Luigi Grassia, La Stampa 26/10/2012, 26 ottobre 2012
UN’EREDITÀ DA 110 MILIARDI [È
il valore del fatturato Eni. Oggi il gruppo, tra gas e petrolio, produce 1,6 milioni di barili il giorno] –
In Italia in questo 2012 siamo ancora i nipotini di Enrico Mattei: molte delle rotte dell’energia che collegano il Belpaese col resto del mondo sono quelle che ha tracciato lui; i suoi accordi rimangono in vigore, o si sono sviluppati con continuità da quelli che Mattei firmò più di cinquant’anni fa; e le iniziative completamente nuove hanno alle spalle la tradizione e l’immagine che l’Eni si è conquistata nel mondo a cominciare da Mattei e che i suoi successori sono riusciti a consolidare, ma non partendo da zero.
Che cos’è l’Eni di oggi? Se si parlasse ancora di Sette Sorelle (termine ormai in disuso, perché le fusioni hanno sparigliato le carte) l’Eni per dimensioni sarebbe una di loro, anzi sarebbe con comodo la numero cinque dopo Exxon Mobil, Bp, Shell e Total. Il programma di Mattei di creare un gigante italiano dell’energia si è realizzato. E questo particolare merita di essere sottolineato: per dare agli eventi il loro vero significato, in quest’epoca di capitalismo internazionale in cui le identità trascolorano, l’Eni è diventato un gruppo davvero globale, ma nel frattempo è anche rimasto davvero italiano.
È un gruppo molto remunerativo, fra l’altro. Se parliamo di numeri, nel 2011 l’Eni ha fatturato 109,6 miliardi di euro con un utile netto di 6,9 e ha dato lavoro a 79 mila persone in 85 Paesi. Eppure il 2011 è stato un anno non buono, un po’ per colpa della crisi economica internazionale e un po’ per la guerra in Libia che ha bloccato le attività dell’Eni in quel Paese. Adesso in Libia si sta tornando alla normalità e nel secondo trimestre del 2012 la produzione è salita a 1,64 milioni di barili equivalenti al giorno (il barile equivalente è un’unità di misura che omogeneizza e conteggia insieme il petrolio e il metano); quest’anno ad aumentare la produzione ha contribuito l’entrata a regime di vari giacimenti in Australia, Russia ed Egitto. Fra l’altro, da poco nel mare del Mozambico sono state scoperte riserve di gas pari a 2 miliardi di barili equivalenti e questa è la più grande scoperta singola nella storia dell’Eni.
Negli anni recenti le cose importanti per il gruppo Eni sono state due: da un lato, la crescita in tutti i continenti alla ricerca di petrolio e metano per aumentare le riserve e per diversificarle geograficamente, perché gli idrocarburi hanno questa caratteristica antipatica: tendono a concentrarsi in Paesi pericolosi e politicamente imprevedibili, quindi ci si cautela trivellando pozzi un po’ dovunque, così se c’è caos, ad esempio, in Libia si può sopperire estraendo di più altrove; e si è fatto ricorso anche all’acquisizione di intere società petrolifere all’estero (è il caso di British Borneo nel 2000, Lasmo nel 2001, Burren e Dominion nel 2008). Ore le riserve dell’Eni superano i 7 miliardi di barili.
In secondo luogo, l’Eni ha cambiato la sua natura finanziaria da gruppo pubblico a privato, sia pure con un peso determinante dell’azionista Tesoro. Già nel 1995 una prima quota del capitale di Eni fu collocata sul mercato e l’azienda fu quotata in Borsa a Milano e a New York; dal 1995 al 2001 lo Stato italiano ha venduto in cinque fasi quote di capitale, conservando un po’ più del 30% (fra ministero dell’Economia e Cassa depositi e prestiti) continuando a controllare la società pur dovendo questa competere sul mercato come operatore privato che deve rispondere agli azionisti; è un fatto noto al mercato che le azioni Eni remunerano bene i possessori, se non altro perché l’azionista Stato vuole incassare ogni anno buoni dividendi, e ovviamente la società non fa distinzioni fra soci pubblici e privati.
La più recente grande operazione che ha coinvolto l’Eni è stata la cessione della Snam, che possiede la rete nazionale del gas. Per favorire la concorrenza si è deciso a livello politico che fosse meglio affidare questa rete a un operatore imparziale, staccando la Snam dall’Eni. I critici di questa operazione fanno notare che adesso il socio più importante della Snam indipendente è la Cassa depositi e prestiti, che è anche azionista di rilievo dell’Eni, quindi la natura super partes della nuova Snam è discutibile, ma questo non riguarda la società Eni.
Comunque l’operazione ha avuto un impatto positivo sulle finanze dell’Eni perché vendendo forzatamente la Snam il gruppo ha incassato un maxi-assegno che ha abbattuto il suo debito; in questo periodo in cui il timore più serpeggiante è quello dei crac, l’Eni guarda al mercato con tranquillità. Questo si riscontra anche nei suoi bond, che (tipicamente) danno un basso rendimento (perché incorporano un basso rischio) e vengono comprati e venduti a valori molto più alti della base 100 di emissione.
E il futuro dell’Eni come sarà? Per indovinare lungo quali strade si dirige quel futuro bisogna sicuramente leggere la storia cominciando da Mattei.