questa è una delle sue innovazioni: un politico che non si nasconde più dietro le parole ma usa le parole per raccontarsi, per dire che ha commesso un errore, per chiedere scusa (è storia quasi recente) alla moglie tradita. L’immediatezza e la spontaneità sono la sua forza, e al tempo stesso la sua debolezza, apparente contraddizione che si spiega col fatto che viviamo in Italia, un Paese che non ha mai perdonato la sincerità, anche se l’apprezza. Un Paese in cui, se un politico si sente sotto tiro, non dice mai: sono sotto tiro, sono bersaglio di una certa magistratura. Lo fa dire, lo suggerisce. Berlusconi lo ha urlato. E anche per questo ha pagato. Oggi, ai tanti primati, può aggiungerne uno che nessuno gli invidia: è il Premier, e anche il leader di partito, e anche il politico, e forse addirittura anche il semplice cittadino, più processato della Terra. E più assolto. O è diabolico o forse bisognerebbe cominciare a porsi qualche domanda molto seria. Ma anche questa è un’altra storia. E se volessimo raccontare tutte le storie di Silvio e del suo reame, le sfide con Prodi, gli avversari messi all’angolo, le bizze della Lega, i tradimenti di Casini e Fini, la guerra dello spread, le dimissioni imposte, non basterebbe un’enciclopedia. E non sarebbe neanche giusto. Certi racconti sanno di necrologio. Coccodrillo, si dice in gergo giornalistico. Berlusconi è vivo e vegeto.Manon si candiderà come premier. Tutto qui. E appuntamento alla prossima. Con una punta di rammarico: quella che è in arrivo sarà proprio una brutta campagna elettorale. Per il dopo campagna, speriamo in un piccolo miracolo. Cavaliere, non è che ci vuole ripensare?