Francesco Manacorda, La Stampa 26/10/2012, 26 ottobre 2012
50 MATTEI, IL PETROLIERE SENZA PETROLIO ANNI CHE CAMBIÒ L’ITALIA
[Il 27 ottobre 1962 la scomparsa del fondatore dell’Eni. La sua avventura segnò un’epoca] –
Il nome di Enrico Mattei comincia a diventare magico. Non sono pochi i rappresentanti dei Paesi arabi i quali vorrebbero essere messi in diretto contatto con lui». Sono gli ultimi mesi del 1957 quando il direttore degli affari economici al ministero degli Esteri Massimo Magistretti scatta questa istantanea che vale mezza biografia. Quattro anni prima, nel febbraio 1953, è nato l’Eni, l’Ente nazionale idrocarburi, mentre proprio nel 1957 Mattei ha firmato un accordo rivoluzionario con l’Iran aprendo la strada a una politica energetica - e non solo energetica - che scuoterà nel profondo le sicurezze dei grandi gruppi angloamericani. E sette anni dopo, il 27 ottobre 1962, mentre mancano solo dieci giorni a un appuntamento cruciale che dovrebbe aprire all’Eni le porte - e i pozzi - anche in Algeria, Mattei muore in un attentato aereo i cui responsabili rimangono tuttora ignoti.
«Petroliere senza petrolio», è fra le tante etichette che gli sono state attaccate addosso una fra le più azzeccate. Perché il primogenito di un sottufficiale dei Carabinieri che dalle natie Marche si sposta a Milano per trasformarsi in imprenditore privato e poi in manager di Stato ed alfiere dell’industria pubblica, dopo che nel secondo Dopoguerra ha preso in mano come commissario liquidatore una disastrata Agip, è l’uomo che riuscirà a creare un colosso dell’energia partendo appunto da un Paese scarso di risorse naturali.
Impossibile, però, incasellarlo in una singola dimensione. Mattei è al tempo stesso pioniere visionario e pragmaticissimo self-made man, comandante partigiano «bianco» che sposta l’attitudine al comando dalla fabbrica lombarda alle montagne della Resistenza, tessitore politico di molte vicende della Democrazia cristiana e apostolo di una globalizzazione ante-litteram. Ma soprattutto è uomo in grado di rivoluzionare le regole del gioco - quello nazionale della politica energetica e quello su scala planetaria delle grandi corporation petrolifere - in nome di ciò che considera un interesse superiore. Lo fa usando anche metodi men che ortodossi, complice la potenza di fuoco finanziaria del suo gruppo.
Quale sia la missione nazionale di Mattei alla guida dell’Eni, nell’Italia degli Anni 50 dove l’industria corre e l’oligopolio dei grandi fornitori elettrici, in testa Edison e Montecatini, è duro da rompere, lo spiega l’allora presidente del Consiglio Antonio Segni parlando il 12 aprile 1956 proprio a Metanopoli: «Noi continueremo questa attività statale che serve ad equilibrare il potere dei grandi monopoli. Lo Stato non può lasciarsi sopraffare dalle grandi forze economiche accentratrici». Un programma che l’Eni attua spingendo l’Italia del boom con infrastrutture come la rete di metanodotti, ma anche attraverso i distributori del cane a sei zampe. E l’Eni stesso, spiega Italo Pietra nella sua fondamentale biografia, «pone inizio al sistema delle partecipazioni statali e affida a Mattei uno strumento mai visto, che ha l’autonomia di una holding privata e che è indubbiamente la punta della lancia pubblica».
Ma la partita di Mattei si gioca in gran parte sullo scenario internazionale, nella ricerca - spesso fruttuosa, talvolta frustata - di uno spazio d’azione in quel grande vuoto che si apre tra le Sette Sorelle del petrolio legate alla politica estera statunitense, britannica e francese e un Terzo Mondo, come lo si chiama allora, che si sta scrollando di dosso le vecchie potenze coloniali e brama nuovi interlocutori. Anche qui è battaglia raffinata, ma senza delicatezze. Se il contratto classico che le grandi compagnie petrolifere offrono ai Paesi produttori segue la formula «fifty-fifty», dividendo a metà i proventi dell’estrazione, Mattei spariglia offrendo ai Paesi produttori fino al 75% degli utili e lasciando che l’Eni si accontenti del resto. In più offre cooperazione tecnica. E’ la «Formula Mattei», una formula che conquisterà l’Egitto, l’Iran, la Libia (dove gli anglobritannici fanno addirittura cadere un governo per impedire l’accordo con l’Eni), la Tunisia e il Marocco. A Eugenio Scalfari Mattei racconta: «Io sono come Francis Drake, un corsaro al servizio del mio Paese. Mi hanno dato un compito che è quello di conquistare all’Italia un posto nell’industria del petrolio. Avete idea di quali problemi comporti un incarico di questo genere? Che tipo di avversari? ... Chi tocca il petrolio fa politica. Da 50 anni le compagnie governano gli Stati e gli sceiccati dell’Arabia e del Golfo Persico, preparano i colpi di Stato, pagano le favorite o le tribù ribelli. Fanno di tutto». Farà molto anche lui, non solo nei Paesi del Golfo e in Nord Africa, ma anche nell’Unione Sovietica, dove spezza la Cortina di ferro offrendo forniture industriali in cambio di petrolio, e in Cina, dove approda nel ‘58. I nemici - dalle Sette Sorelle, all’Oas in Algeria, agli interessi siciliani che tocca quando negli Anni 50 si lancia nell’Isola - non gli mancano. Molti nemici, ma nessun colpevole per quella vita piena e rapidissima che si spezza la notte del 27 ottobre 1962, quando il suo aereo da Catania a Milano esplode sulla campagna pavese.