Ettore Livini, la Repubblica 26/10/2012, 26 ottobre 2012
DA 162 MILIONI A 3 MILIARDI DI PATRIMONIO LA DISCESA IN CAMPO HA PORTATO BENE A BERLUSCONI
[L’ex premier dal 1994 ad oggi ha guadagnato 400 mila euro al giorno] –
MILANO
— La storia si incaricherà di dire se Silvio Berlusconi, nei diciotto anni passati in politica, è riuscito davvero a fare gli interessi degli italiani. Un fatto però è certo: i suoi se li è fatti benissimo. Nel 1994, quando è “sceso in campo”, il cavaliere aveva in tasca 162 milioni di euro. Oggi – quasi due decenni dopo – il suo patrimonio si è moltiplicato per diciotto, sfiorando quota 3 miliardi.
Un po’ di merito, va da sé, ce l’hanno manager e figli che hanno mandato avanti le aziende di famiglia. I numeri però fanno impressione lo stesso: dal 27 marzo 1994 – giorno del primo trionfo elettorale di Forza Italia – ad oggi, l’ex premier ha guadagnato oltre 400mila euro al giorno, malgrado gli impegni capitolini e i 600 milioni buttati dalla finestra per tappare i buchi (di bilancio) del Milan. Piove tra l’altro sul bagnato, visto che la cifra è al netto di un tesoretto in mattoni lievitato come un panettone: a inizio anni ’90 il patrimonio immobiliare di Berlusconi era uno striminzito elenco di due beni, villa San Martino e la casa milanese di via Rovani. Oggi sotto le sue casseforti personali c’è un impero da far invidia al Monòpoli. Dai resort di Antigua al parco di Macherio, dalle Bermuda fino alla fastosa Villa Gernetto e alle ultime new entry lowcost: gli appartamenti rilevati da Mariano Apicella e Danilo Mariani, chansonnier del Bunga-Bunga e (per casuale coincidenza) testimoni al processo Ruby. Un portafoglio da vero Paperone visto che solo Villa Certosa, secondo il tam-tam della Costa Smeralda, è in vendita per 470 milioni, vulcano finto e giardino di cactus compresi.
Il trasloco dalla Brianza al Governo – che pure di suo ha garantito alcune utilissime leggi ad personam – non ha impedito a Berlusconi di scalare la classifica dei ricchi mondiali fino al 159esimo posto che oggi gli assegna Forbes. La politica, nel suo caso, è stata una sorta di talismano portafortuna: nel 1994 le ventidue holding personali del Cavaliere (quelle sotto cui ci sono Fininvest, Mediaset, Mondadori & C.) avevano in cassa un patrimonio di 269 milioni e 108 milioni di debiti. Saldo totale: quei 162 milioni di euro che hanno fatto da trampolino di lancio per l’avventura capitolina del Cavaliere.
Questo zoccolo duro in contanti non ha mai smesso di crescere: Mediaset – ben gestita da Fedele Confalonieri e da Piersilvio (e puntellata da qualche aiutino extra come la Gasparri, il Salva Rete4, gli aiuti ai decoder e le norme anti-Sky) – ha pompato utili a getto continuo verso la Fininvest. Lo stesso hanno fatto Mediolanum e Mondadori. E, almeno fino al 2011, il Biscione ha continuato a versare ogni anno un fiume d’oro nelle casseforti di famiglia malgrado le spese un po’ folli
per il Milan e per le Olgettine.
Risultato: dal 1994, le otto holding superstiti hanno girato all’ex presidente del Consiglio (e ai cinque figli) 1,5 miliardi di dividendi per le loro spese personali. E al netto di questa pioggia di denaro, sono rimasti in cassa come argent de poche, pronti per essere distribuiti ai soci in ogni momento, ben 1,4 miliardi di liquidità a fronte di debiti scesi a 818mila euro. Totale: oltre 2,9 miliardi in portafoglio. Quanto basta per far felici tutti nella complessa, e ancora irrisolta, questione dell’eredità di Arcore.
Proprio Mediaset, però, ci ha insegnato negli anni ’90 una lezione importante: anche i ricchi piangono. E qualche rimpianto finanziario, malgrado tutto, c’è anche in casa Berlusconi. Ok, sui conti in banca di famiglia ci sono tre miliardi. E nessuno, ovviamente, piange davvero. Il saldo tuttavia avrebbe potuto essere ben più pingue se il Cavaliere avesse venduto Mediaset nel 1998 a Rupert Murdoch. Il tycoon australiano aveva messo sul piatto allora 12mila miliardi di lire, 6 miliardi di euro. Ma l’orgoglio di Arcore ha avuto il sopravvento. Marina e Piersilvio hanno convinto papà a respingere l’offerta dello “Squalo”. E non se n’è fatto niente.
Del senno di poi, si sa, sono piene le fosse. Quel “no” però, come la figlia Barbara non smette mai di ricordare, è costato (almeno finanziariamente) tantissimo. I numeri parlano chiaro: Mediaset capitalizza oggi a Piazza Affari “solo” 1,6 miliardi, un quarto dell’assegno che era pronto a staccare Murdoch. Un destino comune a quello di tutte le altre controllate del Biscione: le partecipazioni azionarie della Fininvest valevano nel 2007 quasi 5,7 miliardi. Oggi, a metterle assieme tutte, si arriva a stento ai 2 miliardi. E il fiume di dividendi che ogni hanno prendono l’ascensore per salire verso i conti personali di Arcore si è un po’ prosciugato, scendendo dai quasi 300 milioni del 2008 ai poco più di 40 degli ultimi tempi. Tanto che il Biscione per due anni di fila (e per mettere fieno in cascina) ha tagliato i viveri alle casseforti di famiglia. Il vento è girato. E forse anche per questo è arrivato il momento di richiamare in servizio effettivo a Cologno il fondatore del gruppo. Ringraziando comunque la politica per il buon contributo dato alle fortune di casa Berlusconi negli ultimi 18 anni.